Conferenza Regioni
e Province Autonome
Doc. Approvato - Impresa sociale: osservazioni sulla disciplina

giovedì 9 febbraio 2006


Schema di decreto “Disciplina dell’impresa sociale” attuativo della legge delega n. 118 del 13 giugno 2005

 

 

 

Punto 3) odg Conferenza Stato-Regioni

La Conferenza delle Regioni e Province autonome esprime parere negativo sull’impianto generale dello schema di decreto. Dall’esame del testo del provvedimento si evidenziano le seguenti osservazioni critiche sia di carattere generale che nel merito dei singoli articoli che motivano il parere negativo.

Le Regioni hanno ritenuto di articolare le osservazioni in tre parti:

­       una prima parte dedicata a considerazioni di carattere generale sulle modalità di concertazione che sarebbero state necessarie per addivenire ad un testo condiviso con gli attori sociali coinvolti e quindi significativo per il rafforzamento del sistema integrato di interventi e servizi alla persona e alla comunità;

­       una seconda parte rivolta a considerazioni di carattere più specifico relative al ruolo delle Regioni e della Province autonome che il testo non prende in considerazione;

­       una terza parte infine che interviene su alcuni punti specifici dello schema di decreto in base ai quali sarebbe opportuno definire nelle sedi opportune appositi emendamenti. Dato il carattere trasversale della materia trattata dallo schema di decreto le considerazioni riguardano il settore sociale, il settore della formazione, il settore del lavoro e il settore delle attività produttive.

 

Considerazioni di carattere generale:

Una valutazione attenta del testo di legge avrebbe necessitato di un confronto molto più ampio di quanto non sia stato possibile fare nei tempi previsti, considerato oltretutto che il testo incide su materie inerenti il sociale, il lavoro, la formazione, l’istruzione e le attività produttive. Sarebbe stato inoltre opportuno avviare da subito un confronto congiunto anche con i vari “attori sociali” coinvolti dal provvedimento al fine di ottenere un panorama complessivo di pareri su un testo di legge che ha una forte connotazione trasversale.

In assenza di questo confronto le considerazioni possibili possono riguardare alcune incongruenze più evidenti e soprattutto quelle relative al ruolo che in questo settore viene (o non viene) affidato alle Regioni e alle Province autonome.

 

Considerazioni relative al ruolo delle Regioni e delle province autonome

-          La legge delega 13 giugno 2005, n. 118 prevedeva l’individuazione di norme di coordinamento con le disposizioni vigenti nelle stesse materie e nelle materie connesse, sentita la Conferenza Stato-Regioni. Tale necessità  si fonda sul fatto che le attività che riguardanti l’impresa sociale corrispondono per la gran parte a materie di competenza regionale, come confermato dall’art. 2 dello schema di decreto che considera “beni di utilità sociale” quelli prodotti o scambiati nei settori, tra gli altri, dell’assistenza sociale, dell’assistenza socio-sanitaria, dell’inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati e di disabili. Questo richiederebbe di stabilire, almeno in termini di norme di principio, come le imprese sociali si inseriscano negli ordinamenti regionali e delle province autonome e nelle varie materie (ad esempio prevedendo, a integrazione della legge 328/00, se e come le imprese sociali si aggiungano o si sostituiscano o si equiparino alle altre figure del terzo settore ai fini del regime per esse previsto). A tal riguardo, infatti, le norme di coordinamento contenute nell’art. 17 dello schema di decreto, non riguardano di per sé il rapporto legislazione statale-legislazione regionale e delle province autonome;

-          Completamente assenti sono inoltre riferimenti alle Regioni e alle Province autonome (e agli enti che operano sul territorio) in attività che potrebbero vederle utilmente coinvolte come ad esempio quelle di monitoraggio e di ricerca di cui parla l’art. 16 del testo tenendo oltretutto conto che la competenza circa la gestione amministrativa, l’attività di monitoraggio, controllo e di ricerca necessarie alla verifica della qualità delle prestazioni rese dall’impresa sociale è già in carico alle Province autonome (vedi art. 4 dello Statuto di autonomia della provincia autonoma di Bolzano del 31.08.72 n. 670)

-          Va rilevato inoltre che tutta l’amministrazione della nuova figura è concentrata ne Ministero del welfare e nell’agenzia delle Onlus mentre non vengono coinvolte in nessuna maniera le Regioni pur in presenza del principio di sussidiarietà

-          Su questo punto è assolutamente necessario prevedere nel testo indicazioni precise nelle modalità che si suggeriscono nella parte finale del presente documento.

