Conferenza Regioni
e Province Autonome
Doc. Approvato - UE: REGIONI ITALIANE PER PROGRAMMA INTEGRATO CRESCITA E OCCUPAZIONE (PICO)

giovedì 22 settembre 2005


CONFERENZA DELLE REGIONI E DELLE PROVINCE AUTONOME 


CONTRIBUTO DELLE REGIONI ITALIANE ALLA DEFINIZIONE DEL PROGRAMMA INTEGRATO PER LA CRESCITA E OCCUPAZIONE (PICO)

PER IL RILANCIO DELLA STATEGIA DI LISBONA

 

 

 

 

 

Roma, 22 settembre 2005

 


 

Indice del documento

 

 

Premessa ………………………………………………………….….… 3

1.     Indirizzi programmatici regionali nel rilancio della strategia di Lisbona: coerenza e integrazione ………………………….…...…. 5

2.     Le Regioni italiane e il rilancio della strategia di Lisbona: un metodo ………………………………………………………...……. 9

3.     Stato e Regioni in un percorso condiviso per un territorio comune nel rilancio della strategia di Lisbona ……….…………….……. 15

4.     La strategia delle Regioni: Priorita’ Orizzontali di Sviluppo …. 21

5.     Le Priorita’ Verticali: un primo approccio …………………….. 42

 

 


Premessa

I cittadini europei vogliono la possibilità di lavorare, poter realizzare i propri progetti di impresa e chiedono strumenti adeguati alle loro necessità, mercati aperti in cui operare, sistemi di comunicazione e di trasporto efficienti ed efficaci. Desiderano conciliare la vita professionale e quella familiare, hanno bisogno di un’idonea formazione per restare al passo con le nuove tecnologie, esigono servizi pubblici funzionanti, un buon sistema previdenziale, un ambiente sano in cui vivere.

Con queste considerazioni della presidenza lussemburghese, evidentemente condivisibili, il Consiglio Europeo della scorsa primavera, ha accolto la proposta della Commissione nonché i contributi del Parlamento europeo, del Comitato delle Regioni, del Comitato economico e sociale europeo e dei partner sociali, invitando le istituzioni comunitarie e gli Stati Membri a farsi protagonisti di un’operazione di rilancio della strategia di Lisbona incentrata sulla crescita e l’impiego, sull’incremento della competitività e sul rafforzamento della coesione sociale.

Il fatto stesso che, a cinque anni dalla definizione dei 24 Orientamenti di Lisbona, si senta la necessità di lavorare per un loro “rilancio” è, tuttavia, la dimostrazione che, a metà del percorso avviato nel 2000, si è ben lontani dal conseguire il proposito di garantire un benessere durevole per tutti i cittadini ed un ambiente competitivo e accogliente per le imprese che operano nell’Unione europea.

Se è vero che le mutate prospettive economiche mondiali hanno oggettivamente ostacolato l’avanzamento di un percorso costruito, invece, in un momento di forte dinamismo e di crescita del sistema Europa, è altrettanto vero che le azioni fino ad oggi poste in essere sono rimaste troppo lontane delle condizioni storico-socio-economiche in atto sul territorio e, di conseguenza, non hanno saputo rispondere alle aspettative di stabilità che provengono dai cittadini comunitari ed hanno avuto un impatto poco significativo sul consolidamento dell’economia europea; lo ha ribadito la presidenza britannica, nel suo recente discorso di insediamento, ma soprattutto lo dimostrano gli indicatori rilevati nelle diverse analisi condotte a livello comunitario e a livello nazionale.

Per questo, con la volontà di considerare i tre aspetti, economico, sociale e ambientale che costruiscono il “modello europeo di società”, le Regioni offrono in questa sede il loro contributo al processo di Lisbona identificando, nel rispetto dell’equilibrio globale della strategia e di una ricercata sinergia fra i suoi differenti elementi, un quadro programmatico di priorità e di politiche di regolazione regionale per una loro puntuale attuazione.

Al Governo centrale e alle istituzioni comunitarie, le Regioni chiedono di agire con altrettanta coerenza, mostrando la determinazione di instaurare un confronto permanente, in una logica di approccio partecipativo delle Regioni al processo che deve divenire di codecisione, e la forza necessaria per mettere a disposizione risorse adeguate, per qualità e quantità, alle condivise necessità di rilancio della strategia europea di sviluppo socioeconomico.

La strategia delle Regioni, definita in un efficace processo di condivisione di linee strategiche comuni e di specifici contributi regionali elaborati a livello locale, individua un percorso per la crescita e l’occupazione in un’ottica di sistema-paese/sistema-Regioni, coniugando strategie per la competitività – individuando la ricerca, l’innovazione, la qualità e la diffusione della conoscenza quali elementi per uno sviluppo solido ed esteso in senso sia fisico che funzionale – con altre finalizzate alla convergenza, virtuose verso l’alto in un processo di miglioramento delle variabili di stato e di sistema, a sostegno di situazioni di maggiore criticità, sociale, strutturale ed economica.

A partire da una ricca mosaicatura regionale, che differenzia i territori modulando situazioni e dinamiche, si è delineata una “formidabile” tensione comune a tutte le Regioni italiane nel partecipare, attivamente e con grande coscienza di ruolo, alla definizione di una strategia unitaria finalizzata al rilancio della strategia di Lisbona, stabilendo un metodo di lavoro (Capitolo 2), condividendo la necessità di instaurare un “clima ed un ambiente” di costante collaborazione tra Stato e Regioni e i dispositivi da attivare a tal fine (Capitolo 3) e strutturando un quadro organico di Priorità delle Regioni per quanto attiene lo sviluppo socioeconomico dei territori regionali italiani, e quindi del paese nella sua totalità e complessità.

 

 

 

 


1. Indirizzi programmatici regionali nel rilancio della strategia di Lisbona: coerenza e integrazione

 

Nell’ultimo quadriennio, l’attività politica e programmatica di tutte le istituzioni comunitarie ha posto grande attenzione alla ridefinizione delle priorità di indirizzo ed intervento a favore della crescita e dell'occupazione, riorientando le politiche di sviluppo in seguito al delinearsi di un quadro socioeconomico mondiale in rapida evoluzione.

Particolarmente impattanti sulla politica europea si sono rivelate, infatti, la generalizzata stagnazione economica mondiale e il preoccupante divario che si è creato tra paesi dalle economie forti (soprattutto USA e Giappone) e gli Stati Membri dell’Unione Europea che, pur in un quadro eterogeneo, fanno fatica a stabilizzare i parametri e le dinamiche di una ripresa economica che, solo per alcuni territori e comparti, comincia timidamente ad affacciarsi. A ciò si assommano gli effetti negativi determinati dal vertiginoso ritmo di crescita dei paesi asiatici emergenti (su tutti, India e Cina) e dall’altrettanto rapido aumento del prezzo del petrolio.

In questo scenario di riferimento, l’Unione Europea ha sancito il rilancio della strategia concordata nel Consiglio Europeo di Lisbona nel Marzo 2000, il cui obiettivo strategico (diventare, entro il 2010, “l'economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo”) richiedeva di intervenire per:

Ø      predisporre il passaggio verso un'economia e una società basate sulla conoscenza, migliorando le politiche in materia di società dell'informazione e di R&S, accelerando il processo di riforma strutturale e completando il mercato interno;

Ø      modernizzare il modello sociale europeo, investendo nelle persone e combattendo l'esclusione sociale;

Ø      sostenere il contesto economico sano e le prospettive di crescita favorevoli applicando un'adeguata combinazione di politiche macroeconomiche.

Il modello di sviluppo europeo è poi stato completato da due ulteriori fondamentali tappe: la prima, con l’approvazione, nel Consiglio Europeo di Nizza del Dicembre 2000, dell’Agenda Sociale, per “realizzare la piena occupazione e mobilitare tutte le potenzialità occupazionali disponibili”, affermando, tra l’altro, “la dimensione sociale della mondializzazione”; la seconda, con la definizione, nel Consiglio di Göteborg del giugno 2001, di una strategia per lo sviluppo sostenibile, che ha aggiunto una dimensione ambientale al processo di Lisbona.

Nel 2004, la Terza relazione sulla coesione economica e sociale ha posto le basi per una revisione delle politiche di coesione in atto a fronte del mutato quadro internazionale puntando su Convergenza – Competitività – Cooperazione.

Tale quadro complesso, che costituisce il corpus iuris di riferimento per la programmazione allo sviluppo da parte di tutti gli Enti Locali dello spazio europeo, è stato riaffermato e rielaborato negli ultimi due Consigli europei di Marzo e Giugno 2005. In particolare, nello scorso mese di Marzo, si è determinata una forte coerenza tra gli Obiettivi Strategici 2005-2009 presentati dalla Commissione al Consiglio e le conclusioni a cui il Consiglio stesso è pervenuto.

Gli Obiettivi Strategici della Commissione, infatti, sono stati essenzialmente declinati in Prosperità, Solidarietà e Sicurezza quali cardini per il sostegno dello sviluppo. In tema di ricerca della prosperità, per “mantenere il tenore di vita e il livello di protezione sociale cui sono abituati i cittadini europei”, si è affermata l’esigenza di realizzare un contesto imprenditoriale favorevole, di promuovere gli investimenti per la prosperità (con particolare riferimento agli investimenti in R&S) e di favorire il cambiamento, investendo in qualificazione e flessibilità del mercato del lavoro, con politiche attive per la creazione di occupazione e in favore della Solidarietà, intesa come coesione economica e sociale, lotta alle discriminazioni e tutela dell’ambiente.

A tale impostazione di medio periodo, il Consiglio europeo ha risposto con quattro significative posizioni:

1.      approvando le proposte dell’ECOFIN del Marzo 2005, volte a “Migliorare l’attuazione del patto di stabilità e crescita”, meglio regolando le variabili macroeconomiche dello spazio europeo e dei singoli Stati Membri;

2.      rilanciando la strategia di Lisbona a partire dalla constatazione del mutato quadro mondiale e dalla volontà di “rinnovare le basi della sua competitività, aumentare il suo potenziale di crescita e la sua produttività e rafforzare la coesione sociale, puntando principalmente sulla conoscenza, l'innovazione e la valorizzazione del capitale umano”;

3.      integrando nel processo di Lisbona la comunicazione della Commissione sull’Agenda sociale;

4.      approvando il Patto Europeo per la gioventù, che “mira a migliorare l'istruzione, la formazione, la mobilità, l'inserimento professionale e l'inclusione sociale dei giovani europei facilitando nel contempo la conciliazione tra attività professionale e vita familiare” e facendo “in modo che i saperi rispondano ai bisogni dell'economia della conoscenza”.

Gli Assi fondamentali del rilancio della strategia di Lisbona si configurano quali orientamenti significativi anche per la programmazione regionale, sia per la totale integrazione della situazione socioeconomica delle Regioni italiane con quella europea, sia per la volontà di creare le condizioni per cogliere le opportunità derivanti dalla prossima programmazione dei Fondi Strutturali dell’Unione Europea.

Il perfezionamento delle priorità regionali per il rilancio di Lisbona si esplicita, quindi, in un approccio proattivo che, prima della definizione delle prospettive finanziarie per il prossimo periodo di programmazione (visto il mancato accordo in merito dell’ultimo Consiglio Europeo) e della conseguente messa a punto degli strumenti di intervento da parte dell’UE, intende interpretare i fondamenti stessi della strategia di Lisbona in un’ottica di suo adeguamento alla realtà territoriale delle Regioni, trasformando i valori in risorse e definendo un processo virtuoso di sviluppo capace di autogenerare i propri presupposti.

L’approccio regionale è, quindi, necessariamente conforme con il riorientamento della strategia di Lisbona, sia in termini di contestualizzazione degli Assi del rilancio, sia nella partecipazione attiva al miglioramento della governance secondo la metodologia di definizione di linee direttrici integrate che, dal livello regionale a quello nazionale, completeranno il Programma comunitario di Lisbona.

Gli Assi fondamentali del rilancio, approvati nel Consiglio europeo del Marzo 2005, trovano grande rispondenza alla situazione socioeconomica italiana e possono quindi essere posti a fondamento delle priorità fondamentali sulle quali sviluppare il rilancio della strategia di Lisbona da parte delle Regioni; questi si declinano essenzialmente in:

1 - Conoscenza e innovazione – motori di una crescita sostenibile: “Lo spazio europeo della conoscenza deve consentire alle imprese di creare nuovi fattori di competitività, ai consumatori di beneficiare di nuovi beni e servizi e ai lavoratori di acquisire nuove competenze.”

Le politiche regionali per lo sviluppo passano quindi attraverso la definizione di un sostegno integrato della competitività dei comparti produttivi, sia riorientando i comparti stessi, sia ricercando un sostanziale equilibrio nei rapporti tra le quattro componenti fondamentali rappresentate dalla produzione, dal terziario pubblico, dal terziario privato e dal settore del turismo-cultura-loisir.

La particolare attenzione da parte dell’UE per le politiche relative alla società della conoscenza, connessa con quelle relative alla necessità di sviluppo e adeguamento delle ICT, richiede anche il ripensamento del rapporto tra informazione e conoscenza che si pone alla base dell’impostazione dei modelli formativi.

Il superamento, nel processo di trasferimento della conoscenza, del modello lineare razionalista, che opera per giustapposizione di informazioni, a vantaggio di un’impostazione costruttivista, che si basa invece su un processo cognitivo di apprendimento che integra il trasferimento di informazioni con le variabili di contestualizzazione locale e settoriale, richiede il forte e sistematico collegamento tra il “knowing how” e il “knowing about”. E’ indispensabile, pertanto, una fattiva collaborazione tra chi fornisce la conoscenza, chi la riceve e chi già opera nel settore di riferimento, nell’ottica di un trasferimento di conoscenza per lo sviluppo di nuovi beni e servizi, per innovare l’impresa o realizzare nuove iniziative imprenditoriali, che vadano a configurare un nuovo terziario specializzato, capace di esportare e di competere anticipando il mercato.

La competitività per i comparti produttivi tradizionali sarà sostenuta con interventi nei settori della promozione di politiche di internazionalizzazione, della R&S, dell’innovazione tecnologica, valendosi di strumenti quali il VII Programma Quadro di Ricerca e Sviluppo e il nuovo programma comunitario per la competitività e innovazione, che attiverà un dispositivo finanziario per il sostegno alle PMI innovative ad alto potenziale di crescita.

Al pari del sistema trasportistico, il potenziamento delle reti di telecomunicazione è un aspetto fondamentale sia del processo di integrazione delle imprese in un vero “sistema europeo” competitivo che del percorso di creazione di una società dell’informazione e della conoscenza che connetta gli attori dello sviluppo socioeconomico.

