Conferenza Regioni
e Province Autonome
Doc. Approvato - Ricerca agraria e forestale: obiettivi e azioni prioritarie (2010-12)

giovedì 28 ottobre 2010


in allegato il documento integrale in formato pdf

 

CONFERENZA DELLE REGIONI E DELLE PROVINCE AUTONOME

10/105/CR07C/C10

OBIETTIVI ED AZIONI PRIORITARIE DI RICERCA E SPERIMENTAZIONE INDIVIDUATE DALLA RETE INTERREGIONALE PER LA RICERCA AGRARIA, FORESTALE, ACQUACOLTURA E PESCA

(Triennio 2010 – 2012)

Roma, 28 ottobre 2010

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Indice

Premessa ……………………………………………………………………………………………. 3

viticoltura ed enologia .......................................................................................................................... 4

scheda n° 1 ...................................................................................................................................... 8

olivicoltura ed elaiotecnica ................................................................................................................ 12

scheda n° 2 .................................................................................................................................... 14

orticoltura (pieno campo e protetta) ................................................................................................... 17

scheda n° 3 .................................................................................................................................... 20

colture industriali, officinali e no food............................................................................................... 23

scheda n° 4 .................................................................................................................................... 25

foraggicoltura - zootecnia - industrie di trasformazione di settore .................................................... 28

scheda n° 5 .................................................................................................................................... 30

pesca ed acquacoltura ......................................................................................................................... 35

scheda n° 6 .................................................................................................................................... 37

floricoltura e vivaismo ornamentale .................................................................................................. 41

scheda n°7 ..................................................................................................................................... 46

biotecnologie animali e vegetali ........................................................................................................ 52

scheda n° 8 .................................................................................................................................... 54

selvicoltura – arboricoltura da legno – prodotti forestali non legnosi ............................................... 57

scheda n°9 ..................................................................................................................................... 62

frutticoltura........................................................................................................................................ 69

scheda n° 10 .................................................................................................................................. 71

agrobiodiversità animale e vegetale in italia ...................................................................................... 73

scheda n°11 ................................................................................................................................... 78

agricoltura biologica .......................................................................................................................... 82

scheda n° 12 .................................................................................................................................. 84

cerealicoltura ..................................................................................................................................... 86

scheda n° 13 .................................................................................................................................. 89

agricoltura e ambiente ........................................................................................................................ 91

scheda n° 14 .................................................................................................................................. 94

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Premessa

La Rete interregionale per la ricerca agraria, forestale, acquacoltura e pesca è stata riconosciuta

ufficialmente dalla Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Province Autonome in data 4 ottobre

2001; la segreteria della Rete è stata affidata alla Regione Toscana e per essa all’ARSIA.

Obiettivi principali della Rete sono:

- Definire aspetti di natura metodologica e organizzativa a supporto delle Regioni e P.A. nella

predisposizione di documenti inerenti la programmazione e l’attività di ricerca a livello interregionale e

nazionale;

- Individuare la domanda d’innovazione nei settori d’interesse delle Regioni e P.A. anche al fine di

contribuire a definire le priorità in ordine ai programmi interregionali e nazionali di ricerca in campo

agricolo;

- Creare sinergie tra Regioni e P.A. per affrontare problematiche comuni ed individuare metodologie

relativamente a promozione, collaudo e trasferimento dell’innovazione anche attraverso la realizzazione

congiunta di progetti di ricerca.

La Rete costituisce il supporto tecnico delle Regioni nella definizione delle politiche della ricerca, e si pone

quale interfaccia sia del MiUR che del MiPAF per la definizione del Piano triennale nazionale della ricerca,

per gli argomenti di competenza.

I Referenti Regionali che fanno parte della Rete hanno individuato la domanda di ricerca organizzandola per

le principali filiere produttive o aree problema trasversali dalle quali essa proviene. In ciascuna scheda

allegata sono indicati, oltre allo scenario di riferimento, gli obiettivi e le azioni ordinate per priorità.

Tali schede costituiranno, per il triennio 2010-2012, il riferimento per scelte da operare in relazione ai vari

strumenti operativi e fornire un contributo per: Piattaforme Tecnologiche Nazionali; Piano Nazionale della

Ricerca, programma di attività del CRA, tematiche dei bandi di ricerca del MiPAAF, piani nazionali del

MiPAAF, tematiche dei progetti di ricerca e sperimentazione a carattere interregionale promossi dalle

Regioni e P.A..

Nel documento che segue non sono state indicate priorità tra i vari settori ritenendo che stabilire la rilevanza

di ciascuno di essi sia una scelta di politica agricola e quindi non di competenza della Rete interregionale.

È importante evidenziare che, per l’individuazione della domanda di ricerca proveniente dai vari territori,

ciascuna Regione e P.A. ha operato nel rispetto della propria autonomia organizzativa e normativa.

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VITICOLTURA ED ENOLOGIA

Quadro generale del settore

La filiera vitivinicola rappresenta un asse portante del sistema agroalimentare nazionale ma è anche una

delle componenti fondamentali dell’immagine dell’Italia in grado di rappresentare non solo un’importante

sistema economico ma anche un’insieme di valori che vanno dall’ambiente, al paesaggio, alla cultura ed

alle tradizioni rurali.

Le strategie di sviluppo della vitivinicoltura, che rappresenta per molte Regioni uno dei settori prioritari, si

basano infatti sulla valorizzazione degli aspetti che caratterizzano la qualità del prodotto e sul rapporto tra

prodotto, paesaggio, cultura e storia: il vino racchiude in sé una forte caratterizzazione evocativa, essendo in

grado di rappresentare nell’immaginario collettivo proprio quella sintesi tra valenza paesaggistica, ruralità e

storia che spiega anche il successo dell’attività agrituristica e delle iniziative legate alle strade del vino. La

difesa della tipicità dei prodotti agroalimentari italiani, primo tra i quali appunto il vino, consente la

salvaguardia dell’identità regionale, già affermata a livello nazionale ed internazionale proprio per questa sua

valenza rurale.

Nonostante gli indubbi successi conseguiti dalla vitivinicoltura nazionale, nel tempo le superfici a vigneto

hanno subito una riduzione generalizzata: dal 1967 nel mondo la superficie si è ridotta del 25%, in Europa

del 30%, in Italia la superficie vitata che negli anni ’60 superava 1.400.000 ettari, nel 1990 era di 882,000

ettari e sulla base dei dati in possesso di AGEA riferiti al 2007 il potenziale vitivinicolo nazionale ammonta a

circa 700.000 Ha.

A questo processo di ristrutturazione non ha corrisposto fortunatamente il ridimensionamento del comparto

nei mercati nazionali ed internazionali, che, anzi, ha acquisito importanti spazi commerciali soprattutto per

quelle produzioni vitivinicole di qualità che hanno beneficiato di un processo di profonda razionalizzazione

acquisendo una crescente visibilità. Non sorprende pertanto il progressivo incremento delle superfici DOC e

DOCG e IGT a scapito delle superfici di vini da tavola. Per contro risulta ancora insufficiente l’ampiezza

delle imprese, in gran parte inferiori ad un ettaro.

Il comparto vitivinicolo, rispetto ad altri, ha maturato da tempo una diffusa consapevolezza in merito

all’esigenza di compiere scelte strategiche fortemente orientate al mercato. Non sorprende pertanto che nel

tempo si sia passati da una fase, che ha interessato gli ultimi decenni, in cui si era ridotto il numero di varietà

autoctone a fronte del successo dei principali vitigni internazionali, ad una recente nella quale si sono

riscoperti vitigni di interesse locale.

Il patrimonio vitivinicolo italiano è ricchissimo in variabilità, sono oltre 360 i vitigni iscritti al Registro Nazionale

delle Varietà e di questi oltre 300 sono vitigni autoctoni, nel senso traslato del termine e cioè vitigni

tradizionali con uno stretto legame con un specifico territorio.

Negli ultimi anni, 2007 e 2008 al contrario, la produzione vinicola mondiale è scesa sotto i 270 milioni di

ettolitri, sia per i forti effetti della siccità soprattutto in Italia e Francia, sia per le riduzioni di superfici investite.

In questo contesto internazionale si è inserita la riforma dell’OCM vino (Reg. UE 479/08 e 555/08) che ha

due momenti di entrata in vigore per le diverse Misure, 1 agosto 2008 e 1 agosto 2009.

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Essa si propone di ridurre le eccedenze con l’estirpazione premiata di 175.000 ettari di vigneto comunitario,

qualificare le produzioni e le imprese agricole, quindi risulta quanto mai importante puntare su produzioni

vitivinicole peculiari e riconoscibili capaci di rappresentare le tipicità locali ed accrescere il valore

differenziale dell’offerta enologica italiana. Tra gli altri importanti cambiamenti previsti, l’introduzione della

vendemmia verde, l’eliminazione degli interventi di mercato con l’abolizione degli aiuti all’arricchimento e alla

distillazione, la nuova classificazione dei vini da DOC e IGT a DOP e IGP, la nuova etichettatura. Un ruolo

fondamentale positivo sarà svolto dalle misure a sostegno degli investimenti e soprattutto per la promozione

extracomunitaria.

L’aspetto qualitativo, l’interazione tra vitigno ed ambiente, insieme al valore storico culturale delle produzioni

enologiche italiane continuano a rappresentare, in linea con la OCM, un importante volano per consolidare la

penetrazione commerciale delle produzioni enologiche di punta e nel contempo contribuire alla

valorizzazione di alcuni territori vitivinicoli meno conosciuti.

Punti di forza

Sinteticamente i punti di forza del comparto vitivinicolo si possono riassumere in:

 Vocazionalità

 Forte ancoraggio tra produzioni e territori (turismo enogastronomico)

 Ampia gamma di risorse genetiche

 Produzioni di qualità soprattutto nelle fascia di prezzo alta ed in quella intermedia

 La riduzione delle eccedenze produttive che potrà consentire migliore programmazione

 Il sistema di controllo e tracciabilità messo in atto, ma da incrementare, che può salvaguardare

maggiormente le potenzialità del comparto, anche a garanzia per il consumatore.

Punti di debolezza

A fronte di queste potenzialità si evidenziano aspetti di difficoltà in un ambito di competizione internazionale,

caratterizzati soprattutto da:

 Dimensione aziendale, frammentazione dell’offerta e delle attività promozionali

 Scarsa qualificazione di alcune produzioni

 Adeguamento strutturale delle cantine

 Scarsa propensione all’adozione di innovazioni tecniche e tecnologiche nelle realtà con minore

attenzione al mercato

 Attuazione limitata di strategie di commercializzazione e di marketing orientate al mercato.

Opportunità offerte dall’innovazione

Di seguito vengono sinteticamente illustrate le opportunità offerte dalla scheda delle priorità della ricerca

individuate dal gruppo di Competenza per la Viticoltura e l’enologia

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In tale contesto si sono individuate azioni di promozione, collaudo e trasferimento di innovazioni in grado di

intervenire direttamente nelle fasi e nei processi produttivi anche attraverso l’innovazione di prodotto e di

processo al fine di favorire lo sviluppo del comparto vitivinicolo nazionale. In questo ambito l’opera della

“ricerca pubblica di base” deve essere sempre più strumento per attivare una ricerca applicata in grado di

rispondere concretamente alle esigenze dei produttori ed alle sfide del mercato.

A seguito degli aspetti sopra citati e degli elementi di scenario evidenziati risulta essenziale il

potenziamento degli standard qualitativi dei vini attraverso l’innovazione tecnologica in enologia: in

questo senso l’aggiornamento delle tecnologie e la continua indagine sulle componenti dei vini, la loro

evoluzione e sulla individuazione dei fattori di qualità e tipicità sono aspetti degni di approfondimento

scientifico che debbono, per presentarsi efficaci, essere tradotti in indicazioni e metodologie operative,

supportate da strumenti di valutazione e di analisi adeguati.

