Conferenza Regioni
e Province Autonome
Doc. Approvato - Schema di decreto legislativo concernente le norme generali relative al secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e formazione ed i livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale, a norma dell’articolo 1 della legge 28 marzo 2003, n. 53.

giovedì 14 luglio 2005


Schema di decreto legislativo concernente le norme generali relative al secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e formazione ed i livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale, a norma dell’articolo 1 della legge 28 marzo 2003, n. 53.

 

 

Punto 9) o.d.g. Conferenza Unificata

 

 

Premessa

 

 

La Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome, esaminato lo Schema di decreto legislativo del 27 maggio 2005 ritiene, ad eccezione delle Regioni Lombardia, Veneto e Molise, di non dover procedere all’espressione di un parere, bensì chiede il ritiro dello schema di decreto – che deve essere sottoposto all’intesa delle Regioni – finalizzato alla riapertura del confronto con il MIUR per un’integrale rivisitazione del provvedimento che lede gravemente le prerogative costituzionali delle Regioni e non garantisce l’unitarietà e la pari dignità dei due canali di istruzione e formazione.

 

In via preliminare, ritiene indispensabile verificare la disponibilità del Governo a riprendere il percorso, in coerenza con gli impegni assunti dal Ministro Moratti di condivisione dello schema di decreto con le Regioni, interrotto dall’intervenuta approvazione, in Consiglio dei Ministri,  dello schema di decreto, senza alcuna consultazione delle Regioni.

 

In tal senso ritiene che la riapertura di un dialogo costruttivo sia, comunque, condizionata dal ritiro dello schema di decreto, per riprendere l’auspicato confronto finalizzato alla sua integrale rivisitazione.

 

La ripresa di un confronto corretto è l’unica possibilità, a parere delle Regioni, per il raggiungimento di una intesa forte su una materia di così grande rilievo sociale. Tale intesa consentirebbe, tra l’altro, di accelerare il processo di definizione e di approvazione dello schema di decreto, evitando un possibile futuro contenzioso costituzionale.

 

Il testo proposto, infatti, è gravemente lesivo delle prerogative costituzionali delle Regioni, nonché delle competenze specifiche delle Regioni a Statuto speciale e delle Province Autonome, e non tiene conto del trasferimento di competenze previsto dal D.lgs. 112/98 e dal riformato Titolo V della Costituzione, che riconosce alle Regioni la potestà di esercitare le competenze legislative e regolamentari in materia di istruzione e formazione dell’intero sistema educativo.

 

Un processo di forte condivisione istituzionale è garanzia della costruzione di un sistema educativo di istruzione e formazione che sia mantenuto nella sua unitarietà, e non separato in due parti - una statale e una regionale - a garanzia di reale pari dignità di tutti i percorsi formativi.

 

Il quadro unitario è, inoltre, indispensabile per garantire certezze al mondo della scuola, agli studenti e alle loro famiglie sul diritto allo studio e alla fruizione di un’offerta formativa certa e di qualità, nonché la spendibilità a livello nazionale ed europeo di titoli di studio e di diplomi di formazione.

Il disegno di riordino del 2° ciclo è, infine, del tutto inapplicabile in quanto si sta procedendo al buio, senza un’adeguata verifica delle condizioni di fattibilità sia per quanto concerne i tempi, sia per le modalità attuative, sia per le risorse. 

 

Le Regioni fanno presente che, dati gli elementi di netto disaccordo soprarichiamati, qualsiasi tentativo del Governo di mettere le Regioni di fronte al fatto compiuto procedendo ad un’ attuazione unilaterale del decreto, anche attivando una parziale e limitata sperimentazione del medesimo, comprometterebbe qualsiasi possibilità di ristabilire corrette relazioni istituzionali. In particolare l’istituzione, anche sperimentale, di nuovi percorsi sia liceali che di istruzione e formazione operata unilateralmente dal governo, originerebbe un immediato contenzioso con le Regioni, date le competenze già trasferite alle medesime dal decreto legislativo 112/98 in materia di programmazione dell’offerta formativa integrata e di programmazione della rete scolastica. 

  

Tali valutazioni, peraltro fatte emergere da parte degli Assessori regionali della precedente legislatura in sede di Coordinamento politico, sono state  rappresentate al Ministro Moratti nel corso dell’incontro svoltosi,  su richiesta delle Regioni,  il 7 luglio 2005.

Il Ministro Moratti ha risposto negativamente alla proposta dell’intesa in quanto trattandosi di un decreto ordinamentale per il sistema dei “licei” e di LEP  per l’istruzione e formazione professionale, si tratta di tematiche rientranti nella competenza esclusiva dello Stato a norma della riforma costituzionale.

Ha in sostanza negato la riapertura di un confronto con le Regioni sul testo del decreto, ritenendo che la sede della discussione sia esclusivamente la Conferenza Unificata.

Si è invece dichiarata disponibile alla ripresa di tavoli tecnici in merito a:

1.      definizione degli standard formativi minimi delle competenze tecnico- professionali con riferimento alle qualifiche e ai diplomi in esito ai percorsi dell’Accordo del 19 giugno 2003;

2.      Trasferimento alle Regioni delle risorse finanziarie per l’attuazione del diritto-dovere (definire in maniera condivisa criteri e modalità per il riparto delle risorse)

3.      La definizione delle figure professionali in riferimento ai percorsi dell’Accordo del 19 giugno 2003.

 

In merito alla sperimentazione, il Ministro Moratti ha posto in rilievo come il tema esuli dalla competenza regionale, nonché dalla discussione dall’ordine del giorno del confronto, rientrando al contrario nell’ambito dell’attuazione del decreto n. 275/99  “Regolamento sull’autonomia delle Istituzioni scolastiche”.