2 – Uno spazio attraente per investire e lavorare “l'Unione europea deve completare il mercato interno e dotarsi di un quadro normativo più favorevole alle imprese che, da parte loro, devono sviluppare la responsabilità sociale. Sono inoltre necessarie infrastrutture efficienti[...], servizi di interesse generale di qualità e a prezzi abbordabili e un contesto sano basato su un consumo e una produzione sostenibili e una qualità della vita elevata.”

Il territorio delle Regioni italiane deve diventare esso stesso un percettibile fattore di competitività. A tal fine, si dovrà favorire una riduzione dei costi amministrativi (l’UE prevede, in proposito, di definire una specifica metodologia di misurazione comunitaria) con la semplificazione delle procedure, lo sviluppo degli sportelli unici e dei servizi di accompagnamento, creando altresì le condizioni per migliorare l’accesso al credito delle PMI.

A completamento dei fattori di competitività territoriale, si dovrà perseguire l’obiettivo di potenziare il “mercato interno fisico” quale spazio “libero da vincoli di interoperabilità”, caratterizzato da adeguate strutture di trasporto e di gestione della logistica dei beni, come affermato nel Consiglio del Marzo 2005.

Tale intendimento sarà realizzato in un ottica di sviluppo sostenibile, operando per soddisfare i bisogni del presente, nel rispetto dei bisogni delle generazioni future ed ispirandosi alla Dichiarazione approvata in merito dal Consiglio Europeo del Giugno 2005.

3 – La crescita e l’occupazione al servizio della coesione sociale “L'aumento dei tassi di occupazione e il prolungamento della durata della vita lavorativa, combinati con la riforma dei sistemi di protezione sociale, costituiscono il mezzo migliore per mantenere l'attuale livello della protezione sociale”. Si tratta dunque di realizzare quanto previsto nell’Agenda Sociale, determinando le condizioni perché un maggior numero di persone si inserisca nel mercato del lavoro, con particolare riferimento ai giovani, alle pari opportunità (il 2007 sarà l’anno europeo delle pari opportunità) e alle politiche di invecchiamento attivo, investendo sul capitale umano quale principale risorsa territoriale.

Centrale sarà anche il processo di regolazione di nuove forme di lavoro, nel quadro di una nuova dinamica delle relazioni industriali, sia tramite l’evoluzione legislativa che attraverso lo sviluppo della responsabilità sociale dell’impresa.


2. Le Regioni italiane e il rilancio della strategia di Lisbona: un metodo

 

Nel tracciare, a livello regionale, un percorso di attuazione della strategia di Lisbona occorre, in via prioritaria, mantenere chiari gli scenari di contesto dai quali la strategia stessa origina e, soprattutto, gli obiettivi verso i quali essa, specificamente, tende. La comprensione delle condizioni in cui alle Regioni viene richiesto di operare, in questa fase cruciale di costruzione di una nuova Europa, da un lato sostiene la definizione di un documento programmatico consapevole dei ruoli e delle responsabilità di ciascuno dei soggetti coinvolti nella fase di consultazione, dall’altro ne concentra e, specificamente, indirizza l’azione alle finalità che le sono proprie.

La progressiva apertura e integrazione dei mercati, fondata su processi di liberalizzazione di portata globale, trasforma rapidamente gli orizzonti di riferimento dei sistemi produttivi regionali, aprendoli ad un confronto che ha, potenzialmente, due dimensioni:

Ø      la prima, interna all’Unione Europea, dipende, in buona parte, dall’allargamento ad est del fronte comunitario e misura le conseguenze di una libera circolazione di capitali e di persone tra ambienti economici nazionali ancora profondamente differenti, per condizionali attuali e per prospettive di crescita;

Ø      la seconda, esterna all’Unione, esprime le difficoltà ma, nel contempo, le opportunità che derivano dall’inserimento delle produzioni locali in meccanismi di scambio veramente globali e, quindi, dalla competizione con mercati che esprimono enormi potenzialità di crescita, una fortissima domanda interna di risorse e costi di produzione infinitamente più bassi.

In un simile contesto, l’economia italiana è doppiamente vulnerabile: in un confronto di tipo qualitativo, essa è esposta, infatti, alla concorrenza da parte dei Paesi che hanno saputo guidare i rispettivi sistemi imprenditoriali, in anticipo e con maggiore intensità, verso l’innovazione tecnologica e gestionale; in un confronto di prezzi, fatica a difendersi dai Paesi che, privi di vincoli legislativi e istituzionali, producono su livelli di costo con i quali è impossibile competere. 

Se, dunque, le Regioni si collocano in uno spazio economico globale, la portata delle politiche di sostegno alla crescita e all’occupazione che queste esprimono si amplia notevolmente, così come si intensificano e si specializzano gli interventi in settori quali l’internazionalizzazione e l’inclusione sociale, che rispondono ad obiettivi di sviluppo ormai prioritari.

D’altra parte, nel commisurarsi con la strategia di Lisbona, ci si deve anche rendere conto che, per quanto essa esprima un obiettivo programmatico a 360 gradi, il suo significato è e rimane molto ben definito. Nel Consiglio europeo del marzo 2000, l'Unione Europea si è proposta di diventare, entro il 2010, "l'economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale".

Gli orientamenti che Lisbona ha stabilito si raccolgono, quindi, intorno a tre temi fondamentali:

Ø      l'occupazione, in termini di suo innalzamento e qualificazione; 

Ø      il mercato interno, nel senso di una sua progressiva integrazione, nell’ambito di un corretto quadro normativo;

Ø      la conoscenza, finalizzata alla competitività e alla creazione di nuovi posti di lavoro.

Tali temi hanno un impatto straordinario sulle strategie regionali di sviluppo del territorio, ma non rispondono a tutte le istanze manifestate dalle collettività locali, di cui le Regioni sono interpreti e rispetto alle quali si assumono una specifica responsabilità. Di conseguenza, il sistema di priorità che viene definito nel prosieguo di questo documento esprime scelte fondamentali nell’ambito dello specifico tema di discussione assegnato, che lo stesso Consiglio europeo definisce quando si pone, come obiettivo, la “crescita economica” dello spazio comunitario; pertanto, non esaurisce gli impegni di sviluppo, soprattutto sociale e culturale, che le Regioni hanno nei confronti dei rispettivi territori e che dovranno, necessariamente essere formalizzati e circostanziati in altra sede.

 

Tutto ciò premesso, dalla lettura critica degli orientamenti di Lisbona deriva un duplice ordine di considerazioni:

Ø      da un lato, alcuni di essi affrontano temi di strategia macro-economica nei confronti dei quali le Regioni, consapevoli del proprio ruolo e dimensione istituzionale e delle possibilità di intervento che ne derivano, ritengono di avere conoscenza e interesse ma di non avere sufficiente competenza istituzionale; la definizione delle politiche di governance relative a tali Orientamenti sono, dunque, affidate ad una concertazione di livello nazionale tra Stato e Regioni;

Ø      dall’altro, tutti gli Orientamenti esprimono linee strategiche assolutamente condivisibili e, soprattutto, così strettamente tra loro correlate da doversi necessariamente considerare, per dirla con la teoria degli insiemi e con Gödel, un Insieme, in quanto possibile elemento di altri Insiemi, rappresentati questi dalle altre sfere della regolazione dell’azione politica, ed in particolare un Insieme Non Ordinato, in quanto non è possibile definire una scala di significatività assoluta tra i suoi elementi. L’attività delle Regioni è stata, dunque, rivolta a stabilire un preciso sistema di priorità strategiche correlato all’Insieme funzionale degli Orientamenti, non potendo, ma in primis non volendo, adottare una logica di esclusione o di sottoconsiderazione dei loro relativi contenuti.

 

Se un giudizio complessivo sugli Orientamenti formulati a Lisbona può, almeno in una fase preliminare, limitarsi ad una valutazione soggettiva sull’apprezzamento o meno degli obiettivi di cui sono espressione, la definizione strategica degli ambiti di priorità ha richiesto una loro valutazione oggettiva alla luce del contesto sul quale si propone di applicarli e, quindi, una verifica di compatibilità con:

Ø      la situazione socio-economica e le dinamiche congiunturali in atto sul territorio delle diverse Regioni italiane;

Ø      i contenuti dei documenti programmatici di governo che di tali situazioni e dinamiche rappresentano già una prima interpretazione, seppure di scala locale.

 

Da tale attività di analisi e confronto sono derivate quelle che, nel seguito del documento sono definite “Priorità orizzontali di sviluppo”, ciascuna delle quali si riferisce ad uno o più dei 24 Orientamenti di Lisbona. Tutte da perseguire sull’intero territorio nazionale, per il livello di rilevanza e di urgenza che esprimono, esse sintetizzano le scelte strategiche già fatte proprie dalle diverse giunte regionali, accogliendo quindi l’invito del Presidente Barroso ad “elaborare iniziative a partire dalle riforme già in corso in ciascuno Stato membro”.

Il completamento della strategia regionale è stato inoltre realizzato tramite la definizione di “Priorità verticali” specifiche di macroarea, relative a settori/comparti a valenza multiregionale che per le loro caratteristiche si configurano come elementi che possono determinare un’accelerazione delle dinamiche in atto. I settori sono stati definiti tramite integrazione delle SPECIFICITA’ che le singole Regioni presentano, andando a definire aree strategiche in relazione alle dimensioni di comparto, al numero di occupati, a particolari momenti di crisi e/o di possibilità di sviluppo: il territorio e le sue particolarità come fattore di competitività e sviluppo.

In tal senso il Documento delle Regioni assume il significato sia di esplicitazione del percorso di attuazione della strategia di Lisbona a livello regionale in quanto unicum funzionale di priorità e opportunità occorrenti, sia di impostazione strategica collegata e coerente con l’impostazione delle politiche regionali di sviluppo, quali il DPEFR e il QSR, e con l’insieme delle politiche di Coesione.

Nell’adottare questo schema si è determinata quindi la possibilità per le Regioni di definire tematiche a valenza multiregionale da cui derivare percorsi strategici omogenei che trovino fondamento su caratteristiche e parametri comuni relativi ai diversi sistemi produttivi locali. In tal senso le priorità orizzontali di sviluppo si configurano quali politiche di area vasta che intervengono su fattori trasversali a sostegno della competitività: in un primo approccio schematico è possibile intervenire nel recuperare sui tre fattori che contrastano il potenziale di crescita dei sistemi locali: la Lentezza, la Conservatività e la Polverizzazione.

Per quanto riguarda la Lentezza si tratta di definire, di introdurre nei sistemi locali e quindi di sviluppare dei “fattori di accelerazione” che impattino positivamente sia sui sistemi produttivi e sulle relative dinamiche – in termini di prodotti e di processi - che di propensione all’innovazione di impresa e di sistema in un, peraltro complesso, passaggio dalla cultura dell’adattamento a quella della proazione.

Contrastare la Conservatività richiede invece di intervenire favorendo la diversificazione produttiva dei territori quando manifestino sintomi di crisi dei settori tradizionalmente considerati “forti” e/o siano stati oggetto di concentrazione finanziaria ed economica, per indirizzare verso la definizione di un “sistema locale” (di ispirazione porteriana) che, anche in assenza di un distretto industriale/produttivo, si ponga quale processo socioeconomico, se non alternativo, almeno a completamento, della grande impresa e del suo indotto. Il naturale completamento di tale azione è costituito dalle politiche di internazionalizzazione.

Gli interventi sulla Polverizzazione, infine, necessitano di provvedimenti volti a concentrare risorse economiche, umane e relazionali al fine di aumentare l’efficacia della penetrazione degli investimenti infrastrutturali, strutturali e in capitale umano. In relazione allo sviluppo delle tecnologie e alla conseguente riduzione al vincolo allo sviluppo posto dal fattore territorio in quanto spazio fisico, le azioni possono essere concentrate sul completamento delle reti di collegamento (viabilistiche e di ICT) e sulla crescita del livello di interazione tra imprese (sempre in una logica di rete), in termini di sinergie, interscambio di know-how, di realizzazione di “masse critiche sovralocali”; significativa in questi termini è l’esperienza, peraltro promossa dall’UE, dei Network of Excellence tra centri europei di ricerca relativi ad una specifica tematica.

Il triplice approccio di cui sopra, unitamente alla considerazione della natura di Insieme Non Ordinato dei 24 Orientamenti, ha consentito di determinare, in una proposta non esclusiva di ulteriori fattori, Priorità Orizzontali di Sviluppo che trovano un solido fondamento tra gli Orientamenti integrati per la Crescita e l’Occupazione stessi, soprattutto per quanto riguarda l’assoluta integrazione tra strategie relative alla Crescita e all’Occupazione che non possono non svilupparsi in totale sinergia e contemporaneità.

In tal senso le Priorità Orizzontali di Sviluppo sono state definite e individuate in relazione a tematiche riferite ad una pluralità di Orientamenti, e ulteriormente declinate in Priorità Orizzontali di Sviluppo di Contesto e di Crescita, come meglio specificato nel capitolo seguente.

 

Accanto a tali priorità, in cui tutte le Regioni si riconoscono, si è poi proceduto all’individuazione di cluster di specializzazione intesi, secondo logiche di filiera, come catene integrate di produzione del valore, di respiro assolutamente sovra-locale. Questi definiscono “Priorità Verticali” a livello di macro-area (area di valenza multiregionale), riconoscendo tuttavia la necessità di precisare successivamente a livello locale le strategie di intervento, al fine di esplicitare azioni coerenti e commisurate alle specificità territoriali.

Oltre che risposta puntuale a bisogni già formalizzati in progetti in corso di attuazione o, almeno, di programmazione, la previsione di priorità verticali, facilmente e immediatamente cantierabili, consente di ottemperare al proposito di “applicare con urgenza ed efficacia la strategia di Lisbona”, espresso dal Rapporto Kok nel novembre 2004 e poi più volte ribadito, sia a livello comunitario, che a livello nazionale.

La necessità di un’accelerazione degli impegni assunti a Lisbona deriva, infatti, dalla constatazione del crescente divario (in termini evidentemente negativi) tra l’economia europea e quella dei suoi principali competitors in Asia e in America Settentrionale, ma anche dalla consapevolezza di non aver saputo pienamente rispondere alle aspettative di crescita e di stabilità che provengono dai cittadini dell’Unione Europea.