Si ritiene inoltre altrettanto importante affrontare la tematica della valorizzazione del patrimonio viticolo

italiano attraverso il recupero dei vitigni autoctoni di interesse locale e l’ampliamento della diversità

genetica dei vitigni a amggiore diffusione: questa non deve esser intesa come una attività di carattere

“storico- documentale” ma deve avere un forte carattere applicativo, disegnando percorsi coerenti con

obiettivi volti ad acquisire indicazioni operative da valorizzare nei confronti degli operatori del comparto al

fine che questi le percepiscano come una concreta opportunità. In questo senso appare rilevante ed

inderogabile la costituzione di un database relazionale dei profili descrittivi delle varietà iscritte al Catalogo

Nazionale in cui far confluire la documentazione relativa a ciascun vitigno italiano ed inerente informazioni

di carattere ampelografico, viticolo, enologico e genetico. Questo aspetto risulta essenziale se si valuta

l’esigenza prioritaria di fare sistema, di condividere e razionalizzare le informazioni che le singole Istituzioni

acquisiscono nell’ambito dei diversi progetti di ricerca svolti in ambito regionale, nazionale ed europeo. A

questa azione propedeutica va fatta seguire la valorizzazione enologica dei vitigni italiani attraverso

l’adozione di tecniche innovative secondo l’approccio moderno dell’enologia varietale.

Le sfide che oggi la produzione vitivinicola nazionale si trova ad affrontare non possono nel medio-lungo

periodo poggiare sulla sola leva del prezzo o della rendita di posizione delle nostre produzioni. Sempre più

è necessario che la valorizzazione della millenaria cultura vitivinicola presente nei nostri territori sia

continuamente perseguita per mantenere ed accrescere l’appeal delle nostre produzioni. Pertanto si ritiene

opportuno proporre anche il tema dell’individuazione degli indici di qualità e di sostenibilità

dell’ecosistema viticolo con la finalità di accrescere l’efficienza complessiva del “sistema vigneto” in un

ambito di compatibilità ambientale della coltura. Il rapporto tra vitigno e territorio è una componente di

questa linea di ricerca che, partendo dalla conoscenza delle principali interazioni tra diverse componenti che

costituiscono del sistema vigneto, deve innovare le tecniche viticole, valutare l’interazione tra queste e le

componenti costitutive della materia prima al fine di esaltare i tratti di qualità e tipicità.

Inoltre si reputa utile prevedere iniziative di ricerca inerenti la razionalizzazione della difesa, finalizzate in

particolare a definire protocolli di diagnosi e riconoscimento rapidi e l’impatto dei fitofarmaci in funzione delle

caratteristiche varietali e dei sistemi colturali, a favorire processi di induzione della resistenza alle malattie e

l’applicazione di strategie di lotta integrata e biologica.

Risulta di rilevante attualità ed importanza anche l’applicazione di tecniche integrate ed a tecnologia

avanzata, per il miglioramento della gestione delle aziende vitivinicole, per pianificare ed ottimizzare

le operazioni colturali ed accrescere la qualità delle produzioni, in cui si evidenzia l’opportunità di

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sviluppare sistemi e strategie per la riduzione dei costi di produzione, di mettere a punto sistemi di

telerilevamento e biosensori per monitorare le fasi fenologiche e di maturazione dell’uva e di favorire

l’applicazione di idonee tecniche di precisione e di strumenti informatici applicati alla viticoltura a supporto

dell’assistenza tecnica.

Argomento di carattere trasversale alla filiera ma altrettanto interessante ed inerente le peculiarità del settore

è l’introduzione di tecnologie per il rispetto dell’ambiente, quali lo studio delle caratteristiche dei

sottoprodotti della vinificazione ai fini dell’utilizzo in agricoltura, la ricerca di metodologie per il riciclo in

cantina dell’energia prodotta dal processo enologico, l’applicabilità di sistemi di produzione di energie

rinnovabili nelle aziende, lo studio di sistemi di recupero della CO2 prodotta nei processi di fermentazione

dell’uva e per la fitodepurazione delle acque reflue prodotte durante le attività di cantina.

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SCHEDA N° 1 - VITICOLTURA ED ENOLOGIA

OBIETTIVO AZIONI

1) Potenziamento degli standard qualitativi dei vini

attraverso l’innovazione tecnologica in enologia

AZIONI DI RICERCA DI BASE

1.1 Innovazioni nel campo della chimica

analitica strumentale e delle valutazioni

organolettiche per il potenziamento degli strumenti e

metodi di analisi e di controllo ai fini della definizione

commerciale delle caratteristiche di qualità ed anche

volte a ridurre il rischio alimentare dovuto a

componenti indesiderate.

1.2 Messa a punto di strumentazioni e

metodiche di analisi delle uve, sia in vigneto che in

cantina, per verificare in maniera semplice e ripetibile

la maturazione fenolica e aromatica.

AZIONI DI RICERCA APPLICATA

1.1 Definizione dei caratteri di tipicità e di originalità

delle uve e studio di tecnologie enologiche

“conservative” per il loro mantenimento nel vino.

1.2 Studio delle pratiche enologiche innovative e del

loro effetto sulle caratteristiche chimico-fisiche ed

organolettiche dei vini.

1.3 Sicurezza alimentare, tracciabilità e qualità delle

produzioni vitivinicole: individuazione di parametri ed

indici in grado di rintracciare la provenienza del vino.

1.4 Miglioramento genetico dei lieviti e batteri e

verifica della loro attività metabolica per accrescere la

qualità delle produzioni e preservare la riconoscibilità

delle produzioni enologiche.

1.5 Studio dei più efficaci parametri di interesse

enologico (chimici, chimico-fisici, organolettici,

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salutistici e nutrizionali) per una valorizzazione

enologica e commerciale delle produzioni vinicole.

1.6 Studi sulle modalità di invecchiamento dei vini e

sulle modifiche dei vini nel processo di affinamento.

2) Valorizzazione del patrimonio viticolo italiano

attraverso il recupero dei vitigni autoctoni di interesse

locale e l’ampliamento della diversità genetica dei

vitigni a maggiore diffusione

AZIONI DI RICERCA DI BASE

2.1 Definizione della metodica per la

caratterizzazione genetica dei vitigni e dei cloni

2.2 Tecniche e tecnologie innovative per accelerare i

tempi di selezione genetica e sanitaria di potenziali

cloni, e di produzione del materiale di moltiplicazione

nel settore del vivaismo viticolo.

2.3 Valorizzazione delle potenzialità intrinseche del

patrimonio genetico di Vitis vinifera, con particolare

attenzione verso i vitigni autoctoni, ai fini di una

maggiore qualità delle produzioni e resistenza alle

principali avversità biotiche e abiotiche.

2.4 Ampliamento della diversità genetica attraverso

incroci.

AZIONI DI RICERCA APPLICATA

2.1 Individuazione, identificazione genetica,

caratterizzazione pomologica, produttiva, enologica e

sanitaria dei vitigni autoctoni minori delle singole

regioni

2.2 Selezione clonale di varietà autoctone di Vitis

vinifera e di portinnesti

2.3 Messa a punto di tecniche viticole, agronomiche

ed enologiche in grado di esaltare le potenzialità

viticole in relazione alle condizioni ambientali, in

particolare per i vitigni autoctoni.

3) Individuazione degli indici di qualità e di efficienza

in rapporto all'equilibrio interno dell'ecosistema

viticolo.

AZIONI DI RICERCA DI BASE

3.1 Messa a punto di parametri, indici e strumenti in

grado di garantire nelle diverse condizioni ambientali

e fenologiche della coltura una equilibrata nutrizione

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idrica

3.2 Studio sugli effetti indotti dalle infezioni virali sulla

qualità delle uve e dei mosti

AZIONI DI RICERCA APPLICATA

3.1 Riduzione dell’impatto ambientale e

paesaggistico nella realizzazione e gestione di

vigneti: studio del rapporto tra le principali

componenti dell’ecosistema viticolo e le tecniche

colturali a basso impatto ambientale, anche in

relazione ai cambiamenti climatici, al fine di

accrescere la qualità delle uve ed il paesaggio vitato.

3.2 Studio dei rapporti tra le principali componenti

socio-economiche, ambientali, storico-culturali e

definizione di modelli semplificati per la

caratterizzazione e la valorizzazione di territori a

vocazione viticola.

4) Razionalizzazione della difesa AZIONI DI RICERCA DI BASE

4.1 Studio e messa a punto di metodologie e

protocolli di diagnosi e riconoscimento rapidi,

affidabili e utilizzabili a livello massale.

4.2 Studio dei processi di induzione della

resistenza alle malattie nelle piante attraverso

l’utilizzo di sostanze naturali o di sintesi.

AZIONI DI RICERCA APPLICATA

4.1 Messa a punto di adeguate strategie di lotta sia

integrata che biologica e verifica delle influenze sulla

quantità e qualità delle produzioni.

4.2 Definizione dell’impatto dei fitofarmaci ai fini

della razionalizzazione dei trattamenti di lotta sulla

base delle caratteristiche delle varietà e dei sistemi

colturali.

5) Applicazione di tecniche integrate ed a tecnologia

avanzata, per il miglioramento della gestione delle

aziende vitivinicole, per pianificare ed ottimizzare le

operazioni colturali e accrescere la qualità delle

AZIONI DI RICERCA DI BASE

Studio e sviluppo di sistemi e strategie per la

riduzione dei costi di produzione finalizzata al

miglioramento delle performance aziendali.

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produzioni

Utilizzo e sviluppo di biosensori per la qualificazione e

quantificazione della produzione vitivinicola.

Individuazione di sistemi e tecniche di precisione

applicati alla viticoltura a supporto dell’assistenza

tecnica.

AZIONI DI RICERCA APPLICATA

5.1 Messa a punto di sistemi di tele-rilevamento che,

attraverso l’impiego di mezzi aerei e satellitari di

rilevazione e la predisposizione di sistemi informatici

di elaborazione dei dati, consentano di monitorare le

fasi fenologiche, la maturazione tecnologica e fenolica

delle uve.

5.2 Messa a punto di procedure e strumenti software

in grado di interfacciare le documentazioni digitali

disponibili e di nuova generazione.

6) Introduzione di tecnologie in vitivinicoltura per il

rispetto dell’ambiente

AZIONI DI RICERCA DI BASE

6.1 Studio delle caratteristiche dei sottoprodotti della

vinificazione ai fini dell’utilizzo in agricoltura.

6.2 Ricerca di strumentazioni e metodologie idonee a

recuperare e riutilizzare in cantina l’energia prodotta

dallo stesso processo di trasformazione dell’uva.

6.3 Valutazione dell’applicabilità di sistemi di

produzione di energia alternativa nelle aziende

vitivinicole.

AZIONI DI RICERCA APPLICATA

6.1 Studio e messa a punto di sistemi di recupero di

CO2 prodotta nei processi di fermentazione dei

mosti.

6.1 Verifica ed evoluzione di sistemi per la

fitodepurazione delle acque reflue prodotte durante le

attività di cantina.

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OLIVICOLTURA ED ELAIOTECNICA

Quadro generale del settore

 punto di vista geo-economico (distribuzione territoriale, areali vocati, consistenza della filiera, ecc.

La coltivazione dell’olivo trova la sua massima espressione nei paesi del Mediterraneo, tra cui

primeggiano sicuramente Spagna e Italia. Negli ultimi decenni, grazie ad importanti innovazioni di

processo l’olivicoltura si sta diffondendo in Paesi nuovi per questa coltura, tra cui l’Australia, il Cile,

gli Stati Uniti, l’Argentina, ecc. In questi Paesi già vengono prodotti oli di qualità che sempre più

ottengono importanti riconoscimenti a livello internazionale.

In Italia la base produttiva conta più di 1 milione di ettari ed è presente in 1,2 milioni di aziende

coinvolgendo altrettanti operatori impiegati nella sola fase produttiva olivicola; a questo va ad

aggiungersi l’industria molitoria, quella delle raffinerie e tutto l’indotto commerciale e promozionale.

La dinamica dei dati riguardanti la SAU olivicola dimostra che questa è in continuo aumento,

malgrado il blocco degli aiuti alla produzione dell’olio di oliva per gli impianti realizzati dopo il

31/05/98.

 mercati (nazionale, europeo, mondiale) e tipologie delle produzioni

L’olivicoltura italiana punta sicuramente ad un mercato mondiale, ma la gran parte degli oli è

riservata al mercato interno od europeo. Occorre infatti considerare che di norma la produzione

italiana è insufficiente al soddisfacimento del fabbisogno interno, per cui forte è il ricorso

all’importazione, in particolare dalla Spagna, per compensare il deficit produttivo e le nostre

esportazioni comunque in crescita.