 

Preso atto della posizione del Ministro, le Regioni, ritenendo indispensabile comunque la contestuale definizione ordinamentale dell’intero sistema, al fine di salvaguardarne l’unitarietà, in rapporto alle concrete condizioni della sua applicabilità (definizione di compiti, funzioni, tempi, modalità e trasferimento delle risorse) e comunque tutte le questioni che occorre sottoporre all’intesa prima che il decreto produca i suoi effetti, confermano la posizione espressa in premessa, meglio argomentata nel documento tecnico che si approva.

 

 

Premessa: il Titolo V della Costituzione

 

Il quadro di riferimento è rappresentato dalla legge 53/2003 e dalla legge costituzionale n. 3/2001 di riforma del Titolo V, ivi compresa la questione del trasferimento di competenze in materia di istruzione da parte dello Stato alle Regioni.

 

L’attuazione della legge 53/2003, infatti, non può prescindere da un assetto organico e condiviso delle competenze statali e regionali in materia di istruzione, alla luce delle norme sul decentramento amministrativo e, soprattutto, della riforma del Titolo V della Costituzione.

Lo stesso Titolo V, inoltre, riconoscendo valore costituzionale alle istituzioni scolastiche autonome, ne rivendica la centralità del ruolo, quale elemento fondante del sistema dell’istruzione.

 

Al fine di esprimere compiutamente la sua potenzialità ed il suo valore, l’autonomia scolastica necessita, peraltro, del pieno esercizio da parte delle Regioni della funzione di governo territoriale del sistema, articolato nelle diverse fasi di programmazione, di indirizzo, di coordinamento, di allocazione delle risorse, di valutazione, a garanzia della crescita e dello sviluppo di una rete di relazioni sul territorio che consentano l’affermarsi dell’autonomia in un sistema organico. Per dare concretezza al decentramento amministrativo è necessario puntare sull’autonomia scolastica, valorizzando in pieno il ruolo istituzionale che essa potenzialmente è in grado di svolgere.

 

La specifica funzione di regia regionale attiene proprio a quei compiti di programmazione e di indirizzo, che erano stati già configurati dal decreto legislativo n.112/98, non completamente attuato.

 

Occorre, quindi, partire proprio dalla valorizzazione della funzione di programmazione delle Regioni, già delineata in tale testo normativo, in cui vengono definiti i criteri e le modalità per l’attribuzione alle Regioni stesse di risorse umane e finanziarie, quale presupposto essenziale per l’esercizio delle competenze, come ribadito anche nella sentenza n. 13 della CC del 13/1/2004[1].

A tal fine, diventa necessario individuare con urgenza un percorso condiviso fra Stato e Regioni, anche con riferimento a quanto previsto dall’art. 118 della Costituzione in materia di funzioni e compiti amministrativi propri degli Enti locali.

 

In proposito è opportuno far riferimento alla L. 59/97 e al decreto 112/98, il cui art. 138 alle lettere a) e b) attribuisce infatti alle Regioni la funzione di programmazione dell’offerta formativa integrata e, in stretto collegamento con essa, quella più particolare della rete scolastica e nella quale, si ricorda, deve necessariamente collocarsi qualsiasi processo di trasformazione degli attuali indirizzi e di istituzione dei nuovi percorsi, sia liceali che di istruzione e formazione professionale, derivanti dal riordino del secondo ciclo.

 

Nella programmazione dell’offerta formativa integrata (lett. a, dell’art. 138), alla luce della Riforma del Titolo V, sono, inoltre, da considerare:

-   le diverse modalità attraverso le quali si articola il diritto-dovere all’istruzione e alla formazione;

-   l’apprendistato;

- l’orientamento;

- l’alternanza scuola-lavoro;

- i tirocini formativi;

- le misure “antidispersione”;

- i percorsi relativi alla formazione integrata superiore;

- la formazione permanente e la formazione continua.

Essa presuppone, inoltre, i compiti di definizione del sistema regionale di riconoscimento delle competenze, sulla base dell’individuazione di un quadro generale - concertato a livello nazionale - degli standard minimi delle competenze e delle qualifiche, i compiti di costruzione dell’anagrafe regionale degli studenti sulla base di standard minimi condivisi, nonché quelli di coordinamento territoriale dell’offerta universitaria.

 

Per quanto riguarda la programmazione della rete scolastica (lett. b), funzione che l’art. 138 interconnette a quella di programmazione dell’offerta formativa nel suo complesso per l’evidente coerenza che l’organizzazione della rete deve garantire con le decisioni in merito ai percorsi formativi da realizzare ed il relativo collegamento con le diverse aree territoriali regionali, è necessario che il processo di attribuzione delle risorse alle Regioni avvenga in tempi certi.

Si coglie l'occasione per riaffermare con decisione che il D.lgs 112/98 deve essere comunque attuato completamente anche per le altre funzioni amministrative trasferite dallo stesso alle Regioni che si ricorda attengono alle seguenti materie.

 

La lettera c) dell’art. 138 prevede l’individuazione degli ambiti territoriali, funzionali al miglioramento dell’offerta formativa, quale definitivo superamento dei preesistenti distretti scolastici.