Per questo, le Regioni italiane, in un quadro di risorse ragionevolmente delineato, intendono andare oltre la pur fondamentale definizione di linee programmatiche, per strutturare la successiva operatività per una loro messa in opera, i cui elementi costitutivi di riferimento e di compatibilità con le Priorità, sia Orizzontali che Verticali, definite, sono essenzialmente rappresentate da:

Ø      contenere specifiche misure in favore dell’orientamento e del sostegno delle risorse umane; un’economia solida, infatti, non può prescindere da un ampliamento della fascia di popolazione attiva e, quindi, da una qualificazione crescente della forza lavoro, sia a livello di formazione iniziale, che in relazione ad un apprendimento diffuso lungo tutto l’arco della vita;

Ø      prevedere investimenti, sia da parte pubblica che da parte privata, in favore dell’innovazione, del trasferimento tecnologico, di una migliore integrazione tra il settore della ricerca e il sistema imprenditoriale;

Ø      operare a priori in una logica di totale sostenibilità e, in particolare:

·        di sostenibilità ambientale, attraverso: la conservazione attiva dell’ambiente, l’eco-efficienza dei processi di produzione, distribuzione e smaltimento, la ricerca di tecnologie a ridotto impatto ambientale, il risparmio energetico e l’utilizzo di fonti di energia rinnovabile, la prevenzione dei rischi, l’adozione di sistemi di contabilità ambientale; 

·        di sostenibilità sociale, con la definizione delle regole di cittadinanza necessarie per mettere in pratica modelli sostenibili di uso del territorio e delle risorse naturali e la difesa, nel tempo, del valore culturale insito nelle specificità locali;

Ø      favorire la competitività territoriale, rimuovendo gli ostacoli di natura burocratica e amministrativa che impediscono la creazione di condizioni di mercato veramente favorevoli all’insediamento di nuove imprese e alla crescita dell’occupazione; una migliore regolamentazione, insieme alla semplificazione delle legislazioni vigenti, è il presupposto di un corretto regime di concorrenza e, quindi, di un miglioramento delle performance complessive delle produzioni comunitarie.

 

La presenza contemporanea, nelle diverse azioni di attuazione della strategia regionale, degli elementi costitutivi sopra descritti, lungi dal rappresentare una condizione di staticità dei loro contenuti, propone uno schema dinamico e flessibile che declina ciascun elemento, in funzione del grado di maturità del settore produttivo sul quale si interviene e della situazione e specificità locale.

In particolare, sulla base dello stadio di maturità raggiunto, vengono individuate tre tipologie di settori produttivi assegnando, a ciascuna di esse, specifici obiettivi operativi, che rappresentano il modello di caratterizzazione dei diversi elementi costitutivi la successiva azione da condursi a livello locale:

Ø      settore adulto, che ha già raggiunto la sua completa maturazione e che, in taluni casi, presenta già sintomi di declino, tanto da non poter difendere la propria competitività con l’attuazione di semplici strategie difensive; tali settori devono essere trasformati, nel senso che occorre, per essi, definire strategie di posizionamento su specifici segmenti di nicchia o, in casi estremi, di completa riconversione delle produzioni;

Ø      settore tradizionale, il cui principale punto di forza è rappresentato dal fatto di essere espressione di specificità locali, per lo più uniche e irripetibili; tali settori devono essere consolidati ed accompagnati in un processo di evoluzione consapevole, che rispetti i valori culturali da cui originano;

Ø      settore innovativo che, in una logica multi-dimensionale, presenta evidenti componenti di novità dal punto di vista della tecnologia applicata, ma anche dell’organizzazione gestionale, dei modelli di marketing e di distribuzione, delle soluzioni logistiche adottate; per tali settori occorre costruire politiche di sviluppo, che li facciano crescere e li rendano modelli da imitare.

 

La proposta delle Regioni italiane si articola dunque in Priorità Orizzontali di Contesto e di Crescita, organiche e di area vasta, e in Priorità Verticali clusterizzate, per ora più didascaliche, ma non può prescindere dal definire e rapidamente instaurare un rapporto costante tra Stato e Regioni di compartecipazione e codecisione alle politiche di sviluppo. Il carattere di assoluta importanza attribuito a tale aspetto si manifesta anche nell’organizzazione del presente contributo, con la presentazione, nel capitolo seguente, delle “condizioni ambientali” ricercate dalle Regioni nel confronto con lo Stato come parte integrante il metodo di lavoro, e quindi prima dell’esplicitazione, nell’ultima parte del documento, dei contenuti funzionali delle Priorità Orizzontali e Verticali.


3. Stato e Regioni in un percorso condiviso per un territorio comune nel rilancio della strategia di Lisbona

 

La necessità improrogabile di sostenere il processo di sviluppo del territorio e di promuovere l’evoluzione della situazione e dei rapporti sociali della popolazione delle Regioni italiane, unitamente con la complessità e la forte correlazione delle problematiche da affrontare e regolare, richiede uno sforzo comune ed integrato tra governo nazionale e governi regionali. Il presente documento, quindi, non costituisce soltanto il contributo delle Regioni alla definizione della posizione italiana circa il rilancio della strategia di Lisbona, ma vuole essere il primo momento di confronto e di collaborazione tra Stato e Regioni, in un processo che queste ultime considerano indispensabile: la definizione di una prospettiva di lavoro comune ed integrato che vada oltre la data simbolica del 15 ottobre, fissata dalla Commissione per la trasmissione dei “Programmi di riforma nazionali” da parte degli Stati Membri.

D’altra parte, lo stesso Consiglio Europeo di Bruxelles, nello scorso mese di marzo, ha affrontato la questione del rilancio della Strategia di Lisbona, partendo proprio dalla necessità di costruire, in ambito comunitario e nazionale, un forte partenariato sinergicamente impegnato a mettere in campo tutte le risorse disponibili in favore del conseguimento degli obiettivi che l’Unione Europea sente come prioritari: la crescita e l’occupazione. Nelle Conclusioni della Presidenza si legge: “Per raggiungere tali obiettivi, l’Unione deve mobilitare maggiormente tutti i mezzi nazionali e comunitari appropriati – compresa la politica di coesione – nelle tre dimensioni economica, sociale e ambientale della strategia, per utilizzarne meglio le sinergie in un contesto generale di sviluppo sostenibile. A fianco dei governi, tutti gli altri attori interessati – parlamenti, autorità regionali e locali, parti sociali, società civile – devono far propria la strategia e partecipare attivamente alla realizzazione dei suoi obiettivi”.

L’Unione Europea richiede, dunque, alle diverse componenti sociali e istituzionali coinvolte nell’attuazione della strategia di Lisbona una partecipazione attiva per il raggiungimento delle finalità che le sono proprie, realizzando compiutamente una sinergia che si vuole affermata almeno su due dimensioni:

Ø      la prima, soggettiva, impone agli attori segnalati dal documento comunitario e, soprattutto, a quelli che operano a livello istituzionale, di lavorare insieme, in modo stabile e pianificato per offrire il contributo più ampio possibile alla costruzione di un’area economica europea dinamica e competitiva;

Ø      la seconda, oggettiva, obbliga a ricercare un’integrazione di strumenti e di risorse, affinché il piano nazionale di attuazione di Lisbona si inserisca nel quadro della programmazione in atto, a livello di amministrazione centrale e di governi regionali, la supporti con una concentrazione mirata di interventi e ne sia, a sua volta, supportato.

Con riferimento alla sinergia di dimensione soggettiva, una prospettiva di impegno integrato, in modo continuativo ed organizzato, richiede innanzitutto la definizione di un metodo di lavoro che sia condiviso tra le parti e che si basi su una chiarezza di contenuti e, quindi, sull’utilizzo di  una terminologia comune, compresa ed accettata da tutti.

Su un primo aspetto, pertanto, occorre richiamare che per razionalizzare la procedura di follow-up di Lisbona, l’Unione Europea affida agli Stati membri la responsabilità di definire “Programmi di Riforma Nazionale”; il Governo ritenendo probabilmente che tale termine abbia un significato perlomeno vago se non anonimo, ha proposto di sostituirlo con l’espressione di “Programma Nazionale per la Crescita e l’Occupazione” (per l’Italia, siglato PICO). Al di la della trasparenza terminologica di quest’ultima espressione, le due locuzioni, almeno in linea teorica, non hanno una perfetta coincidenza interpretativa.

Dal punto di vista etimologico, il termine RIFORMA indica, infatti, una specifica azione critica, destinata a modificare uno stato di cose, a riorganizzare una situazione esistente allo scopo di migliorarla. Se l’obiettivo di un miglioramento complessivo del programma non pare in discussione, se non altro in riferimento alle sue ricadute, resta da stabilire a che cosa debba riferirsi l’azione critica di trasformazione. Applicato allo specifico contesto in cui il termine viene utilizzato, il significato del termine “riforma” può intendersi declinato in:

Ø      un totale ripensamento della strategia di Lisbona, visto che le condizioni proprie del momento in cui il progetto è maturato non esistono più e può apparire complicato attuare, oggi che la crescita europea subisce un brusco rallentamento, gli obiettivi di sviluppo economico pensati in un periodo di piena espansione;

Ø      l’articolazione di una strategia europea in più strategie nazionali, così da evitare il problema di interfaccia che si è, più volte, manifestato tra l’Unione Europea e gli Stati Membri e che ha portato, spesso, a “trascurare” gli impegni assunti a livello europeo, una volta rientrati nei differenti contesti nazionali.

Se questa è l’accezione chiaramente più conforme agli intendimenti delle istituzioni comunitarie, allora a dover anche essere “riformati”, in un’accezione di “rilancio”, sono i rapporti che le istituzioni nazionali stesse intrattengono con i loro interlocutori locali e, su un piano di reciprocità, la collaborazione che questi ultimi offrono alla realizzazione degli obiettivi comunitari. Alla luce di questa chiave interpretativa, la strategia europea pare doversi intendere quale strumento per migliorare le singole strategie nazionali e l’elaborazione di un PICO diventa l’occasione per adottare un approccio di confronto sistematico delle diverse politiche per la crescita e occupazione, consapevoli dell’impossibilità di conseguire risultati concreti in assenza di un loro coordinamento.

Evidentemente, per quanto gli orientamenti di Lisbona siano stati puntualmente riconfermati in tutti i documenti programmatici successivi alla loro adozione formale, i mutamenti che, dal 2000 ad oggi, sono intervenuti nella situazione socio-economica europea, come in quella mondiale, non possono essere dimenticati e devono, anzi, rappresentare il presupposto del processo di rilancio avviato dall’Unione Europea. A questo proposito, il Consiglio Europeo del marzo 2005, nell’affermare la responsabilità degli Stati Membri per l’adozione di programmi di riforma nazionali, tra le altre cose ha stabilito che essi devono tener conto “delle loro esigenze e della loro situazione specifica” e che i programmi stessi “potranno essere riveduti in caso di mutamenti della situazione”.

In uno spirito di riforma dei rapporti tra le istituzioni, i soggetti responsabili della definizione di programmi nazionali sono esplicitamente invitati a perfezionare, tra tutti gli attori chiamati a realizzare gli obiettivi di Lisbona, un metodo condiviso per gestire il confronto, nello stadio di elaborazione delle linee programmatiche come in quelli successivi di loro attuazione, di monitoraggio della rispondenza con le situazioni congiunturali in atto e, eventualmente, di loro modifica / integrazione, D’altra parte, il Consiglio di Bruxelles, insieme con l’adozione di un programma nazionale, ha chiesto la presentazione di aggiornamenti annuali, che relazionino sul follow-up della strategia, di fatto anticipando la necessità di mantenere stabili nel tempo i meccanismi di collaborazione che si sono attivati durante i diversi momenti della fase di concertazione in corso.

Allo stato attuale, infatti, la posizione delle Regioni italiane non può che definirsi “situazionista congiunturale”, nel senso che essa esprime, con il presente documento, un orientamento programmatico che è funzione della condizione socio-economica corrente, il cui stato delle cose condiziona le sue scelte e determina le sue azioni. Ciò significa che occorre avere ben chiare, da subito, le condizioni che devono verificarsi per assicurarne l’operatività:

Ø      da un lato, occorrono meccanismi certi e predefiniti di confronto costante Stato-Regioni per attuare, nei prossimi anni, la procedura ricorsiva di aggiornamento delle priorità di Lisbona e di definizione delle politiche di sviluppo;

Ø      dall’altro, è necessario conoscere le risorse finanziarie che le Regioni avranno a disposizione per dare attuazione alla loro programmazione pluriennale, che sarà evidentemente fondata sul rilancio della strategia di Lisbona.

Esplicitare con tempestività i caratteri fondanti di un percorso che si proponga di soddisfare entrambe tali condizioni non è soltanto un esercizio teorico fatto ad hoc per ottemperare ad una precisa richiesta dell’Unione Europea che, in questo caso, si inserisce nelle scelte programmatiche di sviluppo economico con uno specifico ruolo di indirizzo, ma è soprattutto il presupposto fondamentale per giungere ad una definizione puntuale di assi strategici di intervento che tengano conto delle necessità espresse dalle Regioni e che si integrino in modo coerente e condiviso in un documento di espressione nazionale.

Interpretando in una logica sinergica il rapporto Stato-Regioni, queste ultime ritengono fondamentale consolidare un tavolo negoziale unico in cui:

Ø      condividere le politiche di regolazione e di governance (Orientamenti 1-6, 12 e 22, per i quali l’azione di regolazione è evidentemente propria dello Stato, che vede tuttavia la necessità di condivisione di obiettivi e di concertare gli interventi in un confronto continuo Stato-Regioni);

Ø      definire un metodo di lavoro condiviso per la revisione periodica dei programmi di attuazione di Lisbona;

Ø      nella stessa sede, aprire un confronto in relazione alle risorse che sosterranno la realizzazione degli obiettivi contenuti in tali programmi, ma anche le finalità di altri strumenti strategici, come la Politica Regionale o il Fondo per le Aree Sottoutilizzate, tutti tra loro connessi e capaci di rafforzarsi reciprocamente, se coerentemente guidati;

Ø      confrontarsi periodicamente sull’impegno delle Regioni in relazione alle Priorità orizzontali individuate e alle azioni specifiche relative ai cluster multiregionali, in funzione dell’operatività reale e possibile, connessa alle risorse effettivamente a disposizione;

Ø      concordare una partecipazione stabile dei rappresentanti delle Regioni durante le fasi di dialogo e di concertazione con l’Unione Europea, dando infine attuazione a quanto disposto dalla L.N. 131/03 e dalla L.N. 11/05. Si tratta infatti di due elementi di forte innovazione di governance che costituiscono un assoluto FATTORE DI LISBONIZZAZIONE intervenendo nel rapporto Stato-Regioni in tema di rappresentanza presso l’Unione Europea e di codecisione nella programmazione.

In tal senso il tavolo negoziale deve assumere non un senso di postinformazione, ma di confronto paritetico, al quale partecipano tutte le componenti coinvolte del Governo (MPC, MEF, MAI, …), da definirsi quindi nell’ambito della Conferenza Stato/Regioni, quale unico luogo istituzionale al quale riportare tutte le decisioni.

Le strategie regionali e, in seno ad esse, la definizione di specifiche PRIORITA’ sono scelte dei governi locali che rappresentano le dinamiche in atto sui rispettivi territori, rispecchiandone le diverse necessità. Perché da una strategia pluriennale si possa passare ad iniziative a carattere più “tattico” è però indispensabile potersi confrontare e misurare con i mezzi disponibili e con gli strumenti potenzialmente attivabili in funzione di una loro realizzazione. Alla richiesta urgente di un documento di attuazione nazionale della strategia di Lisbona, le Regioni hanno risposto tempestivamente, pur in assenza di tale confronto, senza conoscere il quadro delle risorse su cui potranno contare; ora si chiede al Governo nazionale di agire con coerenza, mostrando la forza necessaria per mettere a disposizione le risorse adeguate all’impegno di pianificazione che è stato fin qui profuso.