 

Considerazioni di carattere specifico su alcuni punti del testo

Questioni specifiche riguardanti le politiche sociali

­       Art. 1: Lo schema di decreto introduce la figura dell’impresa sociale senza però stabilire quale sia il regime che ad essa si applicherà o di cui essa beneficerà; in particolare non si affronta il tema delle modifiche che sarebbero necessarie al Codice Civile per permettere anche alle società di capitali di assumere la qualifica di imprese sociali (questione prevista dalla stessa legge delega 118);

­       Art. 2, comma 1: poco chiaro è il riferimento tra gli interventi di “utilità sociale” il riferimento ai “servizi strumentali alle imprese sociali” trattandosi di una definizione generica e di difficile applicazione;

­       Art. 2, comma 2: L’aggiornamento delle categorie delle persone svantaggiate con riferimento alla normativa comunitaria, così come indicato nel comma medesimo, amplia in modo eccessivo tali fattispecie. In particolare, ci si riferisce all’ampliamento di cui alla lettera f) punto I (qualsiasi giovane che abbia meno di 25 anni o che abbia completato la formazione a tempo pieno da non più di 2 anni e che non abbia ancora ottenuto il primo impiego retribuito regolarmente). Una simile estensione, potrebbe avvenire a discapito delle reali categorie con più necessità di sostegno ed assistenza, e comporterebbe il venir meno della mission specifica dell’impresa sociale caratterizzata proprio per la finalità dell’inserimento lavorativo dei soggetti più deboli del mercato del lavoro. Una soluzione potrebbe essere quella di prevedere una percentuale massima con cui limitare la presenza di tali lavoratori, applicando un trattamento di maggior favore per le categorie più svantaggiate. Manca, inoltre, qualsiasi riferimento nella norma in questione alla verifica del permanere della quota del 30% di tali lavoratori o perlomeno un riferimento a forme di controllo esterno.

­       Poiché gli ambiti di attività dell’impresa sociale così come declinati al comma 1 dell’art. 2 sono molteplici e vari, la natura stessa dell’impresa sociale, che è senza scopo di lucro, implicherebbe, rispetto ai divieti di cui all’art. 3, comma 2, lettera a) che essi siano assoluti. Di conseguenza, il divieto di corrispondere agli amministratori, al personale subordinato e autonomo, compensi superiori a quelli previsti dalle imprese che operano nei medesimi settori, non può essere derogato se non con riferimento ai casi disciplinati con leggi specifiche. Pertanto si propone di eliminare la seconda parte del comma da “salvo comprovate…a venti per cento”, sostituendo, dopo “…analoghi settori e condizioni…” con “ fatti salvi i casi disciplinati da leggi specifiche”. Altrimenti la norma sembrerebbe prevedere una situazione di maggior favore per tali amministratori.

­       Artt. 11 e 16 -  In generale il regime dei controlli non è chiaro, fatte salve le funzioni previste all’art. 11 per i sindaci. Dovrebbero ipotizzarsi, infatti, controlli periodici ( per esempio annuali) come per le revisioni delle cooperative sociali. La parte dei controlli risulta carente, né pare sufficiente, ai fini del controllo, la funzione di monitoraggio di cui all’art. 16, che riveste carattere di eventualità e non di obbligatorietà.

­       Art. 13 comma 3: è necessario risolvere l’incongruenza tra la possibilità concessa alle cooperative che siano anche imprese sociali di devolvere il proprio patrimonio nelle modalità previste dal presente decreto (altre Onlus, associazioni, Comitati, Fondazioni ed enti ecclesiastici) e i vincoli posti dall’attuale normativa sulle cooperative sociali che obbliga alla devoluzione al solo fondo mutualistico; ci sarebbe una disparità di trattamento tra cooperative sociali che abbiano scelto di diventare imprese sociali e cooperative sociali che non abbiano scelto in taol senso

­       Art. 14 comma 2: appare esagerata l’ammissibilità di prestazioni di attività di volontariato nei limiti del 50% dei lavoratori a qualunque titolo impiegati nell’impresa sociale

­       Art. 17, comma 3 -  Il comma prevede la possibilità per le cooperative sociali di diventare imprese sociali. La norma in questione sembra avere come conseguenza la discriminazione delle cooperative sociali rispetto alle altre imprese sociali sia nel caso che la cooperativa sociale resti tale, sia nel caso che essa diventi impresa sociale. Infatti, mantenendo la natura giuridica di cooperativa sociale, in ogni caso le stesse restano soggette alla disciplina della legge 381/1991 che pone vincoli molto maggiori di quelli previsti dallo schema di decreto proposto. Inoltre, non risultano chiari i vantaggi nel rimanere cooperativa sociale “tout court”. Inoltre, vi è il rischio di vanificare e disperdere un’esperienza e un patrimonio di imprese come quello delle cooperative sociali, da più di vent’anni operanti nel paese, con notevole patrimonio di esperienza e un grande numero di occupati. Si propone, di conseguenza una rivisitazione complessiva dell’art. 17, comma 3.

