FASCICOLI
Conferenza dei Presidenti delle Regioni
e delle Province autonome

AUDIZIONE SENATO

 

ROMA, 18 marzo 2004

AUDIZIONE DELLA CONFERENZA DEI PRESIDENTI DELLE REGIONI E DELLE PROVINCE AUTONOME PRESSO LA COMMISSIONE BILANCIO DEL SENATO NELL’AMBITO DELL’INDAGINE CONOSCITIVA SUGLI EFFETTI E LE TECNICHE DI CONTROLLO DEI FLUSSI DI FINANZA PUBBLICA IN ORDINE ALL’ANDAMENTO DEL DEBITO CON PARTICOLARE RIFERIMENTO ALLA COMPONENTE NON STATALE

Fin da quando vennero istituite le Regioni a statuto ordinario il legislatore si pose il problema di disciplinare e limitare le loro possibilità di indebitarsi.

Infatti le modalità  di attivazione dell’indebitamento delle Regioni furono regolate dall’articolo 10 della legge 16 maggio 1970 n°281 “Provvedimenti finanziari per l’attuazione delle Regioni a Statuto Ordinario” che prevede la possibilità di contrarre mutui ed emettere obbligazioni:

·        esclusivamente per provvedere a spese di investimento nonché per assumere partecipazioni in società finanziarie regionali;

·        purché l’importo complessivo delle annualità di ammortamento per capitale e interesse dei mutui e delle altre forme di indebitamento in estinzione non superi il 25% dell’ammontare complessivo delle entrate tributarie non vincolate della regione;

·        purché il Consiglio Regionale abbia approvato il Rendiconto dell’esercizio di due anni precedenti a quello al cui bilancio il nuovo indebitamento si riferisce.

L’indebitamento delle Regioni non è mai stato quindi, fin dall’inizio, un indebitamento facile e legibus solutus.

Anzi, questa  disciplina normativa   è stata ripresa e confermata con l’articolo 22 della Legge 335/1976 nell’ambito della legge quadro in materia di bilancio e contabilità delle Regioni e quando la 335 è stata riformata  con il decreto legislativo n°76/2000 “Principi fondamentali e norme di coordinamento in materia di bilancio e di contabilità delle regioni in attuazione dell’articolo 1, comma 4 legge 25 giugno 1999 n°208”, la normativa sull’indebitamento è stata aggiornata ma nella sostanza confermata rispetto alla versione precedente.

La legislazione contabile ha collegato, riconfermandoli, gli specifici vincoli posti dalla Legge 281 del 1970 alla disciplina dell’equilibrio di bilancio, e con l’articolo 5 del decreto legislativo n° 76/2000 ha previsto una globale ricomposizione dell’equilibrio finanziario mediante l’autorizzazione all’assunzione di mutui (o altre forme di indebitamento) attraverso la manovra di bilancio. L’autorizzazione all’indebitamento regionale è infatti previsto non in relazione a singole leggi di spesa di investimento ma per fare fronte ad esigenze di copertura da offrire globalmente agli investimenti previsti da specifici stanziamenti di cui in allegato alla legge di bilancio è obbligo dare conto.

Inoltre per assicurare la trasparenza del procedimento di indebitamento la legge prevede altresì la necessità di specificare l’incidenza dell’operazione sui singoli esercizi finanziari futuri nonché i mezzi necessari per la copertura degli oneri ed il coinvolgimento del Comitato Interministeriale per il Credito e per il Risparmio nel caso di emissione di prestiti obbligazionari.

Quindi la normativa dell’ordinamento contabile e finanziario preesistente all' articolo 119 della Costituzione escludeva già ogni finanziamento con indebitamento per la spesa corrente.

Le Regioni solamente in casi eccezionali, preventivamente autorizzati con Legge ordinaria dello Stato e limitati nel tempo hanno potuto contrarre indebitamento – a carico dello Stato o a proprio carico - per far fronte alla copertura di disavanzi pregressi quali quelli per le aziende sanitarie pubbliche e per le aziende di trasporto pubblico (l’ultimo provvedimento di autorizzazione in materia sanitaria è stato previsto dalla legge n°405/2001 di conversione del d.l. 347/2001, art.4, comma 4).

L’articolo 119 del nuovo titolo V della Costituzione, pertanto, ha precluso al legislatore ordinario la  possibilità di autorizzare le Regioni a contrarre indebitamento per fare fronte a spese correnti, possibilità che, come precisato, non era autonomamente agibile dalle Regioni.