In un momento in cui al bilancio comunitario si impone di sostenere le conseguenze del recente allargamento ad est dell’Unione e, conseguentemente, i fondi da questo destinati alle Regioni italiane sembrano procedere verso un’inarrestabile contrazione, la sola via che appare praticabile è quella di concertare una coerente allocazione delle risorse nazionali, in modo che queste si integrino con quelle comunitarie, si evitino dispersioni e polverizzazioni e si punti ad una selezione condivisa dei risultati da raggiungere.

Se lo sviluppo delle Regioni non può prescindere da una puntuale attuazione delle strategia di Lisbona, allo stesso modo il successo della strategia non può fare a meno dell’impegno delle Regioni e non può sottrarsi ad un confronto con i bisogni che queste esprimono. Il riconoscimento delle priorità contenute nel presente documento si esprime in un impegno comune per le definizione di un quadro di risorse adeguato. Ciò significa, innanzitutto, che è indispensabile:

Ø      sul fronte interno, indirizzare, orientando coerentemente, le risorse di tutti gli strumenti disponibili alla realizzazione di quanto programmato;

Ø      sul fronte comunitario, affermare la posizione italiana nella definizione della dimensione globale del bilancio dell’Unione Europea, ma anche dei criteri di ripartizione dei fondi tra gli Stati Membri e della semplificazione dei meccanismi di loro gestione.

In relazione al primo degli aspetti evidenziati, le Regioni si attendono che le prossime azioni di sostegno alla crescita socio-economica avviate dal Governo tengano conto degli orientamenti espressi e che le priorità di sviluppo evidenziate in questa sede, considerata la coincidenza del territorio in favore del quale sono definite, trovino una precisa corrispondenza con quelle che il Governo stesso sta perfezionando.

Per quanto riguarda la dimensione comunitaria, ferma restando la necessità di perseguire anche a quel livello l’integrazione tra i diversi strumenti finanziari disponibili (in questo senso si esprime, d’altra parte, anche la Commissaria Hubner, che ha recentemente affermato il contributo che la Politica Regionale può offrire “alla realizzazione degli obiettivi di Lisbona, grazie agli strumenti finanziari di cui dispone”), un elemento di criticità pare riscontrarsi in una poco coerente successione di riferimenti temporali, per cui il processo di follow-up di Lisbona rischia di inserirsi nelle fasi di programmazione delle diverse politiche UE in maniera da non potersi operativamente coordinare con esse.

In particolare, il Consiglio Europeo ha creato un dispositivo di attuazione basato su un primo ciclo di tre anni, con inizio nell’anno in corso, che dovrà essere rinnovato, per una durata analoga, nel 2008. Tale articolazione si integra con difficoltà nel prossimo periodo di programmazione dei Fondi Strutturali, che andrà, invece, dal 2007 al 2013, innanzitutto perché la programmazione nazionale parte in questa fase iniziale del primo ciclo senza conoscere né la quantità né la qualità delle risorse che potranno sostenerne la sua realizzazione, in secondo luogo perché sarà prorogata in corrispondenza con la prima fase di attuazione della Politica di Coesione, quando ancora non si avranno riscontri né indicazioni di risultato sulle azioni da questa previste.

A ciò si aggiunga il fatto che, di particolare importanza per l’attuazione della strategia di Lisbona, è attualmente in discussione la modifica alla disciplina degli Aiuti di Stato. Risulta di immediata evidenza come una ridefinizione di tale disciplina debba essere condotta in senso maggiormente funzionale agli obiettivi di crescita, e che sia, a questo punto, oltre che inevitabile, assolutamente urgente: una sua messa a punto nell’ultima fase del periodo indicato nel Piano d’Azione (2005-2009), la renderebbe di fatto inutile rispetto alla tempistica prevista per il rilancio della strategia di Lisbona (2005-2008).

 

Appare, pertanto, fondamentale che il Programma Nazionale si faccia interprete, nei confronti delle istituzioni comunitarie, delle difficoltà operative che incontrano le amministrazioni nazionali nel definire una programmazione coerente, in un contesto di obbligazioni e di scadenze che si rincorrono, si sovrappongono e, a volte, si contraddicono, prive del necessario coordinamento.


 

4. La strategia delle Regioni: Priorita’ Orizzontali di Sviluppo

L’intervento di programmazione da parte delle regioni, finalizzato al rilancio della strategia di Lisbona e all’obiettivo strategico al 2010: “diventare l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale ”, è fondato sugli Orientamenti Integrati per la Crescita e l’Occupazione, in un’ottica di attenta rispondenza e adeguamento alla realtà territoriale e socioeconomica, intervenendo secondo il criterio della trasformazione dei valori in risorse e della definizione di un processo virtuoso di sviluppo, può essere raggiunto:

Ø      predisponendo il passaggio verso un’economia e una società basate sulla conoscenza   migliorando le politiche in materia di società dell’informazione e di R&S, nonché accelerando il processo di riforma strutturale ai fini della competitività e dell’innovazione;

Ø      modernizzando il modello sociale, investendo nelle persone e combattendo l’esclusione sociale;

Ø      sostenendo il contesto economico sano e le prospettive di crescita favorevoli applicando un’adeguata combinazione di politiche macro e microeconomiche.

In tale quadro, le scelte strategiche delle Regioni si configurano quali definizioni condivise di priorità di sviluppo, articolate in interventi ed azioni primarie, relative e coerenti con gli Orientamenti Integrati per la Crescita e l’Occupazione: come già descritto nel capitolo di approccio metodologico più sopra riportato, si è inteso agire in una logica di correlazione diretta tra strategie regionali e tutti gli Orientamenti, individuando nella completezza e integrazione di questi ultimi la vera forza e potenzialità della strategia di Lisbona. Il rapporto Priorità Orizzontali delle Regioni e Orientamenti Integrati per la Crescita e l’Occupazione è esplicitato sinteticamente nello schema della pagina seguente.

Tuttavia, in relazione alla specificità e dimensione macroeconomia di alcuni di tali orientamenti, si riconosce un ruolo di rappresentatività di intervento nazionale allo Stato per quanto riguarda i primi sei Orientamenti, al 12esimo e al 22esimo: a tali Orientamenti non corrispondono singoli elementi strategici regionali, ma si riafferma l’importanza di adottare una logica di collaborazione e concertazione nella definizione di politiche nazionali relative a tali aspetti tra Stato e Regioni, le quali sollecitano e si dichiarano fin d’ora disponibili ad un confronto fattivo e costante.

Le Regioni italiane riconoscono nella costruzione di un territorio dinamico e competitivo il fattore chiave per il rilancio della strategia di Lisbona; tale rilancio si esplica sia attraverso un’indispensabile azione sulle condizioni di contesto, che attraverso l’individuazione di priorità da perseguire con interventi rivolti in maniera diretta alla crescita della competitività.

I percorsi di governo regionali tendono al perseguimento di uno sviluppo integrato, equilibrato e sostenibile, che consenta la crescita e l’evoluzione armonica di una società fatta di “persone” e non di sole “risorse umane”, obiettivo che acquista il significato di modus operandi scientemente adottato dalle Regioni italiane: in tal senso l’accelerazione della strategia di Lisbona, acquista l’imprescindibile significato di sforzo coesivo nei confronti della delicata correlazione del “territorio che contiene e accoglie” con il “connubio famiglie – imprese”, quest’ultimo da intendersi non solamente come descrizione delle relazioni tra il momento del consumo con quello della produzione ai fini della previsione e governo delle dinamiche socioeconomiche, ma come frontiera che determina ruoli diversi in istanti diversi delle “persone”, e che richiede la duplice e contemporanea considerazione delle potenzialità ed apporti che le “persone” stesse possono fornire a fronte delle loro esigenze e risorse indispensabili.

Allo stesso modo, per imprese e territori si ricerca la promozione dello sviluppo locale in una dimensione sempre più globale, competitiva e innovatrice, favorendo il mantenimento e rafforzamento del senso di appartenenza ai propri beni “naturali” quali la cultura e le tradizioni, l’ambiente e il territorio, e interpretandoli come punti di forza e fattori di sviluppo.

In tal senso le politiche di rilancio dello sviluppo economico e occupazionale adottate dalle Regioni italiane sono orientate al miglioramento delle condizioni e del tenore di vita dei cittadini e dell’ambiente nel quale questi vivono ed operano e al mantenimento dello standard attuale di protezione sociale che le istituzioni garantiscono e, non solo in senso lato, rappresentano.

 

La strategia delle Regioni italiane si declina dunque, ai fini dell’obiettivo comune del Rilancio della competitività territoriale, in PRIORITA’ ORIZZONTALI DI CONTESTO e in PRIORITA’ ORIZZONTALI DI CRESCITA in uno schema che vede l’inscindibile duplice azione orientata al miglioramento delle condizioni “ambientali” quale indispensabili prolegomeni per gli interventi, sia di natura politica che tecnica, finalizzati alla crescita e sviluppo dei sistemi socioeconomici.

Ai fini di una schematizzazione che consenta di evidenziare e cogliere l’organicità delle proposta regionale, strutturata come più sopra descritto, si riporta di seguito, sia l’articolazione della strategia delle Regioni italiane per Lisbona secondo le priorità individuate e definite nel percorso di concertazione regionale, che uno schema di collegamento coerente e funzionale tra le priorità stesse e gli Orientamenti Integrati per la Crescita e Occupazione.

Si sottolinea, ad abundantia, che la schematizzazione seguente definisce LE priorità, ma non gerarchizza UN ordine di priorità coincidente con il senso verticale della lettura, esclusivamente determinato dalle regole della scrittura: le priorità strategiche presentano invece un assoluto carattere di integrazione e contemporaneità, nella consapevolezza che azione pubblica e iniziativa privata, variabili di contesto e dinamiche di sviluppo, conoscenze e progettualità, rappresentano l’insieme costitutivo di tutte le facce di uno stesso poliedro.

 


 

 

Schema logico ADOTTATO

fATTORE CHIAVE PER L’ACCELERAZIONE DELLA STRATEGIA DI LISBONA

Rilancio della competitività territoriale

 

PRIORITA’ ORIZZONTALI

 

1 - PRIORITA’ ORIZZONTALI DI contesto

Ø    1A - GOVERNANCE

Ø    1B - SEMPLIFICAZIONE PROCEDURALE

Ø    1C – COERENZA E CONCENTRAZIONE DEI SISTEMI DI INCENTIVI

Ø    1D - WELFARE

 

2 - PRIORITA’ ORIZZONTALI DI CRESCITA

Ø    2A - RICERCA E SVILUPPO, TRASFERIMENTO TECNOLOGICO, INNOVAZIONE

Ø    2B - SVILUPPO DELLE IMPRESE E DELLA CULTURA DEL LAVORO

¨     2B1 - Creazione Di Una Economia Integrata

¨      2B2 - Internazionalizzazione

¨     2B3 - Qualificazione dell’agire professionale

Ø    2C - INFRASTRUTTURE DI TRASPORTO, INTERSCAMBIO E TELECOMUNICAZIONE

Ø    2D - INTEGRAZIONE DEI SISTEMI TERRITORIALI E SVILUPPO SOSTENIBILE


 

Tabella di Incrocio Priorità Orizzontali -  Orientamenti Integrati per la Crescita e l’Occupazione (2005-2008)

 

                                                                           

Priorità orizzontali di Contesto e di Crescita

Orientamenti Integrati del Consiglio dell’UE (Giu 2005)

1A - GOVERNANCE

1B - SEMPLIFICAZIONE PROCEDURALE

1C - COERENZA E CONCENTRAZIONE DEI SISTEMI DI

        INCENTIVI

POLITICHE NAZIONALI ECONOMICHE, FISCALI E DI BILANCIO, SALARIALI E REGOLAMENTARI.

Orientamenti Integrati 1-6, 12 e 22.

2A - RICERCA E SVILUPPO, TRASFERIMENTO 

        TECNOLOGICO, INNOVAZIONE

7. Aumentare e migliorare gli investimenti nel campo della R&S, in particolare nel settore privato in vista della creazione di uno spazio europeo della conoscenza

8. Favorire l’innovazione in tutte le sue forme

9. Favorire la diffusione e l’utilizzo efficiente delle TIC e costruire una società dell’informazione pienamente inclusiva

10. Rafforzare i vantaggi competitivi della base industriale

2D - INTEGRAZIONE DEI SISTEMI TERRITORIALI

        E SVILUPPO SOSTENIBILE

11. Promuovere l'uso sostenibile delle risorse e potenziare le sinergie tra tutela dell'ambiente e crescita

 

2B - SVILUPPO DELLE

        IMPRESE E DELLA

        CULTURA DEL

        LAVORO

 

 

 

2B2 - INTERNAZIONALIZZAZIONE

13. Garantire l'apertura e la competitività dei mercati all'interno e al di fuori dell'Europa, raccogliere i frutti della globalizzazione

 

2B - SVILUPPO DELLE

        IMPRESE E DELLA

        CULTURA DEL

         LAVORO

 

 

 

 

2B1 - CREAZIONE DI UNA

          ECONOMIA INTEGRATA

10. Rafforzare i vantaggi competitivi della base industriale

14. Creare un contesto imprenditoriale più competitivo e incoraggiare l’iniziativa privata grazie al miglioramento della regolamentazione.

15. Promuovere maggiormente la cultura imprenditoriale e creare un contesto più propizio alle PMI.

2C - INFRASTRUTTURE DI TRASPORTO, INTERSCAMBIO E

        TELECOMUNICAZIONE

9. Favorire la diffusione e l’utilizzo efficiente delle TIC e costruire una società dell’informazione pienamente inclusiva

16. Sviluppare, migliorare e collegare le infrastrutture europee e portare a termine i progetti transfrontalieri prioritari

1D - WELFARE

18 .Promuovere un approccio al lavoro basato sul ciclo di vita

19. Creare mercati del lavoro che favoriscono l'inserimento, rendere più attrattivo il lavoro e renderlo finanziariamente attraente per quanti sono in cerca di occupazione, come pure per le persone meno favorite e gli inattivi

 

2B - SVILUPPO DELLE

        IMPRESE E DELLA

        CULTURA DEL

        LAVORO

 

 

 

 

 

 

 

 

2B3 - QUALIFICAZIONE DELL’AGIRE PROFESSIONALE

17. Attuare strategie volte a conseguire la piena occupazione, migliorare la qualità e la produttività del lavoro e potenziare la coesione sociale e territoriale

19. Creare mercati del lavoro che favoriscono l'inserimento, rendere più attrattivo il lavoro e renderlo finanziariamente attraente per quanti sono in cerca di occupazione, come pure per le persone meno favorite e gli inattivi

20. Migliorare la risposta alle esigenze del mercato del lavoro

21. Favorire la flessibilità conciliandola con la sicurezza occupazionale e ridurre la segmentazione del mercato del lavoro, tenendo debito conto del ruolo delle parti sociali

23. Potenziare e migliorare gli investimenti in capitale umano

24. Adattare i sistemi di istruzione e formazione ai nuovi bisogni in termini di competenza

 


1 - PRIORITA’ ORIZZONTALI DI CONTESTO

Tra le variabili di contesto le Regioni ritengono si debba agire in primo luogo sul rafforzamento dei vantaggi competitivi derivanti dalla velocità di reazione del tessuto istituzionale ai vari livelli – statale, regionale e locale - e dalla sua capacità di fornire risposte adeguate alle esigenze delle imprese e dei cittadini.