In Italia si producono oli con elevati standard qualitativi, ma la percentuale di oli vergini è tuttora

migliorabile ed in particolare quella degli oli extravergini. L’80 % della produzione oleicola italiana è

concentrata in 3 regioni meridionali, quali Puglia, Sicilia e Calabria, ed è in queste che la produzione

percentuale di extravergine è bassa, anche se vi è un crescente miglioramento in questi ultimi anni.

 dinamiche recenti e tendenze in atto

Rispetto al biennio precedente, almeno nelle regioni maggiormente olivicole d’Italia, la redditività

della coltura si è ridotta notevolmente soprattutto a causa della concorrenza dei Paesi del bacino del

Mediterraneo. Altro aspetto negativo, ancora ad oggi, è la mancata trasparenza commerciale che

interessa gli oli extravergini di oliva.

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Si spera che la corretta applicazione della normativa sul “made in Italy” abbinata ad un sistema di

controlli più efficiente possa ridare respiro alla nostra olivicoltura.

Anche il piano olivicolo nazionale, atteso ormai da troppo tempo, potrebbe indurre una spinta

positiva all’innovazione dell’intero settore.

Punti di debolezza

La globalizzazione dei mercati ha posto la nostra olivicoltura di fronte a scelte ormai divenute obbligate. In

particolare l’accelerarsi degli scambi commerciali ha evidenziato nuovi punti di debolezza per la nostra

olivicoltura, tra cui emerge sicuramente la necessità di dover contenere i costi di produzione, anche

attraverso l’individuazione di valide alternative al modello superintensivo basato esclusivamente su cultivar

spagnole o greche, che si sta diffondendo in certe nostre realtà olivicole, con gravi danni dal punto di vista

ambientale e paesaggistico (obiettivo n. 4° azioni 4.1, 4.2 e 4.3).

Certamente la riduzione dei costi di produzione passa anche attraverso il recupero e la valorizzazione di tutti

i sottoprodotti della filiera: dall’utilizzo delle sanse alle bioenergie, ricavabili dal cippato ottenuto dai residui

della potatura (Obiettivo 3°).

Occorre, inoltre, rinnovare la lista dei Presidi Sanitari autorizzati in Italia sull’olivo, rispetto a quanto

permesso negli altri Paesi, sia per far fronte ad esigenze derivanti dai mutamenti climatici sia per mettere i

nostri olivicoltori nelle stesse condizioni operative permesse altrove (Obiettivo 2).

È necessaria altresì una riorganizzazione del nostro sistema commerciale, che deve mostrarsi più capace di

conquistare nuove fette di mercato e/o nuovi mercati (obiettivo 1° azione 1.3), e più fedele all’esaltazione del

rapporto produttore-consumatore (tracciabilità).

Punti di forza

Tra i punti di forza vantiamo, oltre alla millenaria tradizione olivicola, un’importante panorama

varietale, caratterizzato da cultivars che producono oli con elevati pregi organolettici e commerciali.

Patrimonio che occorre valorizzare ulteriormente attraverso azioni che mirano al recupero di cultivar locali e

alla caratterizzazione dei loro oli monovarietali (Obiettivo 5 azione 5.4; obiettivo 1 azione 1.1 e 1.2 – Progetto

OLVIVA). Dal 1996 ad oggi sono ben 36 le DOP riconosciute in Italia per l’olio vergine ed extra-vergine ed

altre sono in corso di riconoscimento (es. Sardegna) oltre ad una IGP della Regione Toscana.

Opportunità offerte dall’innovazione

La scheda tecnica predisposta dal GTC “Olivicoltura ed Elaiotecnica” ha selezionato obiettivi ed azioni

oggetto di futuri programmi di ricerca che rappresentano, se adeguatamente affrontati in tempi relativamente

brevi, forti potenzialità e quindi opportunità di sviluppo per la nostra olivicoltura, in quanto vanno ad agire

direttamente nei confronti dei punti di debolezza suddetti.

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SCHEDA N° 2 - OLIVICOLTURA ED ELAIOTECNICA

OBIETTIVO AZIONI

1) Caratterizzazione quanti-qualitativa degli oli e delle

olive da tavola e loro valorizzazione economica in

funzione delle caratteristiche di tipicità e qualità.

1.1 Screening e validazione di strumentazioni e

procedure per la rapida e sicura (statisticamente)

determinazione della qualità dell'olio, delle olive e

delle olive da tavola processate a supporto del panel

test e loro riconoscimento in ambito normativo.

1.2 Approfondimento dello studio dei parametri

analitici ed organolettici per la differenziazione e

valorizzazione economica degli oli e delle olive da

tavola in funzione delle aree di provenienza e delle

proprietà salutistico-nutrizionali.

1.3 Tracciabilità di origine dell’olio di oliva attraverso

metodologie bio-molecolari, spettrometria di massa

di ioni secondari e spettroscopia di risonanza

magnetica nucleare.

1.4 Studi sugli effetti che le reazioni chimiche,

enzimatiche e microbiologiche, presenti nelle

diverse fasi della filiera di produzione dell’olio extra

vergine di oliva, possono esercitare sulla qualità

finale del prodotto.

1.5 - Studio dei parametri analitici per la definizione

di un indice di maturazione tecnologica delle olive e

per individuare l’arco di tempo più opportuno per la

raccolta delle olive, al fine di ottenere oli con la più

alta qualità nutrizionale e salutistica possibile.

1.6 Individuazione, analisi e attuazione di strumenti

e mezzi di comunicazione idonei alla penetrazione di

nuovi mercati (interni ed esteri) per gli oli e le olive

da tavola tipici di qualità.

2) Individuazione e validazione di molecole

fitoiatriche (tra quelle esistenti) per la lotta alle

avversità biotiche dell’olivo, anche in coltura

2.1 Studio della biologia delle principali crittogame

dell’olivo e messa a punto di efficaci metodiche di

lotta basate su sostanze attive opportunamente

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biologica. (vedi scheda Agricoltura biologica) selezionate (tra quelle esistenti) per efficacia e per

profilo tossicologico ed ambientale;

2.2 Nuove strategie per l’abbattimento delle

popolazioni adulte di Bactrocera oleae nel periodo

primaverile e approfondimento delle conoscenze

sulla biologia riproduttiva del Dittero durante il

periodo invernale-primaverile: studi di base e

valutazioni tecnico-economiche.

2.3 Registrazione delle stesse per l’olivo e

differenziazione tra le olive da olio e quelle da tavola

nel rispetto degli intervalli di sicurezza.

3) Valorizzazione dei sottoprodotti della lavorazione

delle olive

3.1 Riutilizzo agronomico delle sanse e delle acque

di vegetazione, produzione di ammendanti e concimi

organici,

3.2 Individuazione di usi alternativi dei residui della

lavorazione delle olive, comprese le olive da tavola

(recupero di polifenoli ecc).

3.3 messa a punto di una procedura per la raccolta

e lo smaltimento di rifiuti tossici e nocivi che agevoli

anche i piccoli produttori

3.4 Riutilizzo dei prodotti e dei sottoprodotti delle

olive a fini energetici. Studio di tecniche, processi e

gestione innovativi per il risparmio energetico delle

macchine dell’industria olearia e della lavorazione

delle olive da mensa

4) Sviluppo di nuovi modelli di gestione agronomica 4.1 Studio di tecniche colturali finalizzate

all’incremento della produzione e al contenimento

della alternanza di produzione (es.:

razionalizzazione dell'uso delle risorse idriche,

ottimizzazione della fertilizzazione, impiego di idonei

impollinatori, etc.).

4.2 Nutrizione fogliare dell’olivo: necessità, qualità

dei prodotti, tempi e modalità di distribuzione,

valutazione costi/benefici rispetto alla nutrizione

16/98

tradizionale.

4.3 Adattamento di cultivar appartenenti al

germoplasma olivicolo italiano agli impianti di

olivicoltura super intensiva.

4.4 Studio delle relazioni suolo – clima – olio al fine di

definire le condizioni più favorevoli per lo sviluppo di

una olivicoltura da reddito e realizzazione di carte

pedologiche “Terre dell’olivo” (cartografia della

vocazionalità olivicola)

4.6 Applicazione delle tecniche agricole di

precisione e tipologie innovative di meccanizzazione

delle operazioni di raccolta e potatura.

5) Valorizzazione di varietà autoctone 5.1 Reperimento del germoplasma esistente,

anche in funzione dei risultati del progetto Olviva,

5.2 Realizzazione di campi-collezione

5.3 Valutazione della qualità degli oli e delle olive

da tavola

17/98

ORTICOLTURA (PIENO CAMPO E PROTETTA)

COMPRESA FUNGICOLTURA E VALORIZZAZIONE TECNOLOGICA DEGLI ORTAGGI

La filiera orticola ha rilevanza nazionale con una superficie complessiva di ha 530.000 distribuiti per il 23% al

settentrione, per l’11% al Centro e per il restante 66% al mezzogiorno ed una produzione totale stimata

all’incirca di 15 milioni di tonnellate (dati ISTAT). Il comparto comprende le colture protette su una superficie

stimata di oltre 44.000 ha distribuita per il 70% nelle regioni del Sud e del Centro (Sicilia, Lazio, Campania,

Toscana) per il 26% nelle regioni del Nord (Veneto, Lombardia, Liguria, Piemonte) e per la restante quota in

Sardegna ed altre Regioni

Il comparto si esprime attraverso una molteplicità di situazioni pedo-climatiche, di realtà aziendali e di

capacità imprenditoriali, cui conseguono itinerari colturali, aspetti qualitativi e calendari di produzione molto

diversificati, anche perché tali risultano le innovazioni tecnologiche localmente adottate nei processi

produttivi.

L’orticoltura meridionale ha una destinazione prevalente verso il mercato del consumo fresco, ed è orientata

verso la realizzazione di ortaggi extrastagionali, per spiccata precocità e spesso anche tardività, mentre

l’orticoltura del Centro Nord ed alcune aree di Puglia e Campania è rivolta più a produzioni da destinare

all’industria di lavorazione e trasformazione ovvero l’industria conserviera, la surgelazione e le produzioni di

IV e V gamma.

L’orticoltura si è molto professionalizzata nell’ultimo ventennio, a partire dal vivaismo che ha permesso la

diffusione di sempre più nuove ed efficienti costituzioni (varietà ed ibridi) più orientate verso le richieste di

mercato e dotate di resistenze genetiche alle avversità parassitarie. Nel settore delle colture protette il

ricorso alle piante innestate, alla solarizzazione, alle colture idroponiche, alle piante nematocide, per ovviare

alle problematiche della stanchezza del terreno, la micropropagazione, la fertirrigazione mirata, e tante altre

tecniche agronomiche consentono di realizzare produzioni di rispetto dal punto di vista qualitativo e

quantitativo.

Si è affermata altresì un’orticoltura ecosostenibile che utilizza razionalmente i mezzi tecnici (fertilizzanti,

agrofarmaci) nel rispetto della salute umana e dell’equilibrio ambientale e che segue opportuni disciplinari di

produzione dettati anche dalla Grande Distribuzione Organizzata e parecchio diffusa risulta essere anche

l’orticoltura biologica.

Le Regioni meridionali, per le condizioni climatiche favorevoli (clima caldo-arido) che limitano le epidemie

vegetali, totalizzano le più cospicue percentuali di produzioni integrate e biologiche, come risulta da ricerche

scientifiche di laboratorio e da controlli effettuati nei mercati ortofrutticoli.

Gli ortaggi sono diventati un costituente fondamentale della nostra dieta essendo stati rivalutati per il

modesto contenuto calorico e per l’elevata presenza di fibre e sostanze antiossidanti. Il consumatore di oggi

è sempre più attento agli aspetti salutistici dell’alimentazione ed è alla costante ricerca dei cosiddetti “cibi

funzionali in grado cioè di prevenire alcune patologie e contrastare i fenomeni di invecchiamento. Da queste

esigenze nutrizionali scaturiscono ad esempio le campagne istituzionali a favore del consumo di ortofrutta

nelle scuole. Le mutate esigenze della società contemporanea richiedono inoltre l’offerta di prodotti orticoli

lavorati e pronti al consumo quali gli ortaggi di IV e V gamma .