 

Alla lettera d) si attribuisce alla Regione la funzione di determinazione del calendario scolastico. In ragione del rispetto e della valorizzazione dell’autonomia delle istituzioni scolastiche, si specifica che la funzione regionale attiene alla individuazione dell’articolazione temporale (data di inizio, data di termine, date di interruzioni intermedie obbligatorie-vacanze…) entro la quale le istituzioni scolastiche garantiscono, nel rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni, lo svolgimento del monte ore annuale previsto dagli ordinamenti nazionali,

 

Quanto previsto alla lettera e) - assegnazione di contributi alle scuole non statali, (che comprendono le scuole paritarie) – deve rientrare nel processo di definizione dei criteri e delle modalità per il riparto alle Regioni delle risorse statali finalizzate al complessivo processo di programmazione.

 

Alla luce di queste premesse appare opportuno che i temi e le questioni evidenziati siano oggetto di un più serrato confronto fra Stato e Regioni, improntato al principio della leale collaborazione fra i diversi livelli istituzionali, attraverso modalità di lavoro comune e costante di natura tecnica e di verifiche di natura politica.

 

L. 53/2003 – Il riordino del 2° ciclo

 

Tra l’attuazione della legge 53/2003 e l’applicazione del Titolo V della Costituzione esiste una stretta ed imprescindibile correlazione. Gli stessi Assessori regionali all’Istruzione e alla Formazione professionale, nel corso dell’incontro con il Ministro Moratti il 9 febbraio 2005, avevano sottolineato questo aspetto, richiamando contestualmente l’art. 117 della Costituzione, che ripartisce nel modo seguente le competenze tra Stato e Regioni:

 

·        lo Stato ha competenza esclusiva nella definizione delle norme generali in materia di istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni, che devono essere garantiti sul territorio nazionale in materia di diritti sociali e civili;

·        le Regioni hanno competenza concorrente in materia di istruzione e competenza esclusiva in materia di istruzione e formazione professionale.

 

 

 

Iter del Decreto

 

Il 27 maggio 2005 è stato approvato in via preliminare dal Consiglio dei Ministri lo schema di decreto legislativo indicato in oggetto, risultante da successive rivisitazioni (circa 11) del testo originario reso pubblico nel gennaio 2005.

L’iter compiuto dal testo del decreto ha visto l’attivazione di un confronto con le Regioni nel mese di febbraio. Si sono svolti una serie di incontri, tecnici e politici, conclusisi alla fine di febbraio.

Nei mesi successivi sono state rese pubbliche ulteriori versioni del testo del decreto, che apportavano modifiche, anche sostanziali, alle edizioni precedenti.

 

La posizione maturata dalle Regioni sul decreto è stata formalizzata in sede di Coordinamento politico congiunto Istruzione e Formazione professionale il 9 febbraio e presentata nello stesso giorno al Ministro Moratti. Ne sono scaturiti incontri, tecnici e politici - finalizzati ad un ulteriore approfondimento del testo del decreto e delle osservazioni delle Regioni -, realizzati con l’obiettivo esplicito di lavorare congiuntamente alla stesura definitiva di un testo condiviso. Tale intenzione è stata manifestata sia nella nota del Ministro Moratti agli Assessori con la quale si evidenziava un’apertura del MIUR rispetto alle richieste formulate dalle Regioni, sia negli incontri tecnico-politici promossi dal Sottosegretario Aprea.

Ma l’auspicato confronto e la sollecitazione esplicita al lavoro congiunto si sono conclusi all’inizio di marzo, dopo la presentazione di una ulteriore versione del testo del decreto (il 3 marzo), che solo parzialmente dimostrava aperture nei confronti delle richieste avanzate dalle Regioni ed auspicate dallo stesso Ministro Moratti.

Il confronto, da allora, non si è più riaperto.

 

 

Analisi del testo del 27 maggio

 

L’analisi dell’ultima versione del testo del decreto mette ancora in luce la persistenza di numerosi e fondamentali punti critici che, in massima parte, già rappresentavano gli elementi di maggior problematicità già individuati dalle Regioni nel febbraio scorso.

 

Il netto dissenso delle Regioni nasce da questioni di metodo e di merito.

 

 

1) Intesa/parere

 

Sul piano del metodo occorre ricordare che le Regioni hanno richiesto fin da principio che lo schema di decreto fosse sottoposto ad intesa, in quanto tratta materie inerenti la competenza esclusiva delle Regioni in tema di istruzione e formazione professionale e concorrente in tema di istruzione. Pertanto, per la sua approvazione non è sufficiente l’acquisizione del parere. Tale richiesta, rinviata dal MIUR alle determinazioni della Presidenza del Consiglio, aveva ricevuto un accoglimento sostanziale nella nota del Ministro Moratti, la quale assicurava che “il decreto legislativo che, per le norme aventi per oggetto ambiti di competenza esclusiva delle Regioni, sarà sicuramente adottato d’intesa con le Regioni stesse….”. Il testo approvato il 27 maggio, invece, prevede la sola acquisizione del parere.

 

 

2) Disegnare la cornice ordinamentale

 

Le Regioni avevano sottolineato la necessità di limitare il raggio d’azione del decreto all’aspetto ordinamentale, senza addentrarsi in indicazioni di natura gestionale ed organizzativa.

 

Tuttavia, per quanto il Governo abbia dichiarato di volersi limitare ai soli aspetti ordinamentali, il decreto legge in realtà opera di fatto un ben preciso e notevole trasferimento di competenze: il passaggio dell'istruzione e formazione professionale alle regioni. Oltretutto tale trasferimento è disposto senza indicare le modalità ed i finanziamenti necessari per la sua concreta attuazione.