La creazione di un sistema in grado di accrescere la competitività tramite l’innalzamento della produttività e lo stimolo all’innovazione presuppone in primo luogo il rafforzamento del contesto in cui le imprese operano eliminando le diseconomie esistenti e rafforzando il supporto al mondo imprenditoriale, al fine di consentire alle imprese una maggiore flessibilità e capacità di adattamento alla globalizzazione e ai cambiamenti congiunturali.

Poiché le leve politiche per intervenire sulle variabili di contesto per favorire la competitività non sono manovrate unicamente dal governo regionale, è assolutamente prioritaria e imprescindibile la realizzazione di una convergenza programmatica delle azioni portate avanti ai vari livelli di governo, soprattutto per quanto riguarda la condivisione delle politiche di regolazione e di GOVERNANCE (1A).

Le varie esperienze regionali, pur nella loro differenziazione, hanno infatti messo in luce l’importanza delle esperienze di partenariato tra i vari livelli di governo per la promozione dei sistemi economici locali: la “governance multilivello”, basata su un meccanismo di partnership efficiente e motivato conduce a notevoli miglioramenti nella qualità dell’azione e della relativa spesa, evitando l’inutile duplicazione di progetti, permettendo agli interventi di raggiungere la dimensione critica necessaria e migliorando l’efficacia degli interventi.

Le Regioni individuano come fondamentale il completamento e il miglioramento del sistema di governance multilivello, incentivando e favorendo la programmazione locale per aumentare la sinergia tra i diversi attori nelle fasi di progettazione, di ideazione e di sviluppo con interventi quali il trasferimento del metodo comunitario ai processi di programmazione provinciali e il perfezionamento degli strumenti di partecipazione degli enti locali ai processi decisionali regionali, nonché l’accelerazione del processo di decentramento territoriale dei poteri gestionali. In tale scenario deve essere inoltre ricalibrato il sistema di programmazione integrata e negoziata, sulla base delle esperienze maturate sino ad oggi, in modo da  accelerare i tempi di implementazione dei progetti.

Il fattore qualificante dell’azione regionale viene quindi individuato nel perseguimento di una governance capace di mettere a sistema la pluralità di soggetti, esperienze, specificità ed eccellenze in funzione di un’azione integrata e della crescita della competitività delle aziende, tramite azioni ispirate ai principi di semplificazione e flessibilità, sussidiarietà, partenariato, monitoraggio, controllo e valutazione, per razionalizzare e programmare unitamente ai soggetti pubblici locali l’utilizzo delle risorse disponibili.

Un altro terreno di intervento per le Regioni è quello della governance interregionale, intesa come insieme di rapporti cooperativi tra i diversi sistemi locali e tra regioni limitrofe. Quest’ultimo punto è di rilevanza assoluta soprattutto per l’elaborazione di politiche territoriali finalizzate alla gestione degli impatti delle grandi reti infrastrutturali, la cui ricaduta travalica i confini di ciascuna regione.

Le scelte di governance effettuate dalle Regioni richiedono inoltre il più ampio sviluppo della società dell’informazione e della conoscenza come politica trasversale di supporto, in modo da conferire valore aggiunto alle politiche, agli interventi, alle azioni in favore dei cittadini, delle imprese e delle istituzioni, come via di accesso alle più ampie reti a livello globale; l’ICT rappresenta infatti una importante opportunità tecnologica per migliorare la pubblica amministrazione rendendola più efficiente, più snella e più trasparente nei suoi comportamenti, nonché per fornire servizi migliori a cittadini, operatori economici ed enti pubblici.

 

Parallelamente, è assolutamente indispensabile perfezionare il processo di riordino e razionalizzazione della normativa regionale dedicata allo sviluppo della competitività delle imprese, nonché accelerare le azioni di SEMPLIFICAZIONE PROCEDURALE (1B) e qualità della norma intesa come atto semplificato nella sua attuazione ed organico come contenuto. All’accelerazione delle evoluzioni di contesto, deve corrispondere una accelerazione nella qualità (non solo in termini di sostenibilità, ma anche di rilevanza, efficacia, efficienza e potenziale impatto) delle politiche e dell’azione di governo delle regioni/province autonome.

E’ questa un’esigenza fortemente sentita dal sistema delle imprese e rappresenta uno degli contributi più significativi che le Regioni possono offrire alle imprese in termini di riduzione dei costi, unitamente alla valorizzazione e allo sviluppo degli sportelli unici, anche in veste informatizzata.

 

Accanto all’attività di semplificazione e snellimento amministrativo, le strategie regionali si dirigono verso una COERENZA E CONCENTRAZIONE DEI SISTEMI DI INCENTIVI (1C) a favore delle imprese, secondo criteri di indirizzo che favoriscano l’innovazione e la crescita dimensionale, improntando il sistema delle agevolazioni a criteri di maggiore concentrazione, selettività e integrazione con gli obiettivi di crescita qualitativa/quantitativa.

In particolare, per salvaguardare la sostenibilità economica e di bilancio, che costituiscono anche un presupposto per la creazione di nuovi posti di lavoro, l’azione di riforma al livello regionale deve anche mirare al rafforzamento dell'autonomia finanziaria, anche individuando meccanismi anticipatori nella prospettiva del federalismo fiscale, ad un intervento di razionalizzazione della spesa corrente, supportato da adeguate misure di governo e controllo della spesa, ad assicurare al bilancio quella flessibilità che può liberare risorse per lo sviluppo.

Questo principio presuppone la verifica dell’efficacia degli interventi per lo sviluppo delle imprese e l’accorpamento degli stessi in una azione integrata secondo gli obiettivi strategici del processo di Lisbona, in modo da indirizzare le risorse pubbliche verso investimenti finalizzati alla qualità e all’innovazione di processo, di prodotto e di organizzazione, favorendo la cooperazione e l’associazionismo tra imprese e il completamento e l’integrazione delle filiere produttive.

L’azione di rilancio deve quindi focalizzarsi su un’allocazione efficiente delle risorse, orientata alla crescita e all'occupazione, basata su una programmazione strategica integrata per obiettivi programmatici e interventi di sistema, anche mediante il trasferimento del metodo comunitario al processo di programmazione regionale/provinciale (processo partecipativo e partenariale) e la semplificazione dei processi e delle procedure di attuazione

Le Regioni evidenziano l’assoluta imprescindibilità della concertazione con il livello di governo nazionale, al quale si chiede l’impegno di garantire un’analoga azione di riqualificazione dei sistemi di incentivi nazionali in una logica di ricerca di coerenza e sinergia dell’azione nazionale con quella regionale, entrambe rivolte verso l’obiettivo definito dal legislatore comunitario in tema di crescita e occupazione; in mancanza di un’adeguata e coordinata azione in tal senso, l’incisività dell’azione regionale ne uscirebbe fortemente limitata.

 

Da ultimo, tra le priorità orizzontali di contesto viene segnalata la necessità di azioni di qualificazione del sistema di WELFARE (1D), attraverso interventi che accentuino il carattere inclusivo di un sistema in cui nessuno deve essere escluso o ignorato nei propri più importanti bisogni individuali e sociali a sostegno e fondamento di una cittadinanza attiva e della coesione sociale.

Le azioni da sviluppare in tal senso, da parte delle Regioni e nel rapporto Stato-Regioni, prevedono la sperimentazione di nuove forme di assistenza e lo sviluppo di interventi per l’inclusione sociale di soggetti fragili e appartenenti a fasce marginali tese al reinserimento sociale, e, più in generale, al contrasto delle diverse forme di povertà. Parallelamente, vengono considerati indispensabili interventi di contrasto alla precarizzazione dell’occupazione, attraverso l’identificazione di un nuovo rapporto tra welfare e lavoro, in particolare predisponendo iniziative caratterizzate dall’approccio al ciclo di vita delle persone (giovani-adulti-anziani) che, garantendo l’obiettivo dell’”invecchiamento attivo”, assicuri altresì l’inserimento lavorativo dei giovani in un approccio non alternativo delle generazioni ma di integrazione in un’ottica di affiancamento – accompagnamento - avvicendamento – ricollocamento, anche ricorrendo a meccanismi di protezione sociale associati ad interventi formativi nonché a sistemi di continuità delle prestazioni assicurative.

Risulta inoltre prioritario raggiungere l’obiettivo strategico di una società inclusiva con maggiore occupazione, attraverso il supporto e l’accompagnamento ai diritti e al lavoro dei soggetti a rischio di esclusione. Il tema dell’immigrazione dovrà essere affrontato con un approccio maggiormente articolato, che consenta di valorizzare la risorsa costituita dalle generazioni di immigrati presenti sui territori, sia ai fini della riduzione dei conflitti sociali e dell’insorgere di fenomeni distorsivi delle dinamiche occupazionali che dell’aumento della forza lavoro nei settori a forte domanda e della conseguente partecipazione di tali risorse umane al quadro fiscale e previdenziale del paese, costruendo reti di integrazione sociale e lavorativa, con particolare riferimento all’occupazione, alla casa, allo studio, alla salute, al fine di affrontare la sfida della multiculturalità in chiave competitiva e solidale.

 

2 - PRIORITA’ ORIZZONTALI DI CRESCITA

L’obiettivo di competitività territoriale viene inoltre perseguito, oltre che con interventi legati al miglioramento delle condizioni “ambientali” di contesto, con azioni dirette alla qualificazione del patrimonio umano e alla riorganizzazione della struttura produttiva, con una particolare attenzione alle politiche per “l’occupazione e la conoscenza”, alle logiche di integrazione di filiera e di sviluppo e trasferimento dell’innovazione; contestualmente, le Regioni individuano come prioritarie le azioni a supporto della proiezione internazionale delle imprese e gli interventi rivolti a incrementare il flusso di investimenti esteri nei nostri territori.

 

Nell’ambito dell’accelerazione della strategia di Lisbona e del rilancio della competitività territoriale, acquista un forte significato la Priorità orizzontale di crescita relativa alla RICERCA E SVILUPPO, TRASFERIMENTO TECNOLOGICO, INNOVAZIONE (2A), composta da un complesso di interventi integrato tra settore pubblico e privato, finalizzato a garantire al sistema economico-produttivo italiano di poter reggere la sfida della competitività internazionale, favorire uno sviluppo sostenibile, creare occupazione qualificata, dando vita a nuove imprese e rafforzando il tessuto di quelle esistenti, spostando su politiche non-prezzo il momento della competizione del prodotto/servizio.

L’innovazione e la ricerca si collocano al centro di tutti gli atti programmatici regionali, con l’obiettivo di elevare le eccellenze dei sistemi regionali, dal punto di vista produttivo, sociale, culturale, artistico, ambientale, e di spostare il tessuto produttivo delle Regioni verso su una frontiera più avanzata sia della qualità della conoscenza (di base, applicata e trasferita), che della cultura dello sviluppo di impresa, nella ricerca del difficile equilibrio tra spinta propulsiva verso l’innovazione e la gestione del rischio relativo a investimenti di capitale, di apertura di nuovi mercati, di gestione del cambiamento.

Tale approccio può, e deve, fondarsi sull’obiettivo che tutto il paese faccia “sistema” attorno alla valorizzazione delle eccellenze, intellettuali e produttive, secondo il criterio che interpreta la ricerca di base quale momento fondante dell’innovazione, che deve potersi sviluppare in maniera integrata con le fasi a valle di applicazione e trasferimento degli output da ricerca, ma che deve essere fortemente interconnessa con tutto il sistema della ricerca internazionale, premessa indispensabile per affrontare la globalizzazione dei mercati attraverso la conoscenza e condivisione dei risultati della globalizzazione della ricerca stessa. E’ dunque necessario realizzare un “sistema della ricerca” che organizzi lo sviluppo e l’offerta di innovazione integrando il livello nazionale con la dimensione regionale: l’azione strutturante relativa alla ricerca di base condotta dalle strutture nazionali, alla quale lo Stato deve dare impulso e garanzia di risorse necessarie per porsi ad un livello comparabile con i sistemi degli altri paesi sviluppati, si deve integrare con un’azione a livello regionale che, più a contatto con le specificità regionali, interviene nelle dinamiche di trasferimento alla realtà dei sistemi locali.

In tal senso la promozione dei processi di innovazione è intesa, dalle Regioni, a tutto campo, per i settori che mostrano maggiori dinamiche e spinte verso l’innovazione di prodotto e di processo (nuovi materiali, nanotecnologie, biotecnologie, ICT, …) ma anche per i settori produttivi tradizionali, che caratterizzano larghe parti dell’economia e dell’industria italiane: come già prima ricordato tali settori devono essere accompagnati verso la trasformazione, definendo strategie di posizionamento su specifici segmenti di nicchia o, in casi estremi, di completa riconversione delle produzioni, attraverso un processo di evoluzione consapevole, che rispetti i valori territoriale e culturali da cui originano.

In relazione alla struttura dell’impresa italiana e al rapporto numerico esistente tra grandi imprese e PMI e alla tipologia di legami di interconnessione tra queste, le strategie regionali puntano sui circuiti dell’innovazione fondati su reti di PMI e sul collegamento grandi imprese-PMI. Si intende potenziare la capacità delle PMI di reinterpretare prodotti e servizi soprattutto ad elevata intensità di lavoro e, per questo, teoricamente poco adatti a qualificare le economie avanzate. Questa attività di innovazione non deriva solo da investimenti in R&S, ma si fonda anche sulla capacità di valorizzare un patrimonio di conoscenze, competenze e relazioni profondamente radicate nel territorio, come si verifica ad esempio nel ricco tessuto dei distretti.

Il sostegno a tali dinamiche può produrre effetti positivi sul sistema produttivo esistente in termini di produttività e di capacità nell’innovazione dei prodotti, dei processi e delle organizzazioni, favorendo il passaggio dalla competizione basata sui prezzi, a quella basata sui contenuti innovativi dei prodotti, fondamentale per la sopravvivenza delle imprese locali sul mercato globale.