18/98

Punti di debolezza del comparto :

 Carenze strutturali legate alla polverizzazione aziendale, alla presenza di apprestamenti protettivi

obsoleti, alla scarsa meccanizzazione delle operazioni colturali unitamente a carenze infrastrutturali

date dall’inadeguatezza del sistema dei trasporti e dalla indisponibilità delle risorse irrigue,

determinano elevati costi di produzione

 Forte presenza di intermediari nella filiera dal campo al consumatore

 Scarsa presenza a livello nazionale di Organizzazioni di Produttori rispetto ad altre realtà europee

che non consentono di aggregare e programmare l’offerta con conseguente scarsa competitività sui

mercati nazionali ed esteri;

 Mancata applicazione dei sistemi di certificazione di processo e di prodotto, tracciabilità e

rintracciabilità;

 Forte dipendenza dall’estero per l’approvvigionamento del materiale di propagazione ed utilizzo di

materiale non certificato;

Punti di forza del comparto

 Elemento portante della PLV nazionale in particolare per le produzioni extra-stagionali;

 Elevate caratteristiche organolettiche e nutrizionali delle produzioni orticole nazionali ed in

particolare di quelle meridionali;

 Presenza di produzioni tutelate;

 Diffusione di un’orticoltura sostenibile per la particolare attenzione alle tecniche a basso impatto ed

aumento delle produzioni in biologico;

 Maggiore sensibilizzazione dei consumatori sugli aspetti salutistici legati al consumo dell’ortofrutta e

che richiedono un prodotto salubre ed ottenuto con tecniche ecosostenibili .

 Opportunità offerte dai mercati contadini con la finalità di accorciare la filiera.

Opportunità offerte dall’innovazione

Fra le politiche di sviluppo a favore del sistema agroalimentare, i PSR regionali rappresentano senz’altro

strumenti volti ad incentivare il comparto attraverso azioni dirette a migliorare la competitività delle imprese

agricole, che si concretizzano nelle misure di sostegno all’ammodernamento delle strutture ed al

trasferimento delle innovazioni .

Altre possibilità sono offerte dal VII Programma Quadro sulla R&ST che prevedono nel settore

agroalimentare il sostegno ad azioni che riguardano le biotecnologie per lo sviluppo di nuovi prodotti, i

sistemi di produzione ecosostenibili, il controllo del sistema di produzione dai campi alla tavola, la richiesta

di alimenti sani, sicuri e di qualità, lo studio del comportamento dei consumatori sulle scelte alimentari,

nonché la richiesta di alimenti innovativi, dietetici con proprietà nutrizionali, l’adozione di tecnologie di

trattamento per migliorare la funzionalità degli alimenti, lo sviluppo e la dimostrazione di metodi di

trattamento ed imballaggio altamente tecnologici ed efficienti. Tali opportunità nel complesso possono

essere di ausilio allo sviluppo del comparto orticolo. In ambito nazionale sono stati portati avanti programmi

ministeriali da parte del Mipaaf quali i Progetti finalizzati ed il progetto PROM coi fondi CIPE per le Regioni

19/98

dell’Obiettivo convergenza . I Programmi PON Ricerca di prossimo avvio a favore sempre delle Regioni OB.

Convergenza privilegeranno per il settore agricolo tematiche che interessano la tutela della biodiversità

orticola, i sistemi colturali innovativi, lo sviluppo delle produzioni di IV gamma

Ad ogni modo, nel prospettare azioni di sviluppo dell’innovazione per il comparto orticolo, occorrerà creare

collegamenti e sinergie con altri settori della produzione che spesso finiscono con invadere e ridurre le

potenzialità dell’ orticoltura (compostaggio, produzione di substrati di coltivazione, imballaggi biodegradabili,

fonti rinnovabili, riduzione della produzione di rifiuti, produzione di energia, fotovoltaico, conservazione e

trasformazione dei prodotti, agricoltura sociale).

20/98

SCHEDA N° 3 – ORTICOLTURA (PIENO CAMPO E PROTETTA)

COMPRESA FUNGICOLTURA E VALORIZZAZIONE TECNOLOGICA DEGLI ORTAGGI

OBIETTIVO AZIONI

1)Valorizzazione commerciale, Qualificazione e

Diversificazione

1.1 Studi sulla caratterizzazione dei componenti

salutistici, nutraceutici, organolettici, finalizzati alla

valorizzazione commerciale e gastronomica

1.2 Incremento del valore biologico degli ortaggi,

riduzione dei fattori antinutrizionali ed altri composti

dannosi alla salute

1.3 Collaudo di sistemi e metodi innovativi di

valutazione e controllo della qualità degli ortaggi,

compresi quelli non distruttivi, lungo tutta la filiera

1.4 Messa a punto di tecnologie innovative per la

salvaguardia della shelf life dei prodotti finalizzata al

mantenimento dei parametri qualitativi ed igienicosanitari

degli ortaggi

1.5 Recupero, caratterizzazione e valorizzazione

di varietà locali e di nuova introduzione di interesse

nazionale e/o regionale, finalizzati alla produzione di

materiale di propagazione idoneo, all’introduzione di

resistenze e/o tolleranze a stress biotici o abiotici ed

al miglioramento della qualità dei prodotti.

1.6 Liste di orientamento varietale per aree

omogenee, definizione di protocolli di produzione,

modalità e tecniche di propagazione, compreso

l’innesto erbaceo

1.7 Collaudo di prodotti,di modalità di presentazione

e di distribuzione innovativi (es. prodotti IV e V

gamma, piante eduli spontanee, nuovi prodotti,

prodotti di altre etnie,)

o Nuove colture (comprese le specie

spontanee eduli) e nuove gamme di prodotti.

o Valutazione agronomica e produttiva delle

cultivar idonee per il biologico

o Adeguamento dei protocolli di coltivazione

alle esigenze legate al processo di

valorizzazione industriale del prodotto

(tecnologie e processi per la valorizzazione

industriale, mezzi e tecniche per ridurre i

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tempi e il lavoro necessari per la

preparazione preliminare alla cottura e/o al

consumo (convenience food))

2)Riduzione impatto ambientale con particolare

riferimento all’ottimizzazione delle risorse

energetiche, idriche e nutrizionali

2.1 Valutazione e messa a punto di apprestamenti

protettivi e materiali di copertura innovativi, compresi

contenitori e film plastici biodegradabili

2.2 Valutazione e messa a punto di prodotti e

tecnologie in grado di migliorare la risposta quantiqualitativa

delle produzioni con particolare riguardo ai

metodi di coltivazione senza suolo (tecnologie,

materiali, idoneità varietale, sistemi a ciclo chiuso,

trattamento delle acque)

2.3 Definizione e modellizzazione delle variabili

irrigue, nutrizionali ed energetiche e progettazione di

sistemi di supporto alle decisioni, compreso il

vivaismo orticolo.:

2.4 Messa a punto di criteri di gestione climatica in

grado di limitare le problematiche fitosanitarie delle

coltivazioni ed ampliare i calendari di produzione

2.5 Valutazione e messa a punto di prodotti e

tecniche di controllo per le problematiche fitosanitarie

con particolare riguardo alle strategie ecosostenibili,

IPM, Agricoltura Biologica.

2.6 Verifica e valutazione dell’efficacia dell’utilizzo

delle alternative al bromuro di metile nella difesa dai

fitopatogeni tellurici nelle colture protette,

(agrofarmaci a basso impatto, uso del vapore, fuori

suolo, solarizzazione, innesto erbaceo, piante

biocide, microrganismi antagonisti)

2.7 Verifica delle strategie atte al contenimento delle

virosi e dei parassiti di recente introduzione e

collaudo di nuovi principi attivi (anche biologici) per il

controllo fitosanitario

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2.8 Valutazione di matrici organiche diverse e

tecniche colturali finalizzata al ripristino della fertilità

dei terreni (anche dal punto di vista microbiologico)

compresa la gestione delle infestanti

2.9 Verifica delle risposte produttive e qualitative

delle principali colture orticole a diversi livelli di

concimazione e definizione di protocolli di

concimazione in funzione anche delle prescrizioni .

agroambientali dei PSR regionali.

2.10 Studio del metabolismo delle piante e delle

tecniche colturali in condizioni agro-ambientali

limitanti (salinità, carenze, eccessi idrici e termici, pH

ecc.) per aumentare l’efficienza d’uso delle risorse,

soprattutto di quelle non rinnovabili.

2.11 Caratterizzazione della qualità totale degli

ortaggi ottenuti con metodo biologico.

2.12 Studi di fattibilità e valutazione di impiego di

fonti energetiche diverse e studio degli effetti

dell’utilizzo dei pannelli fotovoltaici per le serre

3) Innovazioni di prodotto e/o di processo per la

riduzione dei costi di produzione e strategie di

mercato

3.1 Analisi e valutazione tecnico-economica di mezzi

e tecniche al fine di ridurre i costi di produzione in

un’ottica di ecosostenibilità

3.2 Studi degli aspetti di mercato di forme innovative

di vendita

3.3 Tecnologie telematiche a supporto delle vendite e

degli acquisti

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COLTURE INDUSTRIALI, OFFICINALI E NO FOOD

(COMPRESE LE TECNOLOGIE AGROINDUSTRIALI)

La necessità di incrementare il peso delle energie rinnovabili nel bilancio energetico mondiale – dominato dai

paesi industrializzati - è sostenuta da una immensa bibliografia in continua espansione e da una legislazione

internazionale che considera sempre più questa esigenza. La stessa UE ha evidenziato la necessità di

ricorrere alla produzione di energia da fonti rinnovabili, come sottolineato dalla recente Direttiva 28/09 CE e

dalla individuazione della crescita di energie rinnovabili come nuova sfida dello sviluppo rurale insieme ai

cambiamenti climatici, alla biodiversità e al risparmio e qualificazione della risorsa acqua.

Prima di entrare in argomento, tuttavia, può essere utile riassumere le principali motivazioni di fondo che

hanno portato a concentrare tanto interesse sulle energie rinnovabili:

 Disponibilità combustibili fossili. Numerosi studi evidenziano due fenomeni legati alla attuale situazione

dei combustibili fossili: la diminuzione della loro disponibilità e il loro legame alle dinamiche geopolitiche,

commerciali e degli investimenti dell’industria petrolifera. In questo contesto le energie

rinnovabili si pongono comunque come un elemento di sostituzione dei combustibili fossili limitandone

quindi la dipendenza, fatto di per sé di natura strategica;

 Emissione gas serra. Le emissioni in atmosfera di CO2 e degli altri “gas serra” derivanti da produzione e

utilizzo di tecnologie e prodotti industriali (in primo luogo N2O e CH4) stanno alterando, oramai con una

certa evidenza, il clima e conseguentemente tutti i complessi equilibri ecologici ad esso legati, oltre ad

influire anche su aspetti di natura sociale, specie nei paesi più poveri. Da questo punto di vista, il ricorso

alle energie rinnovabili si pone come uno dei principali mezzi per ridurre le emissioni di CO2 in

atmosfera.;

 Questione socio-economica. I paesi industrializzati, peraltro colpiti dalla recente congiuntura e dalla

concorrenza dei paesi in via di industrializzazione che occupano sempre maggiori fette di mercato,

vedono nelle energie rinnovabili (e nel risparmio energetico) un potenziale settore di sviluppo che - se

opportunamente guidato a livello politico - potrebbe stimolare la ripresa di più settori produttivi.

 Competizione tra biomasse energetiche e coltivazioni alimentari. Ben difficilmente nelle condizioni

regionali l’utilizzo di biomasse energetiche può essere a scapito delle produzioni alimentari. Di fatto le

prime si presentano come potenziale fattore di sostegno dei prezzi nei momenti in cui l’agricoltura viene

depressa dalle sovra-produzioni (fatto ciclico). In secondo luogo la conversione energetica riguarda

quasi sempre l’utilizzo di materie prime residuali, che si pongono in coda all’utilizzo alimentare

(esempio: le paglie nel caso dei cereali) o industriale (esempio: i cascami della produzione di

semilavorati di legno ottenuti dalle utilizzazioni forestali);

24/98

 Sviluppo del territorio ed in particolare del settore agricolo. Le biomasse sono utilizzabili con diversi

processi di conversione e tecnologie che si prestano ad essere diffuse sul territorio: le filiere agroenergetiche

richiedono quindi molteplici conoscenze e professionalità altrettanto distribuite. Ciò

favorisce la diversificazione dell’offerta lavorativa di livello nelle zone rurali e, in ultima analisi, di un

certo tipo di cultura che rende il tessuto sociale più solido.