Mentre l’articolo 119 della Costituzione restava e resta inattuato nelle parti relative al federalismo fiscale, due leggi finanziarie, negli ultimi anni, hanno ripreso il tema dell’indebitamento delle Regioni.

La legge finanziaria 2003, legge n 289 del 27 dicembre 2002, art.30, comma 15, ha previsto che qualora gli enti territoriali ricorrano ad indebitamento per finanziare spese diverse da quelle di investimento, in violazione dell’art.119 della Costituzione, i relativi atti e contratti sono nulli. Le sezioni giurisdizionali regionali della Corte dei Conti possono irrogare agli amministratori, che hanno assunto la relativa delibera, la condanna ad una sanzione pecuniaria pari a un minimo di 5 e fino a un massimo di 20 volte l’indennità di carica percepita al momento di commissione della violazione.

La legge finanziaria 2004, legge n.350 del 24 dicembre 2003, art.3, commi da 16 a 20 ha introdotto una  forte limitazione delle tipologie di spesa di investimento finanziabili con l’indebitamento. Questa operazione è stata effettuata senza alcun preventivo confronto con le Regioni, anzi in maniera improvvisa e unilaterale tramite un emendamento presentato nella fase finale dell’iter parlamentare, quando ormai i bilanci regionali costruiti sulle vigenti regole erano stati predisposti e in parte approvati, e quindi stravolgendone gli equilibri e praticamente annullando la possibilità per le Regioni di effettuare interventi a sostegno degli investimenti di soggetti quali le imprese, le famiglie e le associazioni, ivi compresi gli interventi a cofinanziamento di programmi di investimento attivati con i fondi strutturali dell’Unione Europea. La norma appare anche in contrasto con forme di indebitamento attivabili dalle Regioni con limiti di impegno autorizzati da altre leggi nazionali.

La legge statale ha quindi attuato il dettato Costituzionale in modo restrittivo, attraverso la puntuale indicazione delle tipologie di investimento, nonostante che la ratio della norma costituzionale sia piuttosto mirata ad escludere il ricorso all’indebitamento per il finanziamento della spesa corrente.

In tal senso la Corte dei Conti, nella relazione sulla gestione finanziaria delle Regioni anni 2001 e 2002, ha osservato che “non è dato desumere dal testo del nuovo articolo 119 Cost. la volontà di restringere il significato del termine ‘investimento’, laddove l’intento è stato semmai di offrire una rafforzata garanzia al divieto di indebitamento per la spesa corrente già esistente nella legislazione ordinaria.” (art. 10 legge 281/70 tuttora in vigore).

Questo intervento restrittivo ha l’effetto di alimentare, come estrema ratio, il contenzioso Stato- Regioni di fronte alla Corte Costituzionale anche perché le Regioni   sono nell’impossibilità di finanziare con risorse diverse dall’indebitamento le spese per contributi agli investimenti delle imprese, delle famiglie e delle associazioni che ammontano ad oltre 2 miliardi € e costituiscono una leva molto importante ai fini dello sviluppo sociale ed economico dei territori regionali.

Né si può invocare a giustificazione di detto intervento che il debito regionale sia fuori controllo, specialmente ora che l’articolo 119 impedisce al legislatore ordinario di autorizzare indebitamento per spese correnti come in passato.

Infatti l’indebitamento delle Regioni a Statuto ordinario rilevato dalla Corte dei Conti nel referto al Parlamento sulle gestioni 2001 e 2002 ammontava alla fine del 2002 a 26,7 miliardi di euro di cui 13,9 miliardi con oneri a carico delle Regioni e 12,8 a carico dello Stato. Inoltre tale indebitamento era ascrivibile per 9,9 miliardi alla copertura della spesa sanitaria e per 17,6 miliardi alla copertura di spese di investimento. In definitiva il debito regionale rilevato dalla Corte dei Conti è di poco superiore al 2 per cento del PIL e contribuisce solo per l’1,96% a costituire lo stock del complessivo debito pubblico.

Inoltre si fa presente che il sistema Regioni è sempre stato adempiente agli obblighi derivanti dalle norme sul Patto di Stabilità Interno così contribuendo al raggiungimento dell’obiettivo previsto dal Patto di Stabilità.