 

La legge 53/2003 non contiene nessuna indicazione circa l’assetto di competenze Stato-Regione per cui, come è stato già eccepito dalle regioni e apparentemente accettato dallo stesso Governo, è evidente che qualsiasi previsione contenuta nel decreto che superi l’aspetto ordinamentale per decidere invece sugli aspetti gestionali e sull’assetto delle competenze, è  da considerarsi nettamente fuori della delega concessa al Governo con la legge 53/2003 (mentre dovrebbe esser collocata nell'ambito della legge 5 giugno 2003, n. 131 - legge La Loggia) e come tale sarà oggetto di sicuri ricorsi alla Corte Costituzionale.

 

L'applicazione della previsione decreto con lo "scorporo" gestionale dell'istruzione formazione professionale dal sistema dei licei sancirebbe la fine dell'unitarietà del sistema di Istruzione nel Paese che è la conseguenza giudicata dalle Regioni più grave e devastante.

 

Erano stati inoltre individuati alcuni punti essenziali al disegno della “cornice ordinamentale" tra i quali:

-         la salvaguardia dell’autonomia scolastica

-         i tempi di entrata in vigore del decreto

-         le intese e gli accordi di attuazione.

Rispetto al tema dell’autonomia scolastica (art. 1, c. 4), tra l’altro, si esprime perplessità rispetto al fatto che risulta omesso il riferimento all’autonomia finanziaria.

 

Rispetto al tema dei tempi e della necessaria gradualità di entrata in vigore del decreto, tenuto conto della complessità dell’intera operazione, appare non realizzabile l’ipotesi di avvio prevista per l’anno scolastico 2006-2007. Tale indicazione peraltro non appare né necessaria né opportuna all’interno del decreto, che potrebbe limitarsi alla sola esplicitazione generica, senza specificare la data, ovvero, nel caso si valuti opportuno mantenere il riferimento anche alla data, rimodularne i tempi in modo più realistico e flessibile, tenendo conto dell’esigenza di emanare atti successivi, indispensabili per la sua concreta applicazione.

 

L’entrata in vigore del decreto infatti non può avvenire senza la puntuale definizione della complessa, correlata e parallela operazione di trasferimento di competenze previste dall’attuazione del Titolo V.

Questo passaggio dovrebbe realizzarsi con un ovvio criterio di gradualità data l’estrema complessità della materia. Tale gradualità è ammissibile solo sul piano del progressivo trasferimento di funzioni trasversali, così come aveva già incominciato a delineare il decreto legislativo 112/98 partendo dalle competenze relative alle funzioni di programmazione, non “sezionando” verticalmente la scuola in settori trasferiti e in settori mantenuti alla competenza dello Stato.

 

Rispetto, infine, all’aspetto di attuazione, richiamato nello schema di decreto all’art. 31, si segnala il mancato riferimento allo strumento dell’Accordo là dove si prevede la realizzazione di interventi di riconversione del personale docente, finalizzati ai trasferimenti in altri comparti della P.A., la cui responsabilità programmatoria risulta in capo solamente al MIUR, di concerto con il Ministero della Funzione Pubblica, lasciando sullo sfondo le Regioni. Nella Relazione tecnica di accompagnamento, inoltre, vengono già adottate soluzioni che prefigurano il nuovo assetto dell’Istruzione e Formazione Professionale, là dove il personale docente degli Istituti Tecnici viene calcolato come già trasferito ai Licei Tecnologici ed Economici, lasciando fuori dal computo stesso (ed in carico alle Regioni) quello degli Istituti Professionali. Si viene così ad operare una indebita e surrettizia azione unilaterale di trasferimento gestionale, analoga a quella esplicitamente prefigurata nelle prime versioni del decreto e poi modificata dallo stesso MIUR perché fortemente contestata dalle Regioni.

 

 

3. Esplicitazione delle problematiche derivanti dagli aspetti gestionali presenti nel Decreto legislativo.

 

Gli aspetti gestionali presenti nel decreto legislativo derivano principalmente dalle poche disposizioni di carattere attuativo in esso contenute, per cui il riferimento normativo essenziale deve essere identificato nel comma primo dell’Art 27 dove si afferma che:

 

 “A decorrere dall’anno scolastico e formativo 2006/2007 sono avviati, rispettivamente, la prima classe del primo biennio dei percorsi liceali di cui al Capo II ed il primo anno dei percorsi di istruzione e formazione professionale  di cui al Capo III”

 

 In realtà il quadro normativo che deve presidiare la delicata e fondamentale fase attuativa degli ordinamenti del secondo ciclo risulta, nel decreto, estremamente scarno se non del tutto assente, cosicché  uno dei pochi elementi certi di tale fase e forse l’unico che viene ad essere determinato con precisione e cioè la data di inizio del processo di attuazione, acquista, in questo quadro di assoluta indeterminatezza, un singolare e preoccupante significato: conosciamo la data certa di inizio del processo ma nulla è definito circa le sue modalità.

Nel decreto manca infatti qualsiasi previsione sui soggetti che daranno vita al procedimento attuativo,  sulle loro competenze e sulle norme e disposizioni che dovrebbero necessariamente regolare questa delicata e complessa fase.

 In sostanza chi “avvierà” sul territorio nazionale i percorsi?  Il Ministero, le singole Istituzioni scolastiche autonome ?

Nel primo caso  si ripresenterebbe sulla scena della scuola italiana una sconcertante e del tutto anacronistica visione centralista che farebbe impallidire le più totalizzanti visioni stataliste del secolo scorso, nel secondo caso l’autonomia delle singole istituzioni sarebbe svincolata da qualsiasi contesto minimamente organico di programmazione territoriale e risulterebbe del tutto autoreferenziale con le conseguenze immaginabili per la tenuta del sistema di istruzione. In entrambi questi casi la determinazione dei percorsi risulterebbe, fra l’altro, estranea a quella logica di integrazione con il territorio che è elemento essenziale di una scuola secondaria superiore che voglia orientarsi anche sulla formazione di base delle professionalità richieste dal contesto produttivo ed economico.  