In quest’ottica, considerando anche il quadro normativo nazionale abbastanza confuso, appare

fondamentale orientare la ricerca verso strategie di sviluppo che coinvolgono sia l’ambito tecnologico, che

economico, che territoriale e sociale. In particolare, la ricerca è orientata verso:

 Il miglioramento di varietà che siano contemporaneamente in grado da un lato di rispondere

qualitativamente alle caratteristiche di un buon combustibile e dall’altro assicurare un reddito

garantito agli agricoltori (es. varietà di girasole altoleico);

 La caratterizzazione qualitativa dei combustibili al fine di creare normative tecniche che possano

uniformare e certificare il biocombustibile;

 L’ottimizzazione di tutte le fasi della filiera agro energetica al fine di abbassare i costi economici ed

ambientali;

 La valorizzazione dell’utilizzo dei residui colturali, attraverso il miglioramento della logistica e della

tecnologia di combustione degli stessi residui;

 Miglioramento della tecnologia sia relativa a quella già esistente (es. digestori orizzontali, strippaggio

dell’azoto, etc.) sia rivolta all’utilizzo di nuovi materiali (es. biocombustibile liquido da alghe, etc.).

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SCHEDA N° 4 - COLTURE INDUSTRIALI, OFFICINALI E NO FOOD (COMPRESE LE TECNOLOGIE

AGROINDUSTRIALI)

OBIETTIVO AZIONI

1) Stimolare lo sviluppo delle nuove filiere per le

produzioni “no food” (compresa la valorizzazione dei

sotto prodotti e dei residui di potatura), con

particolare attenzione a:

 Filiera Energia e Biomasse (Sub-filiere:

etanolo, biogas da vegetali, energia elettrica

e termica con particolare riferimento a quella

ricavabile dai sottoprodotti delle filiere viticole

ed olivicole, compresi i residui della potatura,

oli vegetali)

 Filiera Oli Industriali (Sub-filiere: alto erucico,

alto oleico, oli essiccanti o per altri usi).

 Filiera Fibra e Cellulosa

 Filiera Amido

 Biocombustibili di seconda generazione

.

1.1 - Intensificare la ricerca nell'ambito delle colture

più idonee rispetto alle varietà più produttive in

relazione al territorio, delle tecniche colturali ottimali e

dei possibili sbocchi commerciali. (Interesse

nazionale ma da sviluppare a livello territoriale)

1.2 - Verifica delle attività per la tutela delle

biodiversità, della diversificazione produttiva e del

mantenimento della fertilità dei suoli.

1.3 - Intensificazione della ricerca sulle tecnologie e

sulla razionalizzazione dei processi e dei sistemi

produttivi nell'ambito dell'intera filiera. (Interesse

nazionale)

1.4 - Sviluppo della ricerca per l'utilizzo diretto in

azienda delle risorse energetiche ricavabili dagli oli

vegetali grezzi e dalle biomasse disponibili, con

particolare riferimento a quelle ricavabili dalle

potature dell’olivo e della vite, nel rispetto di una

elevata qualità ambientale. (Interesse nazionale)

1.5 – Certificazione della validità degli effluenti

zootecnici e vegetali digestati e/o compostati in

sostituzione degli ammendanti di sintesi.

1.6 – Organizzazione, bilancio economico, bilancio

energetico dei cantieri agroenergetici (analisi costi

benefici, ricerca di mercato, individuazione delle

figure interessate alla filiera, low imput delle

coltivazioni, ecc.);

2) Miglioramento dei processi produttivi, della qualità

e redditività delle colture industriali tipiche ed

2.1 - Migliorare l'intero processo di coltivazione

attraverso: la verifica delle tecniche colturali più

26/98

emergenti idonee rispetto alle peculiarità dei territori; l'ottimale

utilizzo delle risorse naturali disponibili con

particolare riguardo all'efficiente uso di quelle idriche;

l'utilizzo di varietà con resistenza maggiore alle

fitopatie ed ai patogeni in genere.

2.2 - Intensificare la ricerca per il miglioramento

genetico teso all'aumento dei parametri qualitativi

delle produzioni.

2.3 - Migliorare i processi di meccanizzazione

nell'ambito dell'intera filiera produttiva.

2.4 - Analisi e verifica dei nuovi scenari legati alla

possibile sostituzione di colture attualmente

caratterizzanti determinati territori al fine di

individuare le possibili alternative colturali.

3) Attuazione di programmi specifici per il

miglioramento e lo sviluppo delle Colture Officinali

3.1.1 - Intensificare la ricerca per la messa a punto

dell'intera filiera sotto il profilo della valorizzazione del

germoplasma autoctono;

3.1.2- miglioramento della tecnica colturale -

soprattutto biologica - con la verifica dei possibili

inserimenti nelle rotazioni colturali aziendali;

3.1.3 ottimizzazione dei processi di meccanizzazione

nella fase di coltivazione e prima trasformazione;

3.1.4 approfondimento dello studio varietale sulle

specie aromatiche fresche in funzione del mercato;

3.1.5 focalizzazione dei possibili utilizzi dei prodotti e

sottoprodotti della lavorazione in relazione al

mercato.

3.2 Sviluppo della ricerca finalizzata alla messa a

punto di standard comuni di produzione (anche a

livello europeo) e di sistemi di analisi rispondenti alla

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certificazione della qualità e tracciabilità dei prodotti.

3.3 - Analisi di mercato per individuare le specie di

maggiore interesse, gli standard qualitativi di base, le

metodiche di commercializzazione anche per la

Grande Distribuzione Organizzata.

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FORAGGICOLTURA - ZOOTECNIA - INDUSTRIE DI TRASFORMAZIONE DI SETTORE

La filiera ha una rilevante importanza:

1) Territoriale (1):

 i pascoli ed i prati permanenti rappresentano il 25,8% della SAU nazionale con 3,4 milioni di ha,

gran parte dei quali sono localizzati in aree collinari e montane caratterizzate da basse

produttività ma di rilevante importanza per uso e stabilità del territorio;

 le foraggere avvicendate sono 1,8 milioni di ha, prevalentemente di erba medica; a seguire gli

erbai di cui circa un terzo di mais ceroso;

2) socio – economica (2):

 gli allevamenti sono 498.210,

 le industrie di trasformazione lattiero casearia sono 2.249 con oltre 30.000 addetti,

 la trasformazione industriale della carne, è caratterizzata da specifici andamenti delle

macellazioni rispetto all’anno precedente, evidenziando nei diversi comparti le seguenti

tendenze, il “bovino” riscontra una flessione del – 2.1 %, il “suino” evidenzia un aumento del 1,6

%, gli “avicoli” registrano un incremento del 16 %, l’ ”ovi-caprino” fa registrare una situazione

pressoché invariata (- 0.2%). Per il comparto “avicoli”, si precisa che la tendenza all’aumento

marcato delle macellazioni, è stata giustificata dalla ripresa dei consumi e dell’aumento della

domanda di mercato, a seguito della regressione degli eventi di influenza aviaria.

3) economica (3):

 il valore della produzione degli allevamenti a prezzi di base è di circa 15 miliardi di euro,

 pari al 30 % dell’intera produzione agricola,

 che al consumo arrivano a 50 miliardi di euro stimati.

Nel corso degli ultimi 20 anni è stata caratterizzata da un generalizzato fenomeno di riduzione delle aziende

agricole a cui ha corrisposto una crescita delle dimensioni aziendali con maggiore concentrazione dei capi e

più accentuata specializzazione orientata alla specie. Il settore bovino è in leggero e costante calo nel

numero dei capi, mentre crescono i suini. Tendenzialmente stabili ovicaprini, avicoli e cunicoli.

Il settore zootecnico da carne italiano rappresenta circa il 65% del valore della produzione zootecnica ma

non è in grado di coprire il fabbisogno interno.

Il settore da latte vive ancora una fase di “assestamento” interno al regime delle quote e risente di una forte

concorrenza estera sul latte alimentare.

Per entrambi i settori esistono buone potenzialità nella trasformazione in prodotti a denominazione (DOP,

IGP, PAT) che esaltano una specifica capacità di produrre alimenti originali legati ad un territorio.

Le industrie di trasformazione sono nella grande maggioranza di piccole dimensioni e scarsamente

integrate tra loro; nell’ultimo decennio si è assistito ad una sostanziale tenuta nel numero delle imprese con

un leggero, ma non generalizzato, aumento del numero di addetti per impresa. Una forte integrazione

verticale è ormai consolidata nel settore avicolo e, in parte, cunicolo.

La DM diventa sempre più forte nella distribuzione dei prodotti alimentari di origine zootecnica, tuttavia

significativa si conferma l’importanza della macelleria tradizionale.

29/98

Dal punto di vista geo-economico la filiera può essere sinteticamente così riassunta:

 un distretto padano caratterizzato da sistemi foraggero-zootecnici intensivi impostati sulla coltura del

mais irriguo, prevalentemente bovini, suini e avicunicoli, con consistenti investimenti, orientati alla

produzione di commodities, a forte dipendenza dal mercato dei fattori di produzione e da quello di

sbocco, spesso ad elevata integrazione verticale;

 una “corona” alpina e una dorsale appenninica, montana e collinare, con sistemi foraggerozootecnici

bovini e ovicaprini più estensivi, seppur condizionati dalla disponibilità di superfici

utilizzabili, impostati sul prato e sul pascolo, orientati alla produzione di specialties, aperti a mercati

locali e di nicchia o a filiere corte;

 una montagna interna delle isole, con sistemi estensivi ovicaprini e suini, condizionati da limitazioni

ambientali, orientati alla produzione di specialties, aperti a mercati locali e di nicchia o a filiere corte;

 alcuni areali con sistemi a forte specializzazione produttiva: gli allevamenti avicoli di grandi

dimensioni in Veneto, alcune aree centro-meridionali con allevamenti bovini (Murgia barese e

tarantina, Campidano sardo, pianura laziale), l’allevamento suino di razze autoctone (Cinta senese,

Casertana, Nero siciliano).

La filiera condotta con metodi di produzione biologica, dopo una prima fase espansiva, registra un

assestamento causato da alcuni limiti tecnici irrisolti e da prezzi elevati del prodotto al consumo.

Le possibili strategie nazionali per la filiera devono essere calibrate per ogni prodotto in un ottica di

ragionevole equilibrio del mercato interno, ma tenendo conto delle dinamiche globalizzanti del mercato agroalimentare

europeo e mondiale:

a) il settore della carne bovina vede convivere due realtà importanti: il ciclo chiuso di razze autoctone di

pregio e l’ingrasso di vitelli da ristallo importati; per la prima occorre lavorare sulla modellizzazione del

sistema aziendale e sulla migliore capacità di penetrazione commerciale, per la seconda considerare

l’opportunità di un incremento della produzione interna di vitelli. Sono da sottolineare l’attuale deficit nella

copertura del fabbisogno interno ed il doppio canale commerciale (GDO e macellaio dettagliante) che

interagiscono con sistemi zootecnici diversi;

b) il settore latte bovino ed il suino potrebbero orientarsi sempre più alla diversificazione qualitativa, alla

trasformazione in prodotti a denominazione, inseriti in un percorso di ampliamento del mercato interno e

di sviluppo dell’export;

c) il settore ovi-caprino può puntare ad una maggiore evoluzione verso il prodotto trasformato di elevata

qualità e legato al territorio d’origine (più “facile” per il latte, meno per la carne);

d) il settore avicunicolo, interessato da processi di adeguamento tecnico – gestionale finalizzati a

garantirne la sostenibilità, è caratterizzato da una elevata integrazione verticale e da un mercato interno

“soddisfatto” e maturo, si sta orientando verso la diversificazione di gamma;

e) il settore del “biologico” deve risolvere alcuni problemi di zootecnica e di organizzazione aziendale,

compatibilmente con i limiti di disponibilità delle superfici, mirati ad un contenimento dei costi che

consenta una maggiore penetrazione commerciale del prodotto.