All’interno delle strategie regionali, infatti, è maturata al consapevolezza che la competitività della PMI e la loro capacità di innovazione dipendono in misura sostanziale dal loro legame con il territorio: legame che non si limita alle relazioni con le altre imprese ma riguarda anche il sistema dei soggetti territoriali (associazioni, centri di formazione, centri servizi, istituzioni sociali, etc.).

In tal senso la generazione e gestione del processo innovativo è fortemente dipendente da quello di trasferimento della conoscenza in termini di istruzione superiore e di alta formazione specializzata, di cui al punto precedente della strategia delle Regioni. In particolare ci si propone di affrontare le tematiche che, nella realtà italiana, determinano le maggiori criticità e debolezza di tale processo tramite:

Ø      il sostegno alla creazione di professionalità adeguate, sia per preparazione specialistica che per numero, con particolare riferimento al rapporto tra formazione dei ricercatori in ambito accademico tramite collegamenti con il mondo delle imprese (dottorati e assegni di ricerca presso le imprese stesse);

Ø      la promozione della cultura di “ricezione e inserimento” dell’innovazione presso le imprese stesse, sia da parte degli imprenditori e del loro management team, che da parte di investitori privati e/o istituzionali;

Ø      lo sviluppo di una mentalità imprenditoriale nell’ambito della ricerca (Spin-off, creazione di servizi di facilitazione brevettale, valorizzazione della proprietà industriale e intellettuale, …), e di una maggiore mobilità da e per il mondo della produzione e dei servizi;

Ø      il supporto ad  investimenti che favoriscono la nascita di aziende private  (anche derivanti da azioni di spin–off da Università e centri di ricerca) specificatamente votate alla ricerca e alla sperimentazione,

Ø      e parallelamente il supporto ad  investimenti da parte delle imprese presso i luoghi della ricerca, sia pubblici che privati, anche con accordi di cogestione di attività di formazione e di R&S e di trasferimento tecnologico delle conoscenze da ricerca verso il mondo delle imprese;

Ø      il sostegno alle PMI nella definizione di percorsi di R&S relativi a specifiche esigenze/opportunità aziendali, e nell‘accesso e collegamento con centri di ricerca pubblici e privati, minimizzando gli investimenti relativi e rendendo quindi possibile anche alle imprese di dimensione contenute tale possibilità di sviluppo (outsourcing di attività di ricerca a medio e lungo termine);

Ø      nell’ambito di settori specifici e di comparti produttivi tematici, lo sviluppo dell’approccio delle problematiche dell’innovazione tramite la logica di creazione di reti, anche a valenza multiregionale, finalizzate alla condivisione di competenze, strutture, investimenti coordinati, ricerca industriale e sviluppo precompetitivo, trasferimento tecnologico per le PMI del settore, Alta Formazione, gestione e promozione del distretto (se definito e esistente);

Ø      promozione della partecipazione delle imprese e dei centri di ricerca pubblici e privati alla definizione e/o collaborazione ai Network of Excellence europei relativi a particolari settori/prodotti;

 

Le Regioni indicano inoltre come prioritaria la garanzia dell’addizionalità al fine di garantire la massa critica, la concentrazione delle risorse e l’amplificazione degli investimenti regionali, in modo da promuovere la compartecipazione di più attori nelle politiche di R&S, tra enti pubblici e tra pubblico e privato sostenendo quanto più possibile la domanda di innovazione attraverso un co-finanziamento che stimoli e supporti l’intervento privato.

Nell’ottica di valorizzare al massimo le leve di intervento regionale in ambito di politiche per la ricerca, il trasferimento tecnologico e l’innovazione, e fare leva sulle esperienze regionali e sulle aree di eccellenza esistenti, le azioni regionali saranno inoltre orientate a sviluppare:

Ø      le politiche trasversali, tramite azioni che agiscono sui meccanismi di creazione e circolazione della conoscenza e dell’innovazione;

Ø      la realizzazione e attuazione di strumenti integrati di incentivazione per sostenere le imprese nell’adozione di innovazioni tecnologiche, organizzative e di mercato;

Ø      le politiche multisettoriali, orientate alla diffusione dell’innovazione tra settori, alla creatività imprenditoriale, alla generazione del nuovo al mantenimento della biodiversità e della ricchezza dei settori in cui operano le Regioni;

Ø      le politiche di portafoglio e in particolar modo le politiche focalizzate su ambiti tecnologico/settoriali di eccellenza e basate su grandi progetti internazionali, in modo da favorire addizionalità e specificità del pacchetto di strumenti;

Ø      lo sviluppo dei distretti tecnologici nei settori in cui sono presenti contestualmente competenze scientifiche e attività di ricerca di eccellenza in grado di attrarre investimenti esterni  e cluster di imprese innovative che operano sui mercati internazionali.

 

Le strategie regionali tese al rafforzamento dei vantaggi competitivi dei sistemi produttivi locali, sono fortemente correlate alle politiche di intervento nel mercato del lavoro e alle azioni a sostegno dell’occupazione attraverso la qualificazione del capitale umano, intervenendo sia sul fronte dell’offerta - intesa come maggiore quantità e qualità di cultura, istruzione e formazione - che su quello della domanda, intesa come capacità dei contesti regionali di mettere a frutto il potenziale di un più forte patrimonio di conoscenze e qualifiche.

Tale modello si esplica nel duplice approccio di SVILUPPO DEL SISTEMA DELLE IMPRESE E DELLA CULTURA DEL LAVORO (2B) che insiste contemporaneamente sulla “risorsa uomo” inteso sia come fornitore primario di elaborazione e di attività, sia come momento di pianificazione di organizzazioni, di diverso grado di complessità, finalizzate alla produzione di beni e servizi. Tale priorità si esplica necessariamente con una sistematica e coordinata strategia declinata in azioni a carattere pubblico di regolazione e sostegno e in accelerazioni e interventi da parte del sistema delle imprese.

Nell’ottica del rilancio della strategia di Lisbona tale approccio si presenta fortemente correlato con quanto definito in tema di Innovazione, R&S, trasferimento di tecnologie (di cui al precedente punto 2A).

Il riferimento delle azioni regionali è dunque relativo alla Creazione Di Una Economia Integrata (2B1) finalizzata alla valorizzazione e diffusione di modelli di eccellenza in ogni singolo comparto produttivo:

Le grandi priorità a sostegno della competitività delle imprese sono:

Ø      la crescita dimensionale, la capitalizzazione delle imprese e l’aggregazione imprenditoriale al fine di favorire la domanda di servizi collettivi innovativi; la crescita dimensionale delle imprese, in particolare, è vista come una condizione essenziale per realizzare investimenti e adeguate economie di scala;

Ø      l’incentivazione e il sostegno alla nascita di imprese ad alto contenuto tecnologico, che coniughino il portato della ricerca scientifica alle esigenze del mercato;

Ø      lo sviluppo della ricerca d’impresa finalizzata al presidio dei fattori di competitività, con particolare attenzione all'avvio di progetti in grado di trasferire nel tessuto produttivo tecnologia d’avanguardia  favorendone l’internazionalizzazione;

Ø      azioni di sostegno allo sviluppo delle vocazioni territoriali e della integrazione di filiera; favorire il processo di formazione di Sistemi Locali di Sviluppo già avviato con la progettazione integrata territoriale

Ø      il miglioramento delle condizioni di accesso al credito da parte delle imprese, rafforzando le possibilità ed opportunità di coinvolgimento del capitale partecipativo e di rischio;

Ø      l’utilizzo di strumenti integrati di incentivazione per sostenere le imprese nell’adozione di innovazioni tecnologiche, organizzative e di mercato;

Ø      promozione e rafforzamento dei cluster imprenditoriali locali basati sulla qualità e l’innovazione:; promozione dei processi di infrastrutturazione (Incubatori, PIP, ASI, .

Ø      sostegno diretto per la creazione e lo sviluppo di impresa: razionalizzazione ed integrazione degli incentivi (istituzione regimi agevolativi regionali, cofinanziamento Contratti di programma  e Contratti di investimento).

Le azioni di cui sopra sono correlate in maniera sinergica con le priorità orizzontali di governance, semplificazione e selettività del sistema degli incentivi già definiti come di “contesto” o ambientali.

In particolare, uno dei punti essenziali per il rilancio della competitività ruota attorno alla capacità della politica economica di dare risposte efficaci in tema di politiche incentivanti  per le imprese. In linea con i recenti orientamenti in materia di sostegno ai sistemi imprenditoriali, si intende, inoltre, puntare a ridurre permanentemente gli svantaggi localizzativi attraverso la realizzazione di opere pubbliche ed esternalità positive per lo sviluppo sostenibile dei sistemi produttivi che devono ancora raggiungere la condizione di competitività.

 

Fortemente connesso al punto precedente, il sostegno all’ Internazionalizzazione (2B2) è considerato dalle Regioni uno strumento indispensabile per il sostegno e l’evoluzione del posizionamento delle imprese sul mercato, per il quale è percettibile la costante riduzione di significato della suddivisione in mercato interno/esterno, nazionale/internazionale e per il recupero della competitività, al fine di allargare i confini geografici ed economici delle filiere nelle quali sono inseriti i beni e i servizi prodotti nelle Regioni, e a proporre contestualmente le proprie risorse naturali, artistiche e culturali in chiave turistica, intendendo il turismo come una peculiare forma di commercio internazionale di servizi e di beni.

L’intensificazione dei rapporti e delle reti di cooperazione internazionale e l’attrazione delle risorse mobili per lo sviluppo (investitori internazionali, saperi ed innovazioni) rappresentano altrettanti terreni di azione e di crescita.

Le Regioni intendono inoltre valorizzare la posizione privilegiata dell’Italia quale crocevia del Mediterraneo, anche nell’ambito del prossimo processo di liberalizzazione degli scambi nell’area, e nel quadro dello sviluppo dei rapporti e scambi con l’Europa centrale e orientale, il Maghreb e il MedioOriente.

Nel quadro attuale della competizione internazionale e dell’evoluzione dei processi di globalizzazione rivestono carattere di urgenza, in relazione alla situazione italiana, e si configurano come particolarmente determinanti, le azioni finalizzate a:

Ø      al miglioramento della competitività delle imprese regionali e il sostegno per l’acquisizione di incentivi e servizi avanzati a supporto all’internazionalizzazione delle imprese locali, (garanzie e assistenza all’accesso ai sistemi di credito internazionali, servizi informativi e di assistenza tecnica per l’approccio ai nuovi mercati);

Ø      all’erogazione di servizi reali alla definizione e implementazione di joint venture e accordi di collaborazione con imprese degli stati membri dell’Unione Europea e con paesi terzi

Ø      alla promozione del sistema imprese-territorio mediante iniziative di marketing territoriale e di costruzione strategica di una comunicazione integrata (Global Design), unitamente ad attività di cooperazione economica, culturale e istituzionale, transfrontaliera, transnazionale e interregionale;

Ø      allo sviluppo delle “infrastrutture dell’internazionalizzazione”: integrazione del sistema fieristico – fondamentale strumento di penetrazione del Made in Italy sui mercati mondiali - con quello aeroportuale e logistico, con particolare riferimento ai collegamenti regionali con i principali hub internazionali;

Ø      all’attività di formazione e specializzazione sui temi dell’internazionalizzazione, anche tramite  percorsi formativi integrati a favore del sistema imprenditoriale e della Pubblica Amministrazione; aggiornamento sulle iniziative e le politiche europee in ambito transnazionale, formazione sul commercio e la cooperazione internazionale, di marketing internazionale e new-economy; azioni per il trasferimento delle buone pratiche in materia di cooperazione internazionale, attraverso la realizzazione di workshop tematici in ambito economico, culturale e scientifico;

 

Il quadro dello SVILUPPO DEL SISTEMA DELLE IMPRESE E DELLA CULTURA DEL LAVORO (2A) viene necessariamente e coerentemente completato con il terzo asse portante relativo alla Qualificazione dell’agire professionale (2B3) si pone come fattore determinante per il rafforzamento sia dell’economia della conoscenza, fondata su competenze dell’individuo elevate e radicate, che della società della conoscenza, capace di sviluppare benessere e coesione attraverso la continua immissione e diffusione di elementi di informazione fra la popolazione.

Alla base di tale priorità di intervento, sta la consapevolezza che il livello di cultura e di formazione di una popolazione costituisce non solo un elemento di civiltà ma è anche un indispensabile fattore di competitività del sistema economico-sociale; un maggiore e più incisivo impegno nell’attività di qualificazione delle risorse umane rappresenta, nella visione delle Regioni italiane, la risposta più adeguata alla sfida proveniente dai paesi di nuova industrializzazione.

Strumenti indispensabili per il raggiungimento di questo obiettivo sono il potenziamento del sistema dell’istruzione e la creazione/rafforzamento di un sistema di orientamento e formazione per tutto l’arco della vita, da collegare ad azioni di supporto per ridurre le differenze di opportunità e di crescita nel mercato del lavoro.

La logica del lifelong learning deve pervadere e ispirare tutti gli interventi che mirano all’innalzamento dell’occupazione e alla qualificazione delle risorse umane ma anche le politiche per una società inclusiva che sono imprescindibili in una economia matura e orientata alla competitività.

In quest’ottica, il concetto di integrazione è di particolare importanza, sia perché si ritiene che debba essere fatto un ulteriore sforzo di integrazione fra i sistemi e le politiche di istruzione di formazione di orientamento e per il lavoro, sia perché gli interventi di formazione non possono essere scollegati dalle prospettive di sviluppo e dalle priorità di investimento che le Regioni intendono individuare.

In tal senso si ritiene strategico e fondamentale agire nel:

§         prevenzione della dispersione scolastica sia per l’assolvimento dell’obbligo scolastico, sia per il proseguimento degli studi, attraverso servizi di orientamento e accompagnamento che coinvolgano anche le famiglie e le imprese;

§         promuovere un costante e sistematico raccordo delle istituzioni formative e della programmazione dell’offerta con le imprese e con i centri di eccellenza affinché l’alta formazione possa essere mirata anche a specifiche iniziative e possa seguire, adattando rapidamente l’offerta stessa, la rapida evoluzione che i nostri mercati del lavoro affrontano;

§         programmare percorsi di alta formazione in campo scientifico e nel campo della ricerca e dell’innovazione tecnologica di prodotto e di processo (con una particolare attenzione alle esigenze delle PMI) e attraverso un adeguato sistema di incentivi, non solo economici, per promuovere un maggiore accesso alle facoltà scientifiche e lo sbocco non precario dei ricercatori;

§         realizzare azioni di sistema che fra le altre consentano, soprattutto in situazioni di crescita dimensionale delle imprese o di fusione e accorpamento, di censire le disponibilità agli investimenti in ricerca.