La soluzione corretta in realtà è già  prevista nell’ordinamento ed è quella delineata dagli artt. 138 e 139 del decreto legislativo 112/98 e cioè la programmazione dell’offerta formativa integrata e della rete scolastica attraverso la quale il fondamentale ruolo delle Istituzioni scolastiche autonome viene ad essere inserito nel quadro del necessario concerto con le altre Autonomie locali, rispetto al quale le Regioni svolgono le loro essenziali funzioni di regia e di definizione della cornice programmatica di riferimento.

Se questo è , come ci auguriamo, il quadro normativo di riferimento è assolutamente necessario che questo rimando  sia chiaramente esplicitato nel testo del decreto al fine di evitare qualsiasi incertezza o dubbio interpretativo.

La mancanza di un esplicito riferimento a questa fondamentale collocazione del processo di avvio dei nuovi percorsi nelle forme e nei modi  della programmazione territoriale, si unisce con l’assoluta assenza nel decreto di qualsiasi criterio ed indirizzo tale da orientare in via generale e mantenere in una logica di sistema il processo di trasformazione degli attuali indirizzi nei nuovi percorsi.

Si è dibattuto molto, ad esempio, sui problemi che deriverebbero dalla totale trasformazione degli attuali Istituti tecnici nei percorsi liceali dando per scontato questo risultato, ma questa “certezza” che si da per consolidata dove è affermata nel decreto? In realtà, in mancanza di qualsiasi criterio ed orientamento di massima per guidare il processo di trasformazione, tutti i risultati sono teoricamente possibili anche quelli fra di loro più estremi e divaricati. Così ad esempio, per assurdo, nessun corso degli attuali Istituti Tecnici potrebbe trasformarsi in percorso liceale, come all’opposto e più probabilmente, oltre a tutta l’Istruzione tecnica anche molta parte dell’attuale Istruzione professionale ed artistica, quella più strutturata, potrebbe dar vita a percorsi liceali.

In sostanza non è assolutamente definito nel decreto chi governerà questa trasformazione e secondo quali criteri di massima essa dovrà svilupparsi, per cui occorre essere pienamente consapevoli che l’entrata in vigore del decreto apre un rilevante processo di riforma della scuola totalmente al buio.

In questo quadro di totale indeterminatezza degli aspetti attuativi permane tuttavia l’unica ed ineludibile certezza e cioè che a decorrere dall’anno scolastico 2006/2007 “saranno avviati” i percorsi liceali e di istruzione e formazione professionale.

Data questa certezza domandiamoci nuovamente chi avvierà i percorsi di istruzione e formazione professionale.

Il decreto anche in questo caso è privo di disposizioni esplicite ma dal momento che dall’anno scolastico 2006/2007 anche i  percorsi di istruzione e formazione professionale dovranno essere “avviati” è necessario trovare comunque nel decreto una risposta rispetto a questa domanda.

L’unico possibile elemento per trovare una soluzione a questo fondamentale quesito, cui comunque il decreto avrebbe dovuto dare una definizione esplicita ed organica, può essere identificato nella formula di avvio di quasi tutti  gli articoli del Capo III, quello appunto che ordina i percorsi di istruzione e formazione professionale.

La formula di avvio recita infatti “Le Regioni assicurano” . Il verbo “assicurare” implica non solo la determinazione del quadro ordinamentale ma contiene anche l’onere per le Regioni di dover ”assicurare” cioè garantire la concreta realizzazione di tutta una serie di “livelli essenziali” strettamente connessi con  l’attuazione e la gestione di tali percorsi.

Da ciò si desume come il decreto sancisca che dall’anno scolastico 2006/2007 l’avvio e la gestione dei percorsi di Istruzione e formazione professionale non possa  competere altro che  alle Regioni le quali appunto dovranno assicurarne le condizioni materiali di attuazione.

Questo è lo sconfinamento gestionale del decreto ed il punto in cui, pur nella grave assenza di chiare ed esplicite indicazioni, si può logicamente desumere la nascita attraverso il decreto legislativo del canale subalterno dell’istruzione e formazione professionale affidato alla competenza gestionale delle Regioni.

Se poi si trattasse solo dell’infelice scelta del verbo “assicurare” il problema non cambierebbe ma anzi per certi aspetti sarebbe ancora più grave perché rimarrebbero nel decreto senza risposta  queste fondamentali domande: chi avvierà a decorrere dal 2006/2007 i percorsi di istruzione e formazione professionale e soprattutto chi ne sosterrà l’onere finanziario, quale fine faranno gli attuali Istituti di Istruzione Professionale ed  Artistica statali ?

In sintesi è possibile affermare che gli aspetti connessi all’avvio del processo di attuazione del decreto rappresentano inevitabilmente  il punto di passaggio dagli aspetti ordinamentali a quelli gestionali e questi a loro volta aprono la questione ineludibile della ripartizione delle competenze fra Stato e Regioni e delle modalità di trasferimento delle funzioni amministrative fino ad ora svolte dallo Stato nel campo dell’istruzione professionale ed artistica .

In questi termini risulta chiaro che qualsiasi previsione “attuativa” dell’impianto ordinamentale definito dal Decreto, implica necessariamente l’emanazione di disposizioni gestionali e se in queste viene a determinarsi, anche in via di fatto o residuale, un trasferimento di competenze alle Regioni questo trasferimento , come spiegato in altre parti del documento, è da considerarsi al di fuori della delega concessa al governo dalla legge 53/2003 in quanto in essa non previsto.