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Annotazioni:

(1) - Dati ISTAT relativi all’anno 2008;

(2) - Dati ISTAT relativi all’anno 2007;

(3) - Dati ISTAT relativi all’anno 2007;

SCHEDA N° 5 - FORAGGICOLTURA - ZOOTECNIA - INDUSTRIE DI TRASFORMAZIONE DI SETTORE

OBIETTIVO AZIONI

1) Valorizzazione e tutela dei prodotti di origine

animale tipici (latte, formaggi, salumi, carni, ecc.)

1.1 Individuazione e validazione di strumenti per la

certificazione dell’origine, e rintracciabilità, dei

prodotti lattiero-caseari e carnei attraverso lo studio

dei fattori di produzione e trasformazione, nei diversi

stadi della filiera.

1.2 Caratterizzazione chimico-nutrizionale e

sensoriale dei prodotti di origine animale, con

particolare riguardo agli aspetti nutraceutici e

salutistici.

1.3 Studio degli ecosistemi microbici dell’area

geografica di origine dei prodotti tipici: (tipizzazione,

anche genetica delle microflore autoctone, selezione

e produzione di starter microbici tipici)

1.4 Individuazione e misurazione on line di nuovi

parametri qualitativi del latte e della carne per una

migliore valorizzazione

1.5 Valutazione dei parametri qualitativi delle uova in

funzione dell’evoluzione normativa e gestionale degli

allevamenti (gabbia, a terra, free-range).

1.6 Valutazione qualitative dei prodotti di origine

animale da sistemi produttivi alternativi (zootecnia

biologica, basso impatto, estensivi).

2) Miglioramento della sostenibilità ambientale degli

allevamenti

2.1 Valutazione sperimentale e validazione in

campo, di piani alimentari per la riduzione dei

contenuti di azoto e fosforo negli effluenti zootecnici

di bovini (latte, carne), bufali, suini, avicoli, cunicoli,

31/98

in funzione della specificità della gestione degli

allevamenti e delle produzioni foraggiere del

territorio.

2.2 Valutare la possibilità di riduzione delle emissioni

di metano da parte dei ruminanati attraverso la

gestione dei piani alimentari.

2.3 Individuazione di criteri di valutazione e

possibilità di riduzione dell’impatto ambientale

complessivo (aria, acqua, pesaggio) degli

allevamenti intensivi in aree sensibili (vulnerabili,

montane, ad alta valenza ambientale_ZPS o

paesaggistica);

2.4 Valorizzazione dei sistemi zootecnici a basso

impatto, estensivi o biologici, in termini di

connessione alle produzioni foraggiere del

comprensorio e di benefici per la collettività.

3) Prodotti innovativi di origine zootecnica e

ampliamento della gamma commerciale

3.1 Studio di prodotti innovativi ottenuti da latte,

carne e loro sottoprodotti

3.2 Messa a punto di innovazioni tecnologiche, nel

confezionamento, nella distribuzione, per il

miglioramento della qualità, sicurezza alimentare e

shelf life dei prodotti trasformati.

3.3 Studio di prodotti innovativi no food (cosmesi,

fibre tessili, pelletteria, ecc.)

4) Incremento e miglioramento delle prestazioni

produttive degli animali allevati e dell’efficienza degli

allevamenti

4.1 Applicazione delle biotecnologie e messa a

punto di tecniche innovative nel campo della

genetica molecolare e della riproduzione animale

4.2 Sviluppo di tecniche per migliorare la risposta

immunitaria degli animali in allevamento e la difesa

dalle patologie infettive

4.3 Miglioramento dell’efficienza riproduttiva delle

32/98

specie di interesse zootecnico

4.4 Miglioramento genetico per i caratteri non

direttamente produttivi (longevità, resistenza

patologie, adattamento, ecc.) degli animali (bovina

da latte)

4.5 Elaborazione di piani di miglioramento genetico

per accrescere la qualità delle produzioni

4.6 Caratterizzazione di tipi genetici per la

produzione del suino pesante italiano, del suino

medio di qualità e del suino da allevamento

semibrado

4.7 Caratterizzazione produttiva delle popolazioni

animali e razze autoctone anche a limitata diffusione

4.8 Selezione genetica e gestione della

riproduzione finalizzata al miglioramento del

benessere animale

5) Valutazione del benessere animale e delle sue

correlazioni con i sistemi produttivi zootecnici

5.1 Valutazione degli del benessere animale in

rapporto al sistema di allevamento, nonché, alla

destinazione od utilizzo non

produttivo/multifunzionale (esempio pet terapy)

5.2 Definizione di metodi di misurazione e di

indicatori del benessere animale in allevamento,

durante le fasi di trasporto e di pre-macellazione

5.3 Sviluppo e validazione in campo di “tecniche

sostenibili” per ridurre le tecnopatie da allevamento

intensivo e migliorare il benessere animale

6) Adeguamento del comparto zootecnico alla

normativa relativa alla sicurezza alimentare e alla

tracciabilità

6.1 Valutazione delle implicazioni e impatto della

coesistenza di organismi GM e non GM nelle filiere

zootecniche a marchio e nella zootecnia biologica

33/98

6.2 Indagini conoscitive, monitoraggi, studi mirati per

la conoscenza delle possibili contaminazioni da

micotossine, residui di fitofarmaci, metalli pesanti

nelle materie prime per alimentazione animale

6.3 Studio dei sistemi di allevamento intensivo come

bacino e fonte di rischio per i patogeni trasferibili ala

catena alimentare nella lavorazione dei prodotti

(latte e carni)

7) Sviluppo, sostenibilità e funzionalità dei sistemi

foraggeri

7.1 Gestione delle risorse foraggere prato-pascolive

e pascolive: individuazione e realizzazione di

strumenti gestionali territoriali e aziendali finalizzati

ad un uso razionale della risorsa

7.2 Sperimentazione di tecniche innovative di

raccolta e conservazione dei foraggi in relazione

all’ambiente colturale, alle esigenze

dell’allevamento, ai consumi energetici

7.3 Messa a punto di sistemi foraggeri ad alta

efficienza e basso costo

7.4 Miglioramento dell’efficienza del sistema

sementiero per la disponibilità dei materiali vegetali

adatti ai diversi ambienti climatici e alle diverse

condizioni d’uso anche mediante lo sviluppo della

produzione di sementi di ecotipi locali

7.5 Elaborazione di modelli di gestione sostenibile di

aziende foraggero-zootecniche a basso impatto

ambientale, garanti del reddito, del benessere

animale e della qualità aziendale.

8) Razionalizzazione della apicoltura 8.1 Valorizzazione qualitativa dei prodotti

dell’alveare, e valutazione del rischio di

contaminazione ambientale e tracciabiliotà dei

prodotti

34/98

8.2 Elaborazione di strumenti e di tecniche per la

valorizzazione dell’attività pronuba delle api

8.3 Elaborazione di soluzioni a basso impatto

ambientale (omeopatia, fitoterapia) nella profilassi

nella lotta alle malattie dell’alveare e nel controllo di

parassiti e patologie di nuova introduzione

8.4 Salvaguardia della purezza genetica dell’Apis

mellifera L. mediante studi biometrici e genetici

35/98

PESCA ED ACQUACOLTURA

Il quadro generale e normativo di riferimento.

Il settore della pesca sta affrontando con molte difficoltà la fase di attuazione della recente politica

comune della pesca ( PCP ) che negli ultimi anni in particolare ha evidenziato, per citare i problemi più

evidenti che sussistono un eccessivo sfruttamento degli stock ittici, una sovracapacità delle flotte di pesca

, la perdita di redditività delle imprese di pesca , un eccessivo scarto dei prodotti pescati , una

commercializzazione dei prodotti poco efficace, un.

In questo contesto gli operatori della pesca , frammentati in mille piccole imprese non riescono ad

organizzarsi in forme associative più forti poiché troppo legati ai sistemi di pesca del passato né perseguono

salvo casi particolari ( consorzi fra imprese di pesca per la cattura dei molluschi bivalvi ) forme di

autogestione della propria attività.

La produzione normativa comunitaria sempre più rigida ( Regolamento CE 1967/2006, Regolamento CE

1005/2008 , Regolamento 1010/2009 , Regolamento 1077/2008 ) impone l’adozione di misure di gestione

per lo sfruttamento sostenibile delle risorse della pesca, strumenti di pesca sostenibili, certificazione delle

catture per import/export, tracciabilità dei prodotti, pacchetti sicurezza alimentare e molte altre regole molto

rigide e prescrittive.

Anche in relazione alle attività di acquacoltura che soprattutto negli ultimi anni hanno dimostrato molta

dinamicità sussistono disposizioni normative comunitarie e nazionali che richiedono agli interventi nel

settore molta attenzione alle tecniche produttive di effetti positivi sull’ambiente, alla valorizzazione delle

produzioni biologiche , all’attenzione alla qualità, tracciabilità e salute degli animali allevati etichettature dei

prodotti.

Anche la normativa nazionale più recente ( legge 23 luglio 2009n. 99) al fine di tutelare la qualità del

prodotto nazionale e contrastare le frodi impone iniziative finalizzate a rafforzare le azioni a tutela dei prodotti

della pesca ed acquicoltura.

Evoluzione dei settori

E’ necessario pertanto accompagnare gli operanti della pesca ed acquacoltura verso una

modernizzazione complessiva del settore che possa determinare anche una stabilizzazione dell’economia

ittica.I processi avviati con la politica comune della pesca devono essere accompagnati con tutti gli strumenti

necessari per transitare il settore verso la razionalizzazione delle risorse, l’ organizzazione comune delle

attività di pesca, il rispetto dell’ambiente e degli stock ittici, lo sviluppo dell’acquacoltura nel senso indicato

dalla disciplina comunitaria.

La strategia della ricerca

In questo contesto la ricerca mai come di questi tempi deve facilitare l’attività degli operatori economici per

metterli in condizione di essere competitivi rispettando le condizioni generali imposte dalle regole europee e

nazionali.

36/98

In questo senso i quattro obiettivi della ricerca declinati nelle rispettive azioni sono stati individuati per

rispondere concretemente alle esigenze del settore tenendo conto della delineata evoluzione del settore

suinduicata.

Gli obiettivi della ricerca proposti sono:

 gestione e sfruttamento sostenibile ed ecocompatibile delle risorse ittiche naturali;

 miglioramento e ampliamento della base produttiva acquacolturale;

 gestione ecocompatibile e tecnica di impianti di acquicoltura e maricoltura

 valorizzazione delle risorse ambientali , dei prodotti ittici e del mercato

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SCHEDA N° 6 – PESCA ED ACQUACOLTURA

OBIETTIVO AZIONI

1) Gestione e sfruttamento sostenibile ed

ecocompatibile delle risorse ittiche naturali.

1.1 Indagini sulla biologia, consistenza e diffusione di

specifici genotipi di interesse commerciale.

1.2 Indagini comparate sulla consistenza delle

popolazioni ittiche e sulla portanza ittiogenica delle

acque soggette ad attività di pesca professionale, sia

in mare che nelle acque interne, in rapporto allo

sforzo di pesca ed alla entità del prelievo con

particolare riferimento alle zone di tutela biologica.

1.3 Analisi delle popolazioni ittiche autoctone

soggette ad attività di pesca, sia in mare che nelle

acque interne, caratterizzate da uno status

sfavorevole di conservazione e studio di eventuali

interventi per il ripristino di tali popolazioni (es.

anguilla).

1.4 Analisi di modelli di gestione associata delle

attività di pesca al fine di migliorare la sostenibilità del

prelievo anche in termini di selettività dei sistemi per

aree di pesca omogenee.

1.5 Individuazione e sviluppo di tecniche idonee postsemina

per la sopravvivenza e l’ambientamento di

giovanili di specie marine costiere.

1.6 Caratterizzazione delle unità di produzione di

giovanili da ripopolamento, a livello regionale e

nazionale, e del relativo tasso quali-quantitativo di

funzionalità produttiva in rapporto alle esigenze dei

connessi bacini idrografici di utenza.

