Conferenza Regioni
e Province Autonome
Doc. Approvato - Economia: CASSE DI RISPARMIO, CASSE RURALI, AZIENDE DI CREDITO A CARATTERE REGIONALE, ENTI DI CREDITO FONDIARIO E AGRARIO A CARATTERE REGIONALE

giovedì 13 ottobre 2005


 

PARERE SCHEMA DI D. LGS. RECANTE RICOGNIZIONE DEI PRINCIPI FONDAMENTALI IN MATERIA DI “CASSE DI RISPARMIO, CASSE  RURALI, AZIENDE DI CREDITO A CARATTERE REGIONALE, ENTI DI CREDITO FONDIARIO E AGRARIO A CARATTERE REGIONALE”

 AI SENSI DELLA L. 131/2003

 

Punto 2) Odg. Conferenza Stato-Regioni

 

 

 

Con riferimento allo schema di d. lgs di cui all’oggetto, si osserva preliminarmente che l’operazione di ricognizione dei principi fondamentali in materie nelle quali, prima del 2001, le Regioni non avevano alcuna competenza legislativa o normativa, appare di dubbia praticabilità ed utilità.

Ciò anche alla luce della “lettura minimale” che ne ha dato la Corte Costituzionale con la sentenza n. 280/2004, e della mancanza di criteri direttivi conseguente alla declaratoria d’incostituzionalità dei commi 5 e 6 dell’art. 1 della legge 131/2003.

Del resto, anche a voler attuare - a distanza di quattro anni dalla riforma costituzionale - una norma dichiaratamente di prima applicazione, qual è l’art.1, comma 4, della legge suddetta, ne risulterebbe soltanto un quadro di primo orientamento privo di carattere vincolante e inidoneo a costituire di per sé un parametro di validità delle leggi regionali.

Si ricorda che la Corte costituzionale, sin dal 1994 (cfr. sent. n. 224), ha evidenziato che l’assetto istituzionale bancario introdotto dalla normativa comunitaria, orientato verso l’adozione di un modello unico di banca (banca c.d. “universale”) ha comportato un effetto di “despecializzazione” che crea oggettive difficoltà nella qualificazione di banca a carattere regionale. 

Entrando nel merito del testo, lo schema in oggetto è tutto incentrato proprio sulla definizione di banca a carattere regionale.

Tale definizione va ben oltre i confini di una mera ricognizione dei principi fondamentali in materia, in quanto non la si può trarre dalle leggi vigenti ed in particolare dal testo unico in materia bancaria e creditizia.

L’eccedenza dai limiti della ricognizione appare particolarmente evidente laddove, con riferimento alla “localizzazione regionale della operatività”, si rinvia a successivi criteri individuati con regolamento ministeriale, sentita la Banca d’Italia (art. 2, comma 3).

Nel merito, la nozione di banca a carattere regionale risultante dalla combinazione dei due tratti distintivi delineati (l’uno dimensionale/territoriale, l’altro funzionale) è scarsamente realistica, tenuto conto del numero di banche che vi potrebbe rientrare e soprattutto dell’estensione al gruppo bancario del carattere di regionalità.

La suddetta nozione appare, inoltre, fortemente restrittiva soprattutto per quanto concerne il criterio territoriale. Al riguardo si potrebbe immaginare l’adozione di un criterio più flessibile, del tipo: sede e percentuale preponderante di filiali nel territorio della Regione.   

S’imporrebbe, in ogni caso, una verifica costante del mantenimento delle caratteristiche richieste. Non essendo, infatti, configurabili restrizioni in base alla normativa comunitaria (vedi le disposizioni sulla libertà di stabilimento e sulla libera prestazione di servizi), potrebbe verificarsi il caso di banche che inizialmente considerate a carattere regionale perdano poi questa connotazione per effetto, ad esempio, di fusioni, incorporazioni, ampliamento del volume d’affari, o apertura di sedi anche all’estero.

Tali circostanze comporterebbero la cancellazione dall’albo regionale ed il ritorno all’applicazione della disciplina valevole per tutte le altre banche, con conseguenti complicazioni di ordine burocratico. Senza contare il rischio di conflitti di attribuzione che potrebbero insorgere.

Quanto all’art. 3, si osserva che:

§         il comma 1 è in gran parte ripetitivo dell’art. 117, primo comma, della Costituzione;

§         il comma 2 estende alle Regioni a statuto ordinario le disposizioni inderogabili attualmente riferite alle sole Regioni a statuto speciale; tale estensione, per quanto possa sembrare ragionevole, non riveste carattere meramente ricognitivo; 

§         il comma 3 è norma di dettaglio, peraltro non esaustiva delle implicazioni che si potrebbero trarre dall’estensione di cui al comma 2; 

§         il comma 4 non fa che riprendere il contenuto dell’art. 16, comma 1, della legge n. 11/2005 (“Norme generali sulla partecipazione dell’Italia al processo normativo dell’Unione europea e sulle procedure di esecuzione degli obblighi comunitari”) ed è quindi superfluo.

Le Regioni e le Province Autonome sono disponibili da subito confronto costruttivo per addivenire alla definizione di principi fondamentali in materia attraverso un provvedimento legislativo, come previsto dall’art. 117 della Costituzione.

 

Alla luce di quanto sopra, le Regioni e le Province Autonome esprimono parere negativo in ordine allo schema di decreto legislativo di cui all’oggetto.

 

 

Roma, 13 ottobre 2005