FASCICOLI
Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Province autonome
 

27 marzo 2003

NOTA DELLA CONFERENZA DEI PRESIDENTI DELLE REGIONI E PROVINCE AUTONOME

 

Schema del decreto legislativo per l’attuazione della direttiva n. 93/104/CE del Consiglio (e successiva modifica) in materia

di orario di lavoro.

 

 

La problematica va affrontata tenendo presente che due, e ben distinte, sono le coordinate da seguire:

1.      le interconnessioni tra potestà legislativa e contrattazione collettiva con riferimento al settore del pubblico impiego;

2.      i rapporti tra Stato, Regioni e Autonomie locali.

Inoltre occorre affrontare entrambe distinguendo anche tra gli aspetti “sostanziali” e quelli “procedimentali”.

 

1) Profilo “sostanziale”:

Primo punto:

1.      le disposizioni normative in questione rientrano nell’ambito del diritto comune del lavoro.

Se aderiamo a questo “assioma”, ne deriva che le disposizioni in questione vanno a costituire la “legge sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa” che, assieme alle disposizioni del Capo I, Titolo II del Libro V del Codice Civile, disciplinano anche i rapporti di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche (art. 2 comma 2 del D.Lgs. n. 165/01). Peraltro lo stesso schema legislativo, nel definire il campo di applicazione, ne prevede espressamente l’applicazione al settore pubblico (conformemente alla direttiva comunitaria), procedendo quindi nel cammino, iniziato dieci anni fa, di uniformare “le regole del lavoro” tra il settore pubblico e quello privato.

 


 

 

Secondo punto: 

le disposizioni in questione si ripercuotono sullo status giuridico dei dipendenti delle Regioni e delle Autonomie locali.

Dall’”assioma” di cui sopra deriva, come corollario, che la materia rientra nella potestà legislativa esclusiva dello Stato (art. 117 comma 2 della Cost., sia in relazione alla lettera l),  per quanto riguarda il richiamo all’”ordinamento civile”, sia riguardo alla lettera m) per quanto riguarda i “livelli essenziali … concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”).

E’ anche vero però che la direttiva comunitaria in più punti sottolinea come la materia (in particolare: lavoro notturno, riposi ecc.) sia disciplinata a tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori, per cui si potrebbe anche sostenere che vi siano profili di legislazione concorrente.

In ogni caso, esiste un principio costituzionale, quello di “leale collaborazione” (art. 120 Cost.), che deve costituire la pietra di paragone, da utilizzare in ogni tipo di rapporto tra i diversi livelli di governo, soprattutto quando sono in gioco, al di là della farraginosità della legislazione, evidenti interessi comuni, come in questo caso. Non per niente il 20 giugno 2002 la Conferenza Unificata Stato-Regioni-Autonomie locali ha adottato un accordo recante una intesa interistituzionale per l’adeguamento dell’ordinamento alla riforma del titolo V della Costituzione. L’accordo si ispira alla volontà di improntare i rapporti secondo una logica collaborativa, allo scopo, come vi si legge di “pervenire ad una valutazione concertata dei più delicati temi e profili istituzionali”. Il modello collaborativo, che emerge dal disegno costituzionale, impone un rafforzamento dello strumento della consultazione e una maggiore valorizzazione dei luoghi deputati istituzionalmente al dialogo politico e alla mediazione tra i diversi livelli di governo, quale appunto è la Conferenza Unificata Stato -Regioni e Autonomi locali.

 Al di là della “bussola” offerta dai principi costituzionali, ci può essere d’ausilio anche la lettura dell’art. 9 del D.Lgs. n. 281/97 (Definizione ed ampliamento delle attribuzioni della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano ed unificazione, per le materie ed i compiti di interesse comune delle regioni, delle province e dei comuni, con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali), ove vengono elencate le funzioni della Conferenza Unificata. In particolare alla lettera f) del comma 2 si sancisce che quest’ultima “è consultata sulle linee generali delle politiche del personale pubblico  e sui processi di riorganizzazione e mobilità del personale connessi al conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed agli enti locali“.  La disposizione è nata in funzione dei processi di decentramento amministrativo, ma acquista oggi, alla luce del nuovo quadro costituzionale, una portata ancor più significativa.

Peraltro non c’è dubbio che lo schema legislativo che stiamo esaminando costituisce un atto generale di indirizzo in materia di politiche del personale pubblico, andando a incidere in modo così rilevante su aspetti fondamentali del rapporto di lavoro quali l’orario, i riposi, le ferie.

Occorre poi osservare che la materia è strettamente connessa con gli aspetti organizzativi (orario di servizio, ecc.) e quindi incide  sensibilmente su materie che rientrano nella potestà legislativa delle Regioni e nell’autonomia organizzativa di tutte le autonomie.

 

2) Profilo “procedimentale”:

Quindi, per quanto riguarda il profilo “procedimentale”, e per tutto quanto riportato al punto secondo, che precede, la strada che si ritiene di dover percorrere e far valere è quella di chiedere una consultazione della Conferenza Unificata alla luce dell’art. 9 comma 2 lett. f), primo periodo. Peraltro il terzo comma prevede che il Presidente del Consiglio dei Ministri possa sottoporre alla Conferenza unificata oggetti, anche diversi da quelli di cui al comma 2, che siano di “preminente interesse comune delle regioni, delle province, dei comuni e delle comunità montane” (come è la materia in questione, incidendo sullo status giuridico del personale nonché su aspetti organizzativi di non poco conto), anche su richiesta delle autonomie regionali e locali.

Quindi sarebbe opportuno promuovere tale richiesta di esame nel merito della modalità di recepimento della direttiva comunitaria nel nostro ordinamento civile.

 

 

Roma, 27 marzo 2003