1.7 Sviluppo di protocolli operativi standardizzati per

la caratterizzazione della qualità biotica degli

ecosistemi acquatici.

1.8 Sviluppo di protocolli operativi per le buone

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pratiche di ripopolamento di ceppi autoctoni in

relazione alla portata, alle captazioni e al deflusso

minimo vitale dei corpi idrici.

1.9 Ottimizzazione delle attrezzature e delle tecniche

di pesca ai fini del miglioramento della selettività e

del contenimento dell’impatto ambientale. Ruolo

ecologico dei Fad’s (Fish aggregating devices)

sull’ecosistema pelagico, sul reclutamento e la

biodiversità, per lo sviluppo dell’uso dei sistemi

artificiali di attrazione.

1.10 Identificazione dei livelli di variabilità genetica e

della capacità riproduttiva di specie ittiche di

interesse alieutico a livello di popolazioni lacustri e di

materiale da ripopolamento di incubatoio, per il

miglioramento dei ripopolamenti e la conservazione

della biodiversità delle specie.

1.11 Definizione di protocolli di riproduzione

artificiale, primo allevamento e/o accrescimento di

soggetti autoctoni da ripopolamento, di qualità,

nell’ottica di logiche di tutela genetica delle

popolazioni ittiche.

2) Miglioramento e ampliamento della base

produttiva acquacolturale.

2.1 Messa a punto di protocolli di riproduzione e

primo allevamento di nuove specie ittiche autoctone

(marine e/o di acqua dolce) con particolare

riferimento ai molluschi cefalopodi, crostacei

decapodi ed echinodermi di particolare interesse

economico e/o locale.

2.2 Sviluppo di modelli bio-economici di simulazione

per la ottimizzazione gestionale e di produzione degli

allevamenti ittici e di modelli matematici previsionali

in merito all’impatto ambientale degli allevamenti.

2.3 Messa a punto di tecniche di produzione di catene

alimentari fito-zooplanctoniche ad alto contenuto di

acidi grassi insaturi, per l’alimentazione degli stadi

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larvali delle specie di allevamento. Indagini

sull’utilizzo alternativo (principi attivi, energia) del

fitoplancton.

2.4 Valutazione dell’applicabilità di standard

internazionali sul benessere animale.

3) Gestione ecocompatibile e tecnica di impianti di

acquacoltura e maricoltura

3.1 Studio dei parametri fisici, chimici e biologici

delle acque di immissione e reflue degli impianti di

acquacoltura e dei bacini naturali, nonché delle

tecniche utili per la loro depurazione e riutilizzo con

particolare riferimento alle tecniche di fitodepurazione

3.2 Messa a punto e collaudo di attrezzature

innovative per l’allevamento off-shore, con tecnologie

a ridotto impatto ambientale. Indagini

sull’acquacoltura sostenibile (policoltura, vallicoltura),

ricercando modelli gestionali innovativi, con metodi e

materiali testati.

3.3 Individuazione e ricerca di tecniche di

alimentazione e di tipologie di mangimi anche

alternativi a quelli attualmente in uso che

garantiscano un basso impatto ambientale.

3.4 Studio di tecniche profilattiche innovative e

ricerca di nuovi principi attivi da impiegare per la

difesa di tutte le specie ittiche allevate, anche nella

molluschicoltura.

4) Valorizzazione delle risorse ambientali , dei

prodotti ittici e del mercato

4.1 Identificazione e standardizzazione di

metodologie scientifiche per la certificazione e la

valorizzazione delle filiere produttive e dei prodotti

della pesca e dell’acquacoltura, ai fini della tutela

igienico-sanitaria, alimentare e nutrizionale del

consumatore per la valorizzazione della qualità del

prodotto.

4.2 Studi di fattibilità socio-economica di modelli di

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pesca-turismo ed acquacoltura-turismo trasferibili agli

operatori della pesca e dell’acquacoltura nelle acque

interne e nelle realtà rurali

4.3 Messa a punto di tecniche di trasformazione,

condizionamento e commercializzazione di prodotti

ittici, strategie per la valorizzazione di preparazioni

alimentari derivati da prodotti tipici locali, messa a

punto di strumenti e tecniche per la conservazione

del pescato sui pescherecci.

41/98

FLORICOLTURA E VIVAISMO ORNAMENTALE

L’evoluzione del mercato mondiale

Nel mondo l’estensione delle superfici destinate al florovivaismo è di circa 1.400.000 ha (AIPH/Union Fleurs

2007). La superficie mondiale riservata alla coltivazione di fiori e piante (bulbi inclusi) è circa 600.000 ha

(oltre il 50% in Asia, il 20% in Europa e il 18% in America) mentre circa 720.000 ha sono costituiti da piante

da vivaio. Il mercato floricolo internazionale ruota attorno a tre aree geografiche: l’Europa occidentale; gli

Stati Uniti/Canada e l’Estremo Oriente (Giappone, Cina, Corea del Sud) che da sole rappresentano circa i ¾

del consumo globale di prodotti floricoli stimato in circa 70 miliardi di euro, considerando anche le piante da

giardino (Rabobank 2008). Tra i paesi extra UE è aumentata fortemente la produzione e la competitività dei

paesi africani (Kenya, lo Zambia e l’Uganda, etc.), Sudamerica (Ecuador e Colombia) e Asia (India, etc. e

più recentemente Cina la cui superficie oggi è stimata in 100.000 ha di cui 40.000 dedicati ai fiori recisi ed il

resto alle piante in vaso, il cui valore alla produzione è intorno al 4,1% di quella mondiale.

Il florovivaismo europeo con il 24% della superficie (62.000 ha) ed il 20 % della produzione mondiale riveste

una notevole importanza economica e sociale. La UE è il principale mercato al mondo per il consumo dei

fiori recisi (53%). I flussi maggiori di importazioni giungono dai Paesi terzi passando per l’Olanda che funge

da cerniera negli scambi intracomunitari. Il 72% dei fiori recisi e il 43% del totale dei prodotti floricoli proviene

da quattro paesi: Kenia, Colombia, Israele ed Ecuador.

Tra i paesi produttori l’Italia con 18.000 ha è al 1° posto per le superfici dedicate, seguita dall’Olanda, il

Regno Unito , la Germania,la Spagna e la Francia. Le superfici protette raggiungono il 70% in Olanda, il 60%

in Spagna, il 50% in Italia, il 46% in Francia e il 15% in Gran Bretagna.

La situazione nazionaleIl florovivaismo rappresenta un settore importante del sistema agricolo nazionale:

 contribuisce per circa il 6% al totale del valore della produzione agricola per un valore di circa euro

2,5 miliardi di euro di cui 1,5 miliardi per fiori e piante in vaso e quasi un miliardo per i prodotti

vivaistici (Inea 2008);

 le zone di produzione sono localizzate prevalentemente in Liguria, Toscana, Campania, Sicilia,

Lazio, Puglia, Lombardia;

 è composto da quasi 20.500 aziende che operano su una superficie aziendale complessiva di oltre

36.000 ha con una media aziendale circa 1,76 ha (MiPAAF/Consorzio ITA 2009);

 è praticato in aziende di limitata superficie, inferiore ad 1 ettaro nel caso di quelle floricole e a circa 2

ha per quelle vivaistiche.

Il segmento del verde ornamentale, composto da fronde verdi, fiorite, a frutto e dalle foglie va assumendo

sempre più rilevanza nell’ambito della floricoltura. Diversamente dai fiori recisi, che stanno risentendo di un

sensibile calo produttivo per la forte concorrenza, il settore delle piante in vaso è in progressiva espansione

come pure le specie arbustive coltivate per rispondere alla crescente domanda dell’arredo degli spazi verdi.

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Il segmento delle piante in vaso e vivai ha risentito molto meno dell’allargamento degli scambi su scala

internazionale anche per la minore convenienza al trasporto su lunghe distanze. L’aumento dell’offerta ha

comunque indebolito il potere contrattuale delle aziende e determinato una selezione.

In Italia il consumo coincide prevalentemente in circostanze prestabilite (festività, ricorrenze, etc.). La scelta

del canale è ancora dominata dal negozio del fiorista (circa 80% per i fiori recisi, circa 50% per le piante

secondo i dati di Rabobank 2008), ma stanno assumendo una sempre maggiore importanza la Grande

distribuzione, i Garden Center e i Plant Center.

La crisi economica che da un anno sta interessando l’economia mondiale ha avuto naturalmente un impatto

molto importante sull’economia stessa con una contrazione dei consumi nei paesi con mercati maturi e con

una riduzione dei prezzi alla produzione. Probabilmente questa situazione è transitoria e legata quindi ai

fondamentali economici tra l’altro si osserva che l’aumento del consumo di prodotti florovivaistici è

direttamente collegato al PIL procapite di ogni paese. E’ probabile che quindi dopo una fase di assestamento

che presuppone anche grandi cambiamenti nella filiera commerciale e nella catena di distribuzione che si

stanno già intravedendo ci sarà una ripresa dei consumi ed aumenterà significativamente anche questa

quota in paesi di recente sviluppo economico (Polonia, Russia, India, Cina) che potrebbero cominciare a

diventare consumatori. Questo è il contesto in profonda evoluzione e da monitorare costantemente che deve

guidare tutte le azioni di supporto alla filiera produttiva.

Punti di forza del settore

Fermo restando che è stato recentemente costituito uno specifico Tavolo di Filiera e definito il Piano di

Settore per il Florovivaismo che dovrà rappresentare il documento di indirizzo strategico al livello nazionale

per lo sviluppo e il potenziamento del settore, i fattori che costituiscono i punti di forza del settore possono

essere così riassunti:

 le condizioni pedoclimatiche favorevoli.

 aree produttive ad elevato "know how" in grado di offrire prodotti di elevata qualità.

 ricchezza varietale della flora mediterranea che consente un ampliamento delle specie autoctone.

 la buona flessibilità delle aziende agricole

 le buone peculiarità d’origine di alcuni prodotti floricoli e vivaistici.

 la presenza in differenti regioni dell'Italia di strutture associative, Distretti floricoli, Mercati, reti

commerciali e aziende medio-grandi con buon posizionamento sui mercati esteri.

 la presenza di strutture e enti di ricerca pubblica e privata presenti sul territorio;

Punti di debolezza del settore

 insufficienti risorse per la promozione e marketing

 forte competitività sui mercati da produzioni extraregionali (UE ed extra UE);

 insufficiente capacità di investimento e difficoltà ad innovare il processo produttivo;

 insufficiente tutela e valorizzazione delle produzioni nazionali;

 elevato impatto ambientale e forte incremento dei costi di produzione (es. energia, acqua e mezzi

tecnici);

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 scarsa innovazione di prodotto e dipendenza brevettuale dall’estero;

 insufficiente uso di tecnologia nelle serre ed elevato utilizzo della manodopera, metodi di coltivazione

ancora tradizionali;

 scarsa programmazione delle produzioni;

 mancanza di punti di concentrazione dell’offerta nelle maggiori zone di produzione.

 scarsa differenziazione del packaging che rende il prodotto indifferenziato.

 ridottissima capacità di investimento negli studi di marketing nel settore .

 difficoltà commerciali per dimensioni aziendali ridotte, frammentazione dell’offerta;

 debolezza del sistema infrastrutturale e di filiera e logistica insufficiente;

– debolezza del sistema della ricerca pubblica in floricoltura;

– basso livello di investimenti nella ricerca e nel suo trasferimento.

La ricerca nel florovovaismo

L’attuale sistema della ricerca pubblica nel campo florovivaismo comprende prioritariamente:

– il CRA - Istituto Sperimentale per la Floricoltura nelle unità di ricerca di Sanremo, Pescia, Pontecagnano

e Palermo

– Istituto Regionale per la Floricoltura di Sanremo, ente strumentale della Regione Liguria

– Università e CNR

– Altri Enti di ricerca regionali: Fondazione Minoprio, CeRSSA di Albenga, CRAS, Veneto Agricoltura,

CeSpeVi, , etc

I principali punti di debolezza della ricerca pubblica nel florovivaismo:

– scarso coordinamento tra le strutture di ricerca competenti in materia;

– esiguità di risorse finanziarie per la ricerca in floricoltura;

– frammentazione e dispersione delle ricerche e dei finanziamenti disponibili;

– indirizzi e linee di ricerca non strategiche, non funzionali ad esigenze/problematiche del mondo

produttivo;

– scarso trasferimento dei risultati della ricerca ai produttori;

– scarsa compartecipazione finanziaria del mondi produttivo.