In questi ultimi anni le esigenze di razionalizzazione delle spese perseguite a livello nazionale e regionale hanno reso sempre più necessario un approccio di ottimizzazione anche della gestione delle passività regionali al fine di individuare spazi di riduzione del costo del debito. Come evidenziato anche dalla Corte dei Conti nell’analisi sulla finanza regionale, fra gli strumenti utilizzati a tal fine figurano operazioni di rinegoziazione del debito o una sua estinzione anticipata, gestione del debito sulla base di strumenti derivati.

A questo scopo si richiama l’articolo 41 della legge finanziaria 2002, legge °448 del 28 dicembre 2001, e il relativo decreto ministeriale di attuazione, riguardante gli strumenti di gestione del debito pubblico  che prevede, al fine di contenere il costo dell’indebitamento e di monitorare gli andamenti di finanza pubblica, il coordinamento dell’accesso al mercato dei capitali da parte degli enti territoriali ad opera  del Ministero dell’Economia e delle finanze.

Inoltre si sottolinea che le Regioni, pur in pendenza dell’adozione del Decreto Ministeriale di attuazione del citato art.41, avvenuta nel dicembre 2003, hanno fin da subito pienamente collaborato alle attività di monitoraggio poste in essere dal Ministero dell’Economia.

In definitiva le Regioni trasmettono i dati relativi al monitoraggio dell’indebitamento al Ministero dell’Economia e delle Finanze (che peraltro dispone dei Conti consuntivi e dei relativi conti patrimoniali delle Regioni), alla Banca d’Italia e alla Corte dei Conti dimostrando con questo trasparenza e collaborazione.

Il basso livello del debito unitamente alla prudente e manageriale gestione del bilancio ha contribuito, unitamente alla stabilità politica e alla solidità dell’economia, a fare ottenere ad alcune Regioni giudizi di rating di Standard & Poor’s , di Moodys e di Fitch pari o addirittura superiori a quelli dello Stato: questo ha consentito di ottenere sui mercati internazionali collocazioni di tutto rilievo per quantità e qualità della domanda e per prezzi. Anzi, recentemente Standard & Poor’s ha declassato il giudizio di rating di Lombardia, Emilia Romagna, Toscana e Valle d’Aosta al livello di quello della Repubblica solo per il fatto che le leggi finanziarie 2003 e 2004 hanno bloccato la possibilità per le Regioni di utilizzare la leva fiscale, peggiorando in tal modo per le Regioni i costi di accesso al mercato finanziario.

Questa  situazione  attesta che l’indebitamento regionale non è né di elevata dimensione né fuori controllo.

Considerazioni specifiche a parte vanno fatte per quanto concerne il finanziamento della spesa sanitaria che trova le regole nell’accordo dell’8 agosto 2001 e nelle disposizioni legislative conseguenti e che non può trovare più alcuna copertura mediante l’indebitamento.

Tale accordo ha provveduto a:

·        definire un quadro stabile di evoluzione triennale delle risorse per il finanziamento dei fabbisogni sanitari correlati ai livelli essenziali di assistenza;

·        chiudere definitivamente fra Governo e Regioni la partita finanziaria sulla base del principio della corrispondenza delle risorse alle responsabilità;

·        impegnare le Regioni a far fronte con mezzi propri a eventuali ulteriori esigenze;

·        individuare e definire i L.E.A con apposito DPCM;

·        migliorare l’efficienza e la razionalizzazione dei costi.

Governo e Regioni si sono impegnati “in sede di prima applicazione dei nuovi LEA ad attivare un tavolo di monitoraggio e verifica, presso la segreteria della Conferenza Stato.Regioni, ….. sui suddetti livelli effettivamente erogati e sulla corrispondenza ai volumi di spesa stimati e previsti, articolati per fattori produttivi e responsabilità decisionali, al fine di identificare i determinanti di tale andamento a garanzia dell’efficienza e dell’efficacia del servizio sanitario nazionale.

Governo e Regioni si impegnano inoltre a valutare congiuntamente, nella stessa sede, gli effetti degli interventi concordati ai fini del controllo della spesa per la farmaceutica, per gli altri beni e servizi e per il personale.

Tutto ciò al fine del conseguimento di un’effettiva congruità fra prestazioni da garantire e risorse finanziarie messe a disposizione del SSN.

Il Governo si impegna ad accompagnare  eventuali variazioni di incremento dei Livelli essenziali di assistenza, decisi a livello centrale, con le necessarie risorse aggiuntive.”