§         aumentare la capacità dei sistemi di cogliere le specificità territoriali e locali e di personalizzare i percorsi formativi. L’accesso alla formazione deve essere quindi sempre più ampio in quanto  diritto soggettivo del cittadino e comunque strumento in favore dell’occupabilità. In particolare la formazione, nell’ottica di una netta riduzione della precarizzazione del lavoro giovanile, potrà essere associata all’occupazione rivedendo anche i meccanismi di protezione sociale;

§         garantire, attraverso l’utilizzo sistematico degli interventi di formazione continua, l’aggiornamento e la riconversione professionale degli occupati, con una particolare attenzione a fornire un adeguato supporto ai lavoratori di quelle imprese e di quei settori coinvolti in situazioni di crisi o in processi di ristrutturazione, sempre più frequenti e generalizzati;

§         valorizzare la rete dei servizi per l’impiego e agevolare la mobilità delle imprese e dei lavoratori, attraverso specifiche iniziative di incontro fra domanda e offerta;

§         realizzare misure di conciliazione per consentire l’ampliamento della partecipazione alla formazione e al mercato del lavoro anche attraverso l’offerta di servizi a seconda delle condizioni di vita per le donne e per gli uomini.

 

Per rendere la qualificazione del lavoro un obiettivo realisticamente perseguibile a livello diffuso è necessario un forte impegno sia nella qualificazione della formazione iniziale, sia nella diffusione dell’apprendimento lungo tutto l’arco della vita; il consolidamento della formazione continua e permanente si configura infatti come un importante fattore di competitività, da realizzare con l’attiva partecipazione alla programmazione degli interventi delle parti sociali e degli enti locali.

Una particolare attenzione è rivolta all’alta formazione, attraverso la programmazione di interventi formativi di alto livello per l’acquisizione di competenze complesse e specialistiche, spendibili in settori quali la cultura, l’ambiente, il turismo o richieste dai settori individuati come strategici delle economie regionali, anche attraverso l’attivazione di percorsi integrati di formazione/lavoro per professionalità tecniche medio-alte, al fine di facilitare - a partire dalla disponibilità dei profili professionali necessari - l’introduzione delle innovazioni e delle tecnologie avanzate nei sistemi produttivi, in particolare nelle PMI.

Al fine di raggiungere l’obiettivo della competitività attraverso la crescita e il mantenimento del capitale umano, è assolutamente necessario che il sistema della formazione superiore ed universitaria sia indirizzato verso una forte integrazione con il tessuto economico e sociale circostante.

 

La terza componente delle PRIORITA’ ORIZZONTALI DI CRESCITA individuata dalle Regioni è relativa al potenziamento delle INFRASTRUTTURE DI TRASPORTO, INTERSCAMBIO E TELECOMUNICAZIONE (2C).

Un primo elemento è rappresentato dalla improrogabile necessità di portare i territori più marginali al raggiungimento di standard di accesso alla mobilità comuni a quelli dei cittadini europei, obiettivo da perseguire attraverso una stretta concertazione con la programmazione nazionale rispetto alla grande infrastrutturazione.

Le Regioni considerano prioritario sviluppare la rete di mobilità e di logistica nella dimensione regionale e verso i nuovi grandi assi di comunicazione europea e mediterranea; la politica sul piano delle infrastrutture di trasporto e interscambio va perseguita potenziando e migliorando l’intero sistema dei trasporti tanto sotto l’aspetto economico, quanto sotto il profilo ambientale, sfruttando le opportunità di quei territori che per la loro posizione hanno la possibilità di diventare importanti piattaforme logistiche.

Gli interventi prioritari saranno volti ad assicurare una mobilità di persone e merci ambientalmente sostenibile, riequilibrando e integrando i vari modi di trasporto, ottimizzando l’uso delle infrastrutture, eliminandone le criticità e strozzature, promuovendo l’innovazione tecnologica del settore specifico, differenziando le strutture in modo da distribuire i flussi delle persone e delle merci secondo i diversi ambiti logistici.

Le strategie di intervento, per quanto riguarda lo sviluppo di una sistema modale e intermodale di trasporto, mirano a rafforzare i fattori di base della competitività del sistema socio-economico regionale tramite il:

 

Ø      riassetto dei sistemi di trasporto regionale - considerando tutti i modi, collettivi e individuali, pubblici e privati -  mediante azioni di integrazione della componente trasportistica con le politiche territoriali di sviluppo;

Ø      i collegamenti dei nodi e dei terminali presenti sul territorio regionale con le reti di interesse nazionale ed internazionale, per favorire la circolazione di merci, risorse finanziarie, capitale umano;

Ø      promuovere e dare continuità agli interventi di realizzazione dei corridoi transfrontalieri;

Ø      l’innovazione dei metodi gestionali delle reti, il migliore utilizzo delle infrastrutture esistenti potenziandolo in termini di  qualità, efficienza e sicurezza;

Ø      il riequilibrio modale realizzando infrastrutture per il trasporto urbano e metropolitano di massa; definendo e potenziando i nodi di interscambio del trasporto su ferro e su strada (ferroutage); avendo riguardo a interventi che danno impulso al trasporto di merci e persone lungo le vie del mare e al cabotaggio;

Ø      l’interconnessione delle reti a livello locale aumentando e migliorando l’uso delle strutture trasportistiche esistenti;

Ø      la realizzazione di piattaforme logistiche e di interscambio anche tramite il potenziamento di superfici aeroportuali, interporti e di strutture portuali;

Ulteriore fondamentale priorità delle Regioni nel completamento del panorama dei collegamenti tra territori è rappresentato dalla diffusione e completamento delle infrastrutture di telecomunicazione, con particolare riferimento alla riduzione del digital divide, ancora presente nella realtà italiana rispetto ad altre situazioni europee e mondiali, attraverso specifiche azioni a supporto della diffusione di infrastrutture e servizi sia a tutta la PA Locale, sia ai cittadini, sia alle imprese con particolare attenzione alle PMI e alle aree marginale e delocalizzate.

Le azioni previste dalla strategia regionale sono relative a:

Ø      promuovere la diffusione e l’uso efficace delle ICT e costruire una società dell’informazione inclusiva con azioni volte a realizzare la democrazia dell’accesso in rete da parte di singoli individui o organizzazioni pubbliche e private, nonché l’adozione delle nuove tecnologie di rete da parte delle imprese;

Ø      realizzare e completare l’infrastrutturazione del territorio a banda larga e con reti di accesso a livello locale per ridurre le distanze fra centro e periferia;

Ø      sviluppo di piattaforme per l’implementazione di servizi innovativi alle imprese e al cittadino (ad es. E-Business e E-Health);

Ø      attuare i programmi di rinnovamento ed i nuovi servizi della Pubblica amministrazione basati sulla diffusione dell’E-government;

In questo quadro appare fondamentale il collegamento tra lo sviluppo delle infrastrutture di telecomunicazione e un’azione incisiva di formazione e trasferimento di competenze (liaison con la priorità 2B3 di “Qualificazione dell’agire professionale”) relativa all’acquisizione e l’aggiornamento di competenze nell’ICT, allo sviluppo delle azioni di sensibilizzazione e alfabetizzazione tramite l’attuazione di strategie di E-learning, ICT training, Life-long learning e sviluppo di servizi a supporto di tali processi.

Risulta inoltre determinante e strategica l’integrazione delle azioni di diffusione delle ICT con quanto tracciato in tema di innovazione e ricerca e sviluppo (2A); in particolare le tecnologie dell’informazione si configurano come strategiche per lo sviluppo socio-economico sia dal punto di vista infrastrutturale di fattore di competitività per i sistemi locali che per il potenziale di mercato per le imprese del settore stesso. Per supportare quanto detto, dunque, è necessario intervenire al fine di incrementare le attività di R&S negli ambiti di:

a.       Digitalizzazione delle reti di telecomunicazioni e sicurezza e protezione delle comunicazioni, reti riconfigurabili dinamicamente;

b.      Reti di contenuti multimediali (Content Networking) e piattaforme per la fornitura di servizi multimediali;

c.      Piattaforme di Gestione e Controllo di servizi, tecnologie dei sistemi informativi, delle interfacce utente, delle reti e delle tecnologie wireless;

d.       Rappresentazione, acquisizione e gestione della conoscenza, interazioni multicanale e multisensoriale, sviluppo di architetture sw e hw per il supercalcolo.

 

A completamento del quadro strategico delle Regioni italiane, il quarto elemento trasversale delle PRIORITA’ ORIZZONTALI DI SVILUPPO è relativo all’INTEGRAZIONE DEI SISTEMI TERRITORIALI E SVILUPPO SOSTENIBILE (2D)

Nel “sentire” regionale circa il governo del territorio e la sua reiterpretazione quale fattore di competitività, lo spazio territoriale si configura oggi come una componente essenziale dell’organizzazione dello spazio economico: dalla dimensione dello sviluppo sostenibile non è dunque più possibile prescindere per avviare una strategia di riposizionamento competitivo e di rafforzamento dei processi di coesione. In tal senso, si intende operare secondo un approccio strutturalista dello sviluppo sostenibile, quale fattore fondamentale che deve permeare tutte le scelte di governo dei sistemi territoriali, considerati in tutta la loro complessità, fin dal momento della loro concezione e durante tutto il processo di dibattito e definizione della decisione politica.

Vengono oggi infatti riscoperti e riconsiderati dagli utenti/fruitori e dagli operatori, la qualità estetica, lo spessore storico-culturale e il patrimonio ambientale dei luoghi, e insieme la possibilità di utilizzare questi caratteri ambientali e territoriali quali fattori dello sviluppo economico. Si determina quindi l’opportunità di stimolare forme di valorizzazione economica di tali caratteri come strumento per una politica di mantenimento e rivitalizzazione dei valori territoriali.

Sotto questo profilo, l’integrazione delle risorse e peculiarità territoriali in un unicum formato da paesaggio – biodiversità – produzioni locali – turismo – cultura definisce scenari di grande interesse e potenzialità sia per il valore aggiunto prodotto, che per l’applicabilità del modello a vaste porzioni del territorio italiano, caratterizzato da valenze naturalistiche e “segni umani” di grande rilevanza.

Il rapporto tra valorizzazione integrata delle risorse locali e sostenibilità tuttavia non può essere inteso come esclusivamente legato al contesto ambientale. L’aspetto culturale (o, se si vuole, sociale) della sostenibilità emerge almeno sotto due profili:

Ø      quello delle regole di cittadinanza necessarie per mettere in pratica modelli sostenibili di uso del territorio e delle risorse naturali;

Ø      quello della sostenibilità nel tempo del valore culturale e ambientale dei territori stessi.

Sotto il primo profilo, deve essere intrapresa l’azione di rivitalizzazione delle aree rurali e l’esigenza di un’organizzazione più sostenibile dello sviluppo delle aree periurbane, accompagnata a un utilizzo delle risorse naturali che non ne pregiudichi le capacità di rigenerazione e ripristino.

Sotto il secondo aspetto, quello della conservazione dei valori culturali dei territori, occorre intervenire al fine di scongiurare il rischio che l’attrattiva esercitata dal mercato turistico, ancorché modesta nella sua dimensione quantitativa, spinga alla banalizzazione delle specificità locali e alla promozione dei luoghi secondo la logica standardizzata delle pratiche di marketing territoriale, “clonando” modelli risultati vincenti altrove e trasformando in cliché gli elementi di carattere.

La sfida posta dallo sviluppo sostenibile è quella di conciliare un’economia dinamica con una società in grado di offrire opportunità a tutti, aumentando al contempo la produttività delle risorse e la competitività dei territori, disgiungendo l’aspetto della crescita da quello del degrado ambientale.

La strategia finalizzata ad uno sviluppo sostenibile e duraturo passa attraverso due momenti strettamente tra loro connessi:

Ø      evitare l’insorgere di condizioni di pressione ambientale negativa e assicurare un uso sostenibile delle risorse, garantendo condizioni di mantenimento e preservazione degli habitat ed ecosistemi naturali e della biodiversità;

Ø      promuovere l’integrazione tra risorse locali operando per il rafforzamento dei settori produttivi che sfruttano i vantaggi competitivi legati alla qualità delle risorse paesaggistiche, culturali e ambientali, quali la filiera del turismo e la filiera agroalimentare.

Per quanto riguarda il primo aspetto si deve rivolgere l’attenzione allo sviluppo della ricerca finalizzata a definire politiche e  realizzare sistemi a basso impatto in tema di:

a)      Sostenibilità ambientale: rispetto e preservazione del rapporto natura/cultura/sviluppo, tutela dei biotopi e della biodiversità.

b)      Sostenibilità tecnica: rispetto della soglia di capacità di carico e del tasso di riproducibilità biologica.

c)      Sostenibilità socioculturale: rispetto, difesa e valorizzazione delle specificità locali; preservazione dell'identità socioculturale; coinvolgimento della comunità autoctona

d)      Sostenibilità economica: restauro, recupero e riconversione dell'esistente.

 

In tal senso, nell’ambito della strategia di Lisbona, assumono grande rilevanza lo sviluppo di:

Ø      nuove tecnologie e processi quali strumenti per una politica per la tutela dell’ambiente e del territorio e per la migliore gestione del ciclo dei materiali;

Ø      gestione sostenibile dello sviluppo, nel rapporto insediamenti civili e industriali con il territorio, nelle dinamiche di utilizzo delle risorse e dello spazio, nella messa in sicurezza del territorio, (aspetti idrogeologici, di stabilità dei versanti e della regimazione delle acque di superficie; riorganizzazione e razionalizzazione delle reti di servizio delle acque e del ciclo dei rifiuti);

Ø      promozione delle condizioni idonee allo sviluppo di un sistema energetico che dia priorità alle fonti rinnovabili ed al risparmio energetico al fine di ridurre l’emissione di inquinanti in atmosfera senza alterare il patrimonio naturale. Gli ambiti verso i quali viene prevalentemente stimolata l’azione sono quelli connessi a interventi di R&S e della successiva implementazione di sistemi per la produzione di energia generata da fonti naturali e pulite (quali la biomassa e l’idrogeno), della fisica dello stato solido e dei materiali per lo sviluppo di dispositivi fotovoltaici e della fisica dei fluidi per lo sviluppo di sistemi eolici.

 

Per quanto riguarda invece l’aspetto di integrazione delle risorse locali si prevedono interventi simultanei e paralleli finalizzati alla tutela, risanamento e valorizzazione delle risorse naturali e al sostegno dello sviluppo imprenditoriale per un rilancio delle attività economiche e per incentivare iniziative imprenditoriali volte a sfruttare in modo innovativo le opportunità offerte dal territorio.

Anche in questo caso forte e determinante è il collegamento con le azione di R&S che si indirizzano verso tecnologie innovative nella filiera agro-alimentare e miglioramento della competitività delle produzioni tipiche, nella conservazione e trasformazione degli alimenti, per l’utilizzo chimico e famaceutico delle piante officinali e delle essenze, nello sviluppo delle tecniche genetiche e di biologia molecolare per la certificazione dei produzioni.