Questioni specifiche riguardanti la formazione

-          Nella parte introduttiva della relazione illustrativa dello schema di decreto attuativo della legge 13 giugno 2005, n. 118, recante “Delega al Governo concernente la disciplina dell’impresa sociale” si palesa la necessità di adottare una normativa che “possa tutelare anche i destinatari delle attività ed i creditori, attraverso l’obbligo di procedure organizzative e gestionali, e, più in generale, di comportamenti propri degli imprenditori commerciali” in ambiti in cui è massiccia la presenza del terzo settore. Ed è nell’art. 2 di questo schema di decreto che l’istruzione e la formazione compaiono tra l’elenco di materie di particolare rilievo sociale all’interno dei settori nei quali è più massiccia la presenza di operatori del terzo settore. In particolar modo al punto d) del citato art. 2 si fa riferimento all’educazione, istruzione e formazione con un rimando alla legge del 28 marzo 2003 n. 53, con un chiaro legame quindi alla formazione in diritto-dovere, mentre ai punti h), i) e l) vengono citate rispettivamente la formazione universitaria e post-universitaria, la ricerca e l’erogazione di servizi culturali in genere ed infine la formazione extra scolastica finalizzata alla prevenzione della dispersione scolastica ed al successo scolastico e formativo.

-          Rimanendo nella logica di una normativa volta a tutelare i destinatari delle attività, bisogna mettere in rilievo come all’interno dello schema di decreto in oggetto manchi un qualsiasi riferimento alle procedure di accreditamento regionali che nascono con il precipuo compito di tutelare, tra l’altro, i fruitori dei sevizi di formazione e istruzione sui singoli territori regionali.

-          Appare quindi opportuno inserire tale riferimento all’interno dello schema di decreto vista la posizione non trascurabile che le imprese sociali ricoprono all’interno del panorama educativo-formativo.

 

Questioni specifiche riguardanti il lavoro

-          articolo 2 comma 2  - Per ciò che concerne l’inserimento lavorativo di disabili lo schema di provvedimento proposto dovrebbe opportunamente prevedere un raccordo con la disciplina della L. 68/99 in un’ottica di tutela del lavoro dei disabili. Essa infatti ha come finalità la promozione dell’inserimento e dell’integrazione lavorativa delle persone disabili come disciplinato dall’ art. 1, comma 1 della legge stessa. In particolare, occorrerebbe inserire nell’ambito del dettato normativo una indicazione relativa alle modalità di svolgimento della prestazione lavorativa, alla tipologia contrattuale di inserimento e alle eventuali azioni di accompagnamento all’inserimento lavorativo da predisporre a carico dell’impresa sociale. Peraltro, il riferimento normativo alla legge 68 del 1999 andrebbe richiamato nella premessa.

-          Articolo 2 comma 2 – La formulazione dell’articolo, nel richiamare la qualifica sociale dell’impresa, espressa per le finalità di inserimento al lavoro di soggetti disabili e svantaggiati, pone un problema di raccordo con la disciplina contenuta nell’art. 13 del D.Lgs. 276/03, laddove viene consentito alle agenzie autorizzate alla somministrazione di lavoro, di operare in deroga al regime generale in caso di inserimento lavorativo per disabili e svantaggiate. Non appare chiaro, infatti, se sia contemplata la possibilità per le imprese sociali che svolgono attività di inserimento lavorativo per disabili e svantaggiati di acquisire l’autorizzazione ministeriale a svolgere attività di somministrazione di lavoro. 

-          Art. 2 comma 4,  - Il comma individua la necessità da parte delle imprese sociali di disporre, per l’impiego del 30% dei lavoratori disabili e svantaggiati, di una idonea documentazione proveniente dalla pubblica amministrazione che attesti la relativa situazione. In tal caso la formulazione dovrebbe in primo luogo chiarire la tipologia di documentazione richiesta, poiché in caso di accertamenti sanitari, relativamente alle persone con disabilità, occorrerebbe prevedere un riferimento alle commissioni di cui all’art. 4 della legge 104/92, mentre, nel caso di accertamenti relativi alle condizioni di svantaggio, occorrerebbe evidenziare quali strutture della pubblica amministrazione debbano essere coinvolte e con quali modalità.  

 

Questioni specifiche riguardanti le attività produttive

-          Per quanto riguarda l’incidenza del provvedimento sulle tematiche riguardanti le attività produttive, si propone di integrare all’art. 2 l’elenco delle fattispecie tipiche di impresa sociale con un ulteriore lettera: “commercio equo e solidale di beni, certificato da parte delle associazioni maggiormente rappresentative dei soggetti operanti nel settore oppure scritte in registri previsti dalla legislazione regionale in materia”. Peraltro, a tal riguardo, si segnala l’intervento normativo di diverse Regioni sul tema.

 

Le Regioni Veneto e Lombardia propongono, inoltre, il seguente emendamento, relativo a ruolo e competenze di Regioni e Province autonome:

 

Articolo  di raccordo 17 bis

“Le imprese sociali le cui attività si esplicano nelle materie di competenza regionale sono soggette alla disciplina prevista dalle Regioni e Province autonome in tali ambiti.

Nella applicazione della presente norma vengono altresì garantiti i necessari raccordi con gli ordinamenti regionali e delle Province autonome anche attraverso il coinvolgimento nelle funzioni di monitoraggio e di ricerca.”

 

 

Roma, 9 febbraio 2006