 La  risoluzione infatti degli aspetti di ripartizione e definizione delle competenze  derivanti dai dettami del nuovo Titolo V della Costituzione rientra nella sfera normativa della legge  5 giugno 2003, n.131 (legge La Loggia)  e non in quella della legge 53/2003.

Da quanto sopra deriva che qualsiasi previsione attuativa degli aspetti ordinamentali stabiliti nell’ambito della legge delega 53/2003 per il secondo ciclo se determina, direttamente o indirettamente, in forma esplicita o residuale, trasferimenti gestionali alle Regioni deve svilupparsi in parallelo ed in sincronia con i processi   previsti dalla legge 131/2003.

Occorre infine ribadire che in questo quadro problematico qualsiasi opzione di tipo sperimentale promossa unilateralmente dal Governo non solo renderebbe ancor più confusa ed indeterminata una situazione normativa già di per se stessa complessa e contraddittoria, ma accrescerebbe le possibilità di potenziale contenzioso con le Regioni senza dare nessuna risposta organica alle gravi lacune esistenti nel decreto legislativo sugli aspetti attuativi del nuovo ordinamento del ciclo secondario, sopra illustrate.  

 

 

4) I percorsi di istruzione e formazione professionale: definizione dei LEP- Livelli Essenziali delle Prestazioni

 

Le Regioni hanno richiesto fin da principio di snellire il testo del decreto, in particolare la sezione dedicata ai percorsi di istruzione e formazione professionale, focalizzando l’attenzione sulla individuazione dei LEP e non entrando nel merito della definizione degli standard minimi, se non per gli aspetti esplicitamente indicati nella legge 53/2003 (PECUP e standard formativi necessari alla spendibilità nazionale dei titoli).

Tale richiesta risultava accolta nella nota del Ministro Moratti che assicurava “quanto ai LEP convengo sull’avviso che la parte del testo ove essi sono trattati debba essere alleggerita, evitando eventuali ambiguità interpretative delle norme e rinviando la definizione degli standard agli Accordi in sede di Conferenza Unificata”. Il decreto approvato il 27 maggio evidenzia un indubbio alleggerimento del testo nella direzione indicata dalle Regioni, ma rimangono ancora numerosi passaggi che trascendono i LEP intesi come “ambiti relativi ad assicurare un livello uniforme di godimento di prestazioni dei diritti sociali” per collocarsi su un terreno di definizione organizzativa del sistema di istruzione e formazione professionale. Il mantenimento di tali riferimenti, seppur ridotti rispetto alle versioni precedenti, lede la competenza esclusiva regionale, vincolando a indicazioni nazionali la necessaria e opportuna caratterizzazione locale del sistema regionale di istruzione e formazione professionale.

A titolo esemplificativo si segnala il vincolo posto all’art. 19, c. 1, sui requisiti dei docenti o quello all’art. 21, c. 1, lettera e) sul corso annuale integrativo (che le Regioni potrebbero predisporre organizzativamente in modo diverso).

 

5) Istituzioni formative e percorsi formativi: la questione CAMPUS

 

Uno dei punti centrali che le Regioni avevano individuato quale condizione di garanzia dell’unitarietà e pari dignità del sistema educativo di istruzione e formazione era la distinzione tra percorsi formativi e le istituzioni che devono erogare tali percorsi, termini che nelle precedenti edizioni del decreto apparivano sovente in sovrapposizione, ingenerando una pericolosa confusione tra livello ordinamentale e livello gestionale. Più volte nel testo, ad esempio, si faceva riferimento ai “licei”, intendendo con tale termine sia i percorsi liceali sia le istituzioni liceali. Spingendosi ancor più in avanti con la riflessione su tale necessaria e opportuna distinzione, le Regioni avevano prefigurato la possibilità, riconosciuta dalla normativa in tema di autonomia delle istituzioni scolastiche, di programmare presso una stessa istituzione l’offerta di più “percorsi" sia liceali sia di istruzione e formazione professionale, prospettando così, quale scelta da operare su un piano di natura prettamente organizzativo-gestionale, tale soluzione. In merito a tale opzione il MIUR nell’ultima versione del decreto non ha modificato la propria posizione iniziale, stravolgendo addirittura il significato e la portata della soluzione prospettata dalle Regioni, laddove, individuato il “Campus” quale “centro polivalente …”, si sostiene che “Alla trasformazione degli attuali istituti di istruzione secondaria superiore, nei centri polivalenti di cui al presente comma, si provvede con decreto del Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze …”, sottintendendo nuovamente l’equivalenza dei percorsi offerti come una sorta di nuova Istituzione. Tale ipotesi finisce inoltre per esautorare (attraverso il ricorso ad un decreto del MIUR di concerto con il MEF) una modalità organizzativo-gestionale che è di competenza esclusiva delle autonomie scolastiche, misconoscendo al contempo le competenze delle Regioni per quanto attiene alla programmazione dell’offerta formativa ed alla rete scolastica di cui alle lett. a) e b) 1° comma, dell’art. 138 del D.lgs 21 marzo 1998, n. 112, nonché la competenza delle Province ad istituire, fondere e aggregare le istituzioni del secondo ciclo, parimenti prevista alla lett. a) del primo comma dell'art. 139 dello stesso D.lgs.