Nell’ambito di tale prospettiva si colloca la definizione di progetti integrati per una offerta turistica, culturale e commerciale, volta a sostenere un complesso integrato di interventi per l’infrastrutturazione pubblica a supporto di progetti locali per lo sviluppo di una nuova potenzialità turistica collegata alle emergenze storico-architettoriche e  alla rete dei centri commerciali naturali.

Si intende dunque favorire lo sviluppo, compatibilmente con la tutela ambientale, collegando le produzioni agroalimentari e dell’artigianato artistico con la valorizzazione dei centri minori, con le loro risorse artistiche e culturali, con le diffuse potenzialità turistiche, nella ricerca continua della qualità e della diversità, viste come valore dell’identità nel mercato globale; particolare significato assumono gli interventi nelle zone svantaggiate, mediante il sostegno alla silvicoltura, agricoltura e zootecnia, la realizzazione di interventi finalizzati a compensare gli svantaggi di tipo territoriale ed ambientale, il sostegno alle microfiliere produttive e all’agriturismo.

Per il settore turistico e la sua integrazione con le filiere produttive, ci si prefigge l’obiettivo di stimolare il consolidamento e riposizionamento sui mercati, operando nella direzione di un ulteriore rafforzamento dell’integrazione dei diversi sistemi di offerta.


5.  Le Priorita’ Verticali: un primo approccio

 

Sul piano delle PRIORITÀ VERTICALI, rispetto alle scelte programmatiche effettuate dai governi regionali e già in fase di attuazione si segnalano gli ambiti produttivi sotto indicati, in quanto riferimenti per l’azione specifica su cluster distrettuali/ reti di imprese di ispirazione porteriana, che dimostrano o un forte potenziale di crescita o sono relativi a dinamiche di crisi urgentemente da affrontare, ma che sempre sono caratterizzati da una forte valenza multiregionale determinata dalla dislocazione sui territori regionali di analogie e integrazioni di specializzazioni produttive anche a forte valenza distrettuale. L’approccio alle priorità verticali ha un carattere ricognitivo semplificato, in relazione ad una prossima definizione delle politiche di intervento regionali sia alla luce dei risultati dell’ormai quasi passata programmazione che in funzione della definizione di un quadro certo di risorse per il prossimo periodo 2007-13.

Il processo che ha condotto alla seguente individuazione parte dal presupposto che tutti i cluster delle Regioni sono significativi e devono essere compresi nell’azione finalizzata al miglioramento della competitività anche nel quadro del sostegno alle produzioni tipiche del Made in Italy. Tuttavia, in un contesto di priorità degli interventi, da verificare in un’ottica di rapporto benefici-costi, di efficacia ed efficienza dell’azione e del relativo comparto sul quale si agisce, di risorse limitate, il loro utilizzo va focalizzato al fine di ottenere i migliori risultati per tutta l’economia.

Su alcuni di questi cluster le possibilità di intervento diretto da parte delle Regioni sono rilevanti, in relazione al forte rapporto tra imprese e territorio, alla presenza diffusa di know how, di logiche distrettuali sia riconosciute e strutturate che latenti, ma per questo non meno importanti ai fini di un’azione di rilancio che deve forzatamente interessare tutti gli attori dello sviluppo socioeconomico. Tale approccio è in ogni caso, negli sviluppi implementativi delle strategie regionali, da adottarsi per tutti i cluster, fornendo loro indicazioni e interventi per il miglioramento della competitività, modulando nel tempo gli sforzi attraverso un preciso quadro di priorità.

I cluster a valenza multiregionale individuati dalle Regioni italiane, pur declinati nei caratteri relativi alle specificità locali, sono essenzialmente riconducibili a:

-        Energia, con particolare riferimento alle energie rinnovabili.

-        Biotecnologie e scienze della vita

-        ICT

-        Meccanica avanzata, Cantieristica e Nautica

-        High tech, chimica e nuovi materiali

-        TAC – Tessile Abbigliamento Calzature

-        Aerospaziale e settori innovativi dell’ingegneria

-        Agroindustria e agroalimentare

-        Turismo integrato e sostenibile

ENERGIA

La disponibilità e il costo dell’energia, insieme con il potenziale impatto che le scelte di politica energetica hanno sull'ambiente, sono tra i fattori che maggiormente influenzano la crescita economico-sociale, perché coinvolgono tutti i settori di attività umana. In una logica di sostenibilità e, quindi, di corretto uso delle risorse, è quindi fondamentale promuovere lo sviluppo di progetti rivolti all’efficienza energetica, in grado di generare quantitativi di CO2 evitata, in accordo con i principi  e gli strumenti di attuazione del Protocollo di Kyoto. Secondo tale finalità, occorre agire in una duplice direzione:

Ø      da un lato, favorire un uso razionale delle fonti energetiche tradizionali, in un’ottica di risparmio energetico;

Ø      dall’altro, incentivare la ricerca, la sperimentazione e l’impiego di fonti rinnovabili (biomasse, solare, eolico, idrogeno, geotermico)

Il massimo impegno deve essere profuso nella ricerca delle soluzioni più efficienti in rapporto alla combinazione fonte / territorio, sia dal punto di vista della disponibilità della “materia prima” da impiegare per la produzione di energia, sia sotto il profilo degli usi probabili dell’energia prodotta, sia ancora in relazione agli impatti conseguenti alle soluzioni adottate, in termini di ricadute positive sui nuovi comparti produttivi che si andranno a determinare in relazione alle nuove tecnologie sviluppate.

 

BIOTECNOLOGIE E SCIENZE DELLA VITA

In un’economia basata sulla conoscenza, il settore delle biotecnologie e delle scienze della vita offre un’ampia gamma di opportunità, sollevando nel contempo importanti questioni di natura strategica e sociale. Per non limitarsi a difendere lo spazio comunitario da strategie sviluppate altrove, è importante programmare azioni pro-attive per uno sfruttamento responsabile, coerente con i valori e gli standard europei. Tale impostazione è stata ribadita dal Consiglio europeo di Stoccolma, nel marzo 2001, con un invito alla Commissione “ad esaminare i provvedimenti necessari per sfruttare pienamente il potenziale delle biotecnologie e rafforzare la competitività europea nel settore per portarla al livello della concorrenza, garantendo al tempo stesso un’evoluzione che non perda di vista la salute e la sicurezza dei consumatori e dell’ambiente, nel rispetto dei valori comuni fondamentali e dei principi etici”.

Poiché il successo di una economia basata sulla conoscenza dipende dall’elaborazione, dalla diffusione e dall’applicazione di nuove nozioni, gli sforzi e gli investimenti devono concentrarsi:

Ø      nel sostegno alla ricerca, all’istruzione e alla formazione;

Ø      nel supporto alla ricerca pluridisciplinare, che abbina la biologia ad altre scienze e discipline, quali la tecnologia dell’informazione, la chimica e l’ingegneria dei processi;

Ø      nella definizione di azioni traducano la conoscenza in nuovi prodotti, processi e servizi, così da creare sviluppo economico e nuovi posti di lavoro specializzati.

 

ICT

La capacità delle Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione di promuovere la crescita economica è direttamente proporzionale al loro livello di sviluppo e di diffusione; ciò significa che, per quanto sia importante il progresso tecnologico in questo settore, l’impatto dell'ICT sull’economia rimane circoscritto fintantoché non se ne accelera un processo di adozione diffuso e capillare. Le linee di intervento proposte si concentrano, pertanto, intorno ai seguenti obiettivi:

Ø      sviluppare le infrastrutture di rete, a servizio delle imprese (per migliorare l’interazione tra le diverse strutture aziendali e tra queste e l’ambiente esterno, nonché per ampliarne il mercato territoriale di riferimento), dei cittadini (per accrescerne la predisposizione nei confronti dell’adozione e dell’utilizzo di tecnologie e servizi innovativi), delle Pubbliche Amministrazioni (per innalzare la qualità delle relazioni che queste intrattengono con i cittadini e con le imprese);

Ø      radicare le competenze manageriali legate alle ICT nella forza lavoro, nel sistema educativo e nella formazione aziendale, non solo e non tanto per insegnare l’uso delle tecnologie, ma soprattutto per trasferire le competenze necessarie a sfruttarne le opportunità a favore dello sviluppo dell’impresa;

Ø      stimolare lo spirito imprenditoriale e la diffusione dell’innovazione nelle imprese, assicurando fondi alle PMI esistenti e incoraggiando la creazione di nuove imprese;

Ø      favorire un collegamento più diretto tra università ed impresa, privilegiando la ricerca applicata, sponsorizzando progetti pilota per dimostrare i benefici delle ICT, sostenendo partnership pubblico-private che permettano alle PMI di accedere ai risultati prodotti nell’ambito della ricerca, destinando fondi a favore degli spin off universitari.

 

MECCANICA AVANZATA, CANTIERISTICA E NAUTICA

La conformazione del territorio italiano e gli oltre 7.500 km di coste hanno, da sempre, favorito lo sviluppo di attività legate alla cantieristica e alla nautica. Tali settori, insieme a quello della meccanica avanzata, hanno subito, negli ultimi anni, una sensibile trasformazione sia produttiva che finanziaria, determinata dalla necessità di un adeguamento tecnologico del processo produttivo, di un’organizzazione più efficace ed efficiente delle fasi di produzione e di commercializzazione, di un innalzamento del livello di qualità dei prodotti. In questo senso, è necessario investire sul potenziamento della dotazione infrastrutturale per la localizzazione e la logistica, sull’aumento di competitività e produttività delle imprese, sull’ulteriore sviluppo degli standard qualitativi e stilistici di un settore che da sempre è caratterizzato dall’impronta del Made in Italy.

 

HIGH TECH, CHIMICA E NUOVI MATERIALI

L’affermazione di un concetto di economia knowledge-based, in cui cioè la conoscenza diviene una risorsa fondamentale per l'innovazione del sistema produttivo, rende più che mai importante definire linee di intervento nei settori delle tecnologie e dei sistemi avanzati di produzione che sostengono il ciclo di vita di tutti i prodotti industriali dalla concezione al riciclo. Poiché non c'è sviluppo senza innovazione e non c'è innovazione senza ricerca scientifica, è necessario investire nello sviluppo e nell’applicazione di alta tecnologia (ad esempio, le nanotecnologie, la microelettronica, la robotica, …) e di nuovi materiali (con particolare riguardo a quelli a basso impatto ambientale, ai materiali compositi, al carbonio, …) al fine di consentire al sistema produttivo italiano di acquisire più ampi livelli di competitività.

 

TAC - Tessile Abbigliamento Calzature

I recenti cambiamenti intervenuti nello scenario internazionale, con una crescente liberalizzazione dei mercati, una concorrenza sempre più aggressiva dei paesi extraeuropei sui prodotti di facile imitazione ed un’accentuata delocalizzazione produttiva ha posto anche settori che, per lungo tempo, hanno rappresentato poli di eccellenza nella necessità di evolversi rapidamente per difendere il proprio ruolo economico nell’ambito dell’economia nazionale e per rispondere ai nuovi bisogni che emergono dalla società contemporanea. La necessità, quindi, è quella della specializzazione, della diversificazione verso prodotti con maggiore contenuto tecnologico, dell’applicazione all’industria. In particolare, per quel che riguarda il Made in Italy che, ormai da tempo, sta soffrendo di una crisi strutturale drammatica, occorre intervenire sostenendo il riorientamento del settore tramite azioni di integrazione, di riqualificazione, e di ricerca e applicazione di soluzioni avanzate, soprattutto per quanto riguarda il design, i processi di produzione e confezione e i nuovi materiali (ad es. con migliorate caratteristiche idrorepellenti, antistatiche, antifiamma, con proprietà antibatteriche, capaci di non trattenere lo sporco o di esibire particolari proprietà ottiche e cromatiche, ...).

 

AEROSPAZIALE E SETTORI INNOVATIVI DELL’INGEGNERIA

I settori innovativi dell’ingegneria svolgono un ruolo cruciale nel salvaguardare la capacità tecnologica ed industriale italiana, soprattutto nel campo dei trasporti, della comunicazione, dell'osservazione e della sicurezza; in tali ambiti, l’industria aerospaziale riveste un ruolo economico e strategico essenziale, anche per i livelli di eccellenza assoluta riconosciuti a livello internazionale sia ai servizi connessi (ad es. il telerilevamento) che alle produzioni italiane. Per consolidare e sviluppare tali posizioni, è essenziale favorire il potenziamento del settore attraverso azioni finalizzate all’acquisizione di nuove conoscenze e alla messa a punto di nuovi prodotti e servizi innovativi. Di particolare rilevanza appaiono le tecnologie e le metodologie relative allo sviluppo di componenti e di equipaggiamenti areospaziali, nel quadro della collaborazione sia della grande industria italiana a progetti internazionali che, in termini di subcontraenza, da parte delle PMI specializzate, per le quali si rileva uno spazio di mercato crescente.

 

AGROINDUSTRIA E AGROALIMENTARE

In un contesto di mercato globalizzato, l’innovazione e la competitività del settore agroalimentare italiano e dell’enogastronomia di qualità si costruiscono sull’innalzamento delle performance qualitative sia dei prodotti finali che delle materie prime impiegate nei processi produttivi, in una logica di tracciabilità completa delle filiere. Occorre, quindi:

Ø      consolidare e far evolvere le produzioni tradizionali, sostenendole in un percorso di organizzazione aziendale e favorendone l’accesso ai mercati;

Ø      integrare il sistema agricolo e l’industria alimentare, investendo sullo sviluppo (non solo tecnologico) di entrambi, sia in chiave di riscoperta e valorizzazione delle produzioni tipiche che di produzioni di qualità market oriented

 

TURISMO INTEGRATO E SOSTENIBILE

Il turismo rappresenta, da sempre, una risorsa fondamentale per l’economia delle Regioni italiane che, tuttavia, oggi devono confrontarsi con alcune dinamiche che impongono interventi di riorganizzazione del settore. Da un lato, la disponibilità di un’offerta sempre più ampia a livello internazionale, impone anche alle risorse più consolidate di qualificare e specializzare la propria presenza sul mercato,  per concorrere con territori che possono “vendere” risorse simili a prezzi decisamente più bassi; dall’altro, la crescita di una domanda legata alla fruizione di patrimoni di nicchia ha avvicinato ai flussi turistici anche porzioni di territorio fino ad oggi, essenzialmente, “vergini”, con problemi anche significativi di gestione degli impatti. Per una crescita armonica e condivisa del settore, ci si propone quindi di individuare e sperimentare soluzioni innovative che consentano di avviare una dinamica positiva di sviluppo turistico, rispettosa dell’ambiente naturale ed antropico su cui ricadono e capace di integrare, in un quadro complessivo di offerta, le risorse locali che contribuiscono a caratterizzare un prodotto turistico di qualità (sistema dell’accoglienza, artigianato, settore agricolo e agroalimentare).