Il Governo ha riconosciuto le sottostime dei livelli di finanziamento della spesa sanitaria ed ha adeguato le risorse  come segue:

milioni di euro

2001

2002

2003

2004

Accordo 3 agosto 2000

67.729,71

70.100,25

72.518,71

74.621,82

Accordo 8 agosto 2001

71.271,05

75.596,90

78.564,46

81.275,34

Le Regioni si sono impegnate a coprire le eventuali maggiori spese regionali, nel rispetto dell’Accordo Stato - Regioni dell’8 agosto 2001, con modalità che prevedono :

·        l’introduzione di misure di compartecipazione alla spesa sanitaria (ticket);

·        variazioni delle aliquote di tributi regionali  (manovra fiscale);

·        altre misure idonee a contenere la spesa  ivi compresi gli interventi sui meccanismi di distribuzione dei farmaci.

Con la legge n°405/2001, articolo 4, comma 4, è stata disciplinata l’ultima possibilità di copertura dei disavanzi pregressi, relativi all’anno 2000, attraverso l’autorizzazione a contrarre mutui con oneri a carico dei bilanci regionali.

Gli adempimenti previsti dall’accordo hanno assunto un carattere vincolante per le Regioni dal momento che vi è stata collegata una sanzione di natura finanziaria particolarmente severa ed inizialmente non prevista: le maggiori risorse messe a disposizione sulla base dell’accordo sono erogate con una procedura di gestione della liquidità penalizzante per le Regioni.

 L’erogazione delle disponibilità finanziarie secondo il livello concordato avviene subordinatamente alla conclusione del tavolo di monitoraggio per la verifica degli adempimenti che si attiva l’anno successivo e comporta quindi l’erogazione del saldo delle risorse spettanti con oltre un anno di ritardo.

La dilazione nei tempi di erogazione ha fatto sì che nel 2002 siano stati erogati circa 7 miliardi di € in meno rispetto al fabbisogno (le risorse del 2002 sono state erogate a conclusione del tavolo di monitoraggio a fine 2003 per le Regioni risultate adempienti, nella misura corrispondente al 95% della compartecipazione IVA; resta ancora da erogare il saldo), nel 2003 le minori erogazioni ammontano a circa 8 miliardi di € da incassare dopo le verifiche che si svolgeranno nel 2004.

La Finanziaria 2004, a seguito di un emendamento introdotto su richiesta delle Regioni, stabilisce che per il 2004 le erogazioni di cassa verranno elevate al 95% del fabbisogno complessivo al fine di rimediare almeno in parte al problema, anche se le procedure per conseguire tale liquidità prevedono un Accordo in Conferenza Stato-Regioni sulla verifica degli adempimenti regionali.

In definitiva i tempi per incassare le risorse già assegnate e stanziate nel bilancio dello Stato costringono le regioni a dilatare i tempi di pagamento dei fornitori oppure a contrarre anticipazioni che, se anche non rientrano nella tipologia di indebitamento in quanto vengono chiuse a fine esercizio, generano oneri finanziari e impediscono di ottimizzare e razionalizzare le politiche di acquisto dei beni e servizi: adesso risultano da incassare somme per circa 2,3 miliardi relativi al 2002 e 8 miliardi del 2003, si tratta di risorse non aggiuntive ma somme che fanno parte del fabbisogno coperto, programmato e assegnato.

A questa situazione di scarsa liquidità del sistema si aggiunge il sottofinanziamento rilevato dal tavolo di verifica dei Livelli Essenziali di Assistenza che per l’anno 2001 ha rilevato un ulteriore fabbisogno di 3,9 miliardi. Questo maggior fabbisogno non può non riflettersi  negli anni 2002 , 2003, 2004 per cui il fabbisogno complessivo per il finanziamento dei LEA ammonta dal 2001 al 2004 a circa 18 miliardi di €.

Inoltre a questo maggior fabbisogno si aggiunge la partita rilevante per l’assistenza agli immigrati regolarizzati a seguito della “legge Bossi – Fini”. Le Regioni sono state gravate dei conseguenti oneri senza l’accompagnamento delle necessarie risorse aggiuntive in difformità dell’Accordo dell’8 agosto 2001; la rilevanza finanziaria è valutata in 850 milioni di euro circa per ciascuno degli anni 2004-2005-2006, tenuto conto degli ultimi aggiornamenti del Ministero dell’Interno sul numero di immigrati (650.000).

Roma, 18 marzo 2004