 

7) Passaggi reciproci fra i sistemi

 

Analogamente, il quadro unitario del sistema educativo nazionale, all’interno del quale l’offerta formativa si articola nei suoi vari segmenti e percorsi dotati di pari dignità, con la possibilità di reciproci passaggi sia verticali che orizzontali, viene compromesso dal c. 8 dell’art. 1 dello schema di decreto, ove si prevede che “la frequenza con esito positivo di qualsiasi indirizzo di cui all’art. 2 c. 8, o livello del 2° ciclo, comporta l’acquisizione di crediti certificati che possono esser fatti valere ai fini della ripresa degli studi eventualmente interrotti, nei passaggi tra i diversi percorsi”. La sostituzione del termine “segmento” con “indirizzo o livello” allude al fatto che solo i pezzi interi dei percorsi possono essere valutati come credito acquisito, e che gli allievi acquisiscono crediti solo se “promossi”: l’esatto contrario dello spirito della L.53/2003, dell’Accordo del 28/10/2004 e di tutte le indicazioni europee.

Al di là di ciò, i due termini in questione, segmento e indirizzo, non possono esser ritenuti interscambiabili, poiché il primo si lega a una prefigurazione del sistema educativo unitario e di pari dignità - all’interno del quale convivono pariteticamente diverse articolazioni dell’offerta formativa complessiva -, mentre il secondo si lega direttamente ed esclusivamente alla pur varia offerta formativa dei percorsi liceali.

 

8) Liceizzazione dell’istruzione tecnica

 

Nel suo complesso il testo del decreto compie una decisa svolta nella direzione di una ulteriore spinta alla liceizzazione dell’intero sistema educativo, a scapito dell’affermata pari dignità dei sistemi dell’istruzione e dell’istruzione e formazione professionale, con la conseguente marginalizzazione di quest’ultima. Ciò si evince, in particolare, dalla configurazione del futuro Liceo tecnologico, che, così come formulata, rivela una impostazione che tende al progressivo spostamento verso le istituzioni liceali dell’intera esperienza degli attuali istituti tecnici, trascurando appieno il sistema di istruzione e formazione professionale che risulterebbe estraneo a tale riassetto, con una evidente funzione residuale.

L’ultima versione del decreto definisce all’art. 10 l’assetto dei licei tecnologici, che presenta una espansione di indirizzi manifestamente in  sovrapposizione con l’offerta formativa del sistema di istruzione e formazione professionale, esautorando la sua capacità di attrarre utenza interessata all’approfondimento di studi tecnici e tecnologici con la finalizzazione dell’inserimento lavorativo.

Tutto ciò è confermato anche dai criteri di calcolo adottati nell’allegata relazione tecnica.

 

La destinazione degli attuali istituti tecnici è tema assai delicato, che ha visto e vede tuttora posizioni contrastanti e necessita, pertanto, di un approfondito confronto sulle peculiarità di tale segmento formativo, che si colloca all’intersezione tra i due sistemi che compongono il più ampio sistema educativo di istruzione e formazione professionale.

 

9) Risorse

 

Sul punto controverso delle risorse, Il MIUR ha sempre sostenuto l’adeguatezza dei finanziamenti per attuare il processo di riforma e sostenere l’innalzamento del diritto-dovere.

Il testo approvato dal Consiglio dei Ministri prevede un finanziamento massimo fino a 45 milioni per il 2006 e di 43 milioni a decorrere dal 2007, (risorse previste peraltro dalla Finanziaria 2005 - L.311/04).

Il finanziamento è destinato al funzionamento amministrativo-didattico delle “istituzioni scolastiche”, alle spese di personale e, infine, al mancato introito delle tasse scolastiche in virtù dell’innalzamento di un anno del diritto-dovere.

Le somme così individuate sono destinate solo ai “licei”, lasciando senza certezze la copertura del finanziamento dell’istruzione e formazione professionale, sia per l’aspetto del funzionamento amministrativo, sia per l’aspetto relativo al personale, nonostante che al comma 1 dell’art. 30 si parli di “onere derivante dal presente decreto”. Infatti, le somme sono calcolate non sulla base di tutta la popolazione soggetta al diritto-dovere, ma limitatamente all’ambito della sola istruzione, nonostante il nuovo D.Lgs. 76/2005 sul diritto-dovere affermi la possibilità di assolvimento dello stesso anche nelle “istituzioni formative”.

 

Risulta improponibile che alla dettagliata ed invasiva definizione dei livelli essenziali delle prestazioni poste in capo alle Regioni non corrisponda una altrettanto precisa valutazione degli aspetti finanziari conseguenti. Risulta pertanto confermato il timore, già espresso dalle Regioni, che il peso finanziario del secondo canale dell’istruzione e formazione professionale gravi interamente sui bilanci regionali.

 

Eppure, le Regioni, ritenendo improponibile l’ipotesi di una riforma a costo zero, avevano ribadito la necessità:

a.       di assicurare, così come peraltro garantito dallo stesso Ministero, un adeguato finanziamento per l’attuazione del diritto-dovere per gli aspetti di competenza regionale;

b.      di definire le risorse da destinare al sostegno della fase transitoria della riforma;

c.       di garantire la piena copertura finanziaria della sperimentazione triennale di IFP, sulla base della domanda  effettiva e potenziale.

 

A tale richiesta il Ministro Moratti aveva risposto, nella citata nota, che “Sul problema delle risorse posso assicurarvi il mio personale impegno perché venga prevista l’istituzione di un apposito fondo dal quale possano trarsi i finanziamenti necessari per contribuire al sostegno degli interventi programmati dalle Regioni per potenziare e sviluppare i percorsi di istruzione e formazione professionale attivati sulla base dell’Accordo Quadro del 19 giugno 2003”.

 

Appare urgente un’azione di verifica e di confronto sulla questione.

 

10) Raccordo con gli altri decreti attuativi della delega

 

Rimane di primaria importanza la necessità di un raccordo, peraltro già richiesto  dalle Regioni, con gli altri decreti attuativi della delega già emessi (ci si riferisce in particolare ai decreti sul diritto-dovere, con riferimento specifico agli artt. 5 e 6 sul riconoscimento dei crediti e dei passaggi, e sull’alternanza scuola-lavoro) e degli Accordi in sede di Conferenza Stato-Regioni e Unificata, al fine di raggiungere una formulazione coerente, in primo luogo dal punto di vista linguistico, tra i provvedimenti emanati e in corso di emanazione. Tale richiesta, peraltro, aveva incontrato il parere positivo del Ministro Moratti che nella nota ha condiviso “… l’esigenza di un organico raccordo tra il citato decreto e gli altri decreti attuativi della delega …”.

 

 

11) Disposizioni particolari per le regioni a statuto speciale e le province autonome

 

Nell'ottica di salvaguardare l'effettività delle competenze spettanti alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome di Trento e Bolzano, in linea con la clausola di salvaguardia, riconosciuta dalla legge delega che con il decreto si intende attuare, si propone il seguente emendamento:

 

Art. 29 (Disposizioni particolari per le Regioni a statuto speciale e le Province autonome di Trento e Bolzano)

Nel comma 1 le parole "All'attuazione del presente decreto nelle Regioni a statuto speciale e nelle Province  autonome di Trento e Bolzano si provvede" sono sostituite dalle seguenti: "Alle finalità del presente decreto provvedono nei rispettivi territori le Regioni a statuto speciale e le Province autonome di Trento e Bolzano".

 

12. Posizione delle Regioni Lombardia, Veneto e Molise.

In merito al documento, le Regioni Lombardia, Veneto e Molise, pur condividendo buona parte delle osservazioni critiche e delle osservazioni in esso evidenziate, ritengono che:

 

1)      la richiesta di Intesa sull’intero decreto non trovi riscontro in quanto previsto sia dalla Costituzione (che riserva potestà esclusiva allo Stato in materia di norme e principi generali sull’Istruzione, nonchè in materia di Livelli Esenziali delle Prestazioni per quanto concerne l’Istruzione e Formazione Professionale), sia dallo stresso articolato della L. 53/03, che, come osservato dallo stesso CNPI, riserva tale acquisizione specificamente alle materie regolamentate dall’art. 7 (modalità di riconoscimento e valutazione dei crediti; quota dell’orario obbligatorio spettante alle Regioni; nuclei essenziali dei piani di studio; standard formativi minimi) o, comunque, a tutti quegli aspetti che travalicano il livello dei LEP (come ad esempio alcuni passaggi presenti all’art. 1 della versione 27 maggio 2005).

La richiesta di Intesa, è dunque necessaria, ma limitata ai suddetti casi.

 

2)      la condivisa necessità di procedere nell’iter di approvazione del decreto, ossia sugli aspetti di natura ordinamentale oggetto della delega, contestualmente agli altri aspetti necessari a dare effettiva attuazione alla riforma, non presuppone la preliminare e completa risoluzione degli elementi riconducibili agli standard formativi relativi alle competenze tecnico professionali ed alle figure e titoli in esito ai percorsi di istruzione e formazione professionale; tali elementi sono di esclusiva competenza regionale e rispetto ad essi è in atto un confronto tra le Regioni stesse, nelle sedi dalle stesse individuate (Progetto Interregionale “descrizione e certificazione delle competenze”): a tale riguardo, correttamente, la bozza di decreto, all’art 18, comma 1., lettera d), rimanda ad un percorso non più centralistico, che vede le Regioni stesse come protagoniste delle definizione del quadro nazionale degli standard professionali di riferimento e della riconoscibilità delle figure, percorso che prevede la forma degli Accordi in sede di Conferenza Unificata a norma del decreto legislativo n. 281/97.

Le Regioni Lombardia Veneto e Molise ritengono, pertanto, necessario ed opportuno l’attivazione e lo sviluppo contestuale dei tavoli sia tecnici che istituzionali; ritiene altresì necessario sostenere e salvaguardare il processo da parte delle regioni attualmente in corso di costruzione di un ambito condiviso di standard e di certificazioni delle competenze, senza ricadere in vecchie logiche di definizione aprioristica.

 

 

Roma, 14 luglio 2005.



[1] La sentenza CC n. 13 del 13/1/2004 recita: ”Nelle more dell’attuazione dell’art.119 Cost. e quindi nell’ambito delle norme finanziarie attualmente vigenti e delle persistenti competenze dello Stato ed in vista della compiuta realizzazione del disegno costituzionale, ben possono le Regioni esercitare le competenze gestorie che la Costituzione ad esse attribuisce”. In aggiunta la Corte evidenzia che: “L’art. 22 comma 3 della legge n. 448 del 2001 deve pertanto continuare ad operare fino a quando le singole regioni si saranno dotate di una disciplina e di un apparato istituzionale idoneo a svolgere le funzioni di distribuire gli insegnanti tra le istituzioni scolastiche nel proprio ambito territoriale secondo i tempi ed i modi necessari ad evitare soluzioni di continuità del servizio, disagi agli alunni e al personale e carenze nel funzionamento delle istituzioni scolastiche”.

Sulla base di tali presupposti, la sentenza citata dichiara: “l'illegittimità costituzionale dell'articolo 22, comma 3, della legge 28 dicembre 2001, n. 448 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2002), nella parte in cui non prevede che la competenza del dirigente preposto all'Ufficio scolastico regionale venga meno quando le Regioni, nel proprio ambito territoriale e nel rispetto della continuità del servizio di istruzione, con legge, attribuiscano a propri organi la definizione delle dotazioni organiche del personale docente delle istituzioni scolastiche”.