– Scarso collegamento con la ricerca di altri settori.

– Scarso o nullo rapporto con la ricerca privata.

In tale contesto organizzativo e strutturale si inseriscono gli obiettivi e le azioni individuate dalle Regioni per

la ricerca in floricoltura che mirano a differenziare e indirizzare la ricerca in base alla categoria produttiva

(fiore e fronde reciso, piante da esterno e piante in vaso).

Le tematiche Prioritarie per la ricerca per il settore floricolo individuate dalla Rete risultano al

momento:risulteranno

– Introdurre nelle imprese innovazione di prodotto, processo e tecnologie;

– ridurre i costi produttivi e l’impatto sull’ambiente;

– introdurre studi di settore ed economici per finalizzare le ricerca.

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RACCOMANDAZIONI (comuni per i tre segmenti)

Al fine di indirizzare le attività di ricerca applicativa a livello nazionale è necessario prioritariamente, da parte

di tutti i soggetti interessati (committenza ed operatori della ricerca), avere ben chiaro lo stato dell’economica

del comparto floricolo, delle sue interrelazioni, necessità, priorità e delle esigenze dei consumatori. Occorre

tener conto di quello che avviene negli altri paesi perché solo da uno scenario chiaro, condiviso e globale

possono discendere scelte razionali utilizzabili dalla filiera produttiva. In particolare è opportuno evitare di

lavorare su specie che dal punto di vista del mercato sono in regressione.

In generale sarà indispensabile e doveroso promuovere la rete tra i Centri e Enti di ricerca a livello

nazionale, regionale favorendo anche la collaborazione internazionale attraverso la costituzione di

partenariati, la realizzazione di progetti di ricerca integrati e multidisciplinari anche promuovendo la

formazione e lo scambio dei ricercatori. Particolare attenzione dovrà essere posta ad evitare sovrapposizioni

ed assenza di coordinamento tra i diversi gruppi di ricerca.

Occorrerà prevedere forme di collaborazione, ove possibile, con i soggetti della ricerca privata o per lo meno

comprendere le loro necessità e coinvolgere le Regioni, la filiera produttiva (i Distretti se presenti), i portatori

d’interesse nell’impostazione di dettaglio, in particolare per la scelta delle specie e delle relative

problematiche e nella valutazione dei risultati, anche attraverso la costituzione di gruppi di lavoro tematici; la

creazione di rapporti stabili tra ricerca pubblica e privata, tra tecnici pubblici e privati, sarà utile per finalizzare

meglio le ricerche di base e di metodiche; la nascita e lo sviluppo di nuove realtà che si occupino di

miglioramento genetico (spin-off e/o nuovi privati)

Sarà necessario realizzare sistemi di verifica dei risultati condivisi, la trasferibilità degli stessi e l'effettiva

ricaduta delle ricerche nel mondo produttivo promuovendo sinergie e collaborazioni con i servizi di

sviluppo regionale, con tutti i tecnici pubblici e privati curando in modo puntuale la divulgazione.

Per quando riguarda l’innovazione di prodotto il nostro Paese non è all’avanguardia, basti pensare che

solo il 2,5% delle nuove varietà ornamentali protette a livello comunitario arriva dall’Italia. Inoltre il

miglioramento genetico nazionale è concentrato su poche specie e ne trascura moltissime altre oggi

importanti. Questo costituisce un grave gap nei confronti dei nostri competitori. Ricordiamoci inoltre che

affinché una specie o una varietà nuova si affermi è necessario non solo creare nuove varietà bensì

conoscere adeguatamente la fisiologia, le tecniche colturali, la risposta alla forzatura, il post raccolto al fine

di renderle utilizzabili nella filiera commerciale. Questo presuppone quindi anche innovazione di processo.

In particolare occorre:

 creare una rete a livello nazionale di collezioni di germoplasma per specie di particolare

interesse e relative banche dati informatizzate in modo standardizzato tra le diverse

realtà..

 finalizzare bene l’attività di ricerca e sperimentazione che non si deve limitare ai soli aspetti

di base ma deve avere una finalizzazione applicativa da parte della nostra filiera produttiva e

commerciale ed in particolare prestare attenzione alle problematiche della sostenibilità ed

alle relative certificazioni.

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 verificare la possibilità di costituire gruppi di riferimento organizzati per specifici interessi e

competenze, per tipologia produttiva (es: gruppo “Rosa”) o per tematica (es: gruppo

“energia” o “management”) in grado di fornire metodologie, dati e di coordinare le attività e

gli scambi d’informazione con la partecipazione dei rappresentati degli Enti di ricerca, delle

amministrazioni locali e dei portatori d’interesse. Questo permetterà di migliorare il rapporto

tra la filiera produttiva e le strutture di ricerca e sperimentazione.

 Predisporre una banca dati per quanto riguarda il comparto pubblico che contenga le linee di

ricerca portate avanti, i risultati attesi e quelli ottenuti, le pubblicazioni prodotte e quant’altro

necessita per una rapida ed efficace divulgazione.

In generale, considerato lo scenario attuale occorre un grosso sforzo per creare e sviluppare l’idea d’impresa

(“fare impresa”) e la consapevolezza degli strumenti necessari per aggredire i mercati globali da parte delle

PMI. Saranno da prendere in considerazione gli aspetti economici delle produzioni e delle aziende nel loro

insieme anche con l’utilizzo di strumenti commerciali innovativi: certificazioni, utilizzo di strumenti bilanciatici

nella normale pratica imprenditoriale agricola, benchmarking ed indicatori di efficienza aziendale analisi di

mercato, di settore e strategie di marketing, creazione a livello territoriale di strumenti che in modo costante

aggiornino sulle dinamiche di mercato locale, nazionale ed internazionale (osservatori economici) etc…

Le specie su cui si dovrà prioritariamente porre attenzione sono quelle di tipo mediterraneo, legate alla

biodiversità ed alla riduzione dell’impatto ambientale.

Tra queste si posso indicare con un’elencazione esplicativa ma non esaustiva: Camellia, Girasole da reciso

e da vaso, Proteaceae, Summer flowers, Acacia glaucoptera, Arbutus, Lisianthus, Dianthus barbatus, Calla

bianca, Ranuncolo, Anemone, Papavero, margherita da vaso e da reciso, wildflowers, specie autoctone,

rose multifunzionali, Pancratium, Limonium, Helleborus, Dahlia etc…

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SCHEDA N°7 – FLORICOLTURA E VIVAISMO ORNAMENTALE

1) PIANTE DA FIORI E FRONDE RECISE

OBIETTIVI AZIONI

1 Introduzione di novità, commerciali o con

potenzialità di sviluppo, adatte alle esigenze delle

aree floricole nazionali al fine di:

 ampliare l'offerta nei periodi di limitata

disponibilità merceologica (primaveraestate)

 introdurre specie o varietà a basse

esigenze termico – energetiche

1.1 recupero, selezione, caratterizzazione, anche

con metodologie molecolari e valutazione

agronomica, ornamentale e commerciale, delle

varietà e/o specie soprattutto quelle

mediterranee, autoctone e naturalizzate, anche

tramite la costituzione di campi di collezione e

orientamento varietale. L’utilizzo di metodi

molecolari e la costituzione di banche dati

genomiche deve essere strettamente finalizzato

a piani di miglioramento genetico applicativo.

1.2 ampliamento della gamma varietale mediante

la creazione di nuove varietà

1.3 messa a punto e valutazione di protocolli di

produzione tecnica compresi gli aspetti del postraccolto

2 miglioramento delle varietà e specie strategiche

per le aree floricole nazionali, con particolare

riguardo alla qualità delle produzioni,

all’allungamento del periodo di produzione ed al

controllo del ciclo produttivo

.

2.1 approfondimento degli aspetti fisiologici e

tecnico-commerciali (propagazione in vitro e in

vivo, nutrizione, fisiologia, coltivazione, difesa,

modalità di presentazione e di distribuzione).

2.2 individuazione e messa a punto di tecniche

innovative sul mantenimento dei parametri

qualitativi in post raccolta

2.3 messa a punto per le specie mediterranee

più note e diffuse delle conoscenze della

fisiologia della fioritura e del post-raccolto tali da

permetterne una gestione migliore delle

produzioni ed un’offerta produttiva nei migliori

periodi di mercato e soprattutto molto ampia nel

tempo.

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3 introduzione di innovazioni tecnologiche e di

processo per il miglioramento delle produzioni,

con particolare riguardo alla riduzione dei costi di

produzione ed energetici, all’impatto ambientale,

ed a tutte le metodiche che aumentano la

compatibilità ambientale ed il recupero ed il

riutilizzo degli scarti e dei reflui

3.1 utilizzo di strategie, materiali, fonti rinnovabili,

impianti e strutture innovative nel campo del

risparmio energetico al fine e della riduzione dei

costi di produzione

3.2 introduzione di prodotti e di sistemi innovativi

di, prevenzione e difesa biologica e/o integrata

con razionale uso dei parametri climatici; messa

a punto di kit per la diagnosi precoce e di sistemi

di monitoraggio delle problematiche fitosanitarie;

studio della resistenza dei patogeni indotta

dall'uso dei fitofarmaci.

3.3 studio dei fabbisogni idrici, nutrizionali ed

energetici e sviluppo di modelli e di sistemi

colturali innovativi, compresi i sistemi fuori suolo.

2) PIANTE DA ESTERNO

OBIETTIVI AZIONI

1. introduzione di innovazione di prodotto,

sfruttando la biodiversità, con riferimento tra

l’altro a:

 resistenza agli stress

 adattabilità di specie e cultivars

all’impianto in aree d’interesse

paesaggistico-ambientale e adatte ad

impianti d’ingegneria naturalistica

1.1 selezione e miglioramento genetico di novità

commerciali e di germoplasma autoctono e/o

naturalizzato, anche con riferimento a specie

mediterranee e da giardino secco

1.2 utilizzo di marcatori molecolari come valido

strumento operativo per la caratterizzazione,

valutazione e comportamento agronomico delle

novità all’interno di piani di miglioramento integrati

e ben finalizzati.

1.3 studi per la modifica dell'architettura e delle

dimensioni delle piante

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2. introduzione di specie autoctone per l’utilizzo in

ambito urbano

3.3 studio di tecniche estirpazione, trasporto,

impianto e cura post impianto di alberi

monumentali

3.5 tecniche vivaistiche innovative per ridurre

stress da trapianto di alberi e arbusti ornamentali

3. riduzione dell'impatto ambientale e

paesaggistico, miglioramento ed ottimizzazione

delle tecniche produttive e valutazione

quantitativa delle capacità di specie arbustive e

arboree ai fini della mitigazione dell’inquinamento

atmosferico in ambiente urbano e perturbano

2.1 studi per l'utilizzo di metodiche alternative a

basso impatto ambientale (acque reflue a fini

irrigui, contenitori biodegradabili, substrati,

compost soppressivi e biostimolanti; difesa a

basso impatto, irrigazione puntiforme, controllo

fisico infestanti, geodisinfezione, energie

alternative, vasi innovativi etc…)

2.2 valutazione dell'efficacia e della selettività di

nuovi prodotti; studio di strategie di monitoraggio

e lotta biologica e integrata; messa a punto di

metodologia standard per valutazione dello stato

sanitario e di stabilità, ed eventuali azioni di

risanamento, con particolare riferimento alle

piante destinate al verde urbano e spazi pubblici.

2.3 valutazione di specie ornamentali per il

miglioramento della qualità ambientale, ecologica

e paesaggistica con particolare riferimento alle

piante destinate al verde urbano ed alle aree

degradate.

3.1 valutazione e messa a punto di tecniche per

ottimizzare la qualità merceologica

3.2 studi per migliorare l'efficienza dell'uso delle

risorse idriche e nutrizionali; introduzione di

tecniche innovative di gestione degli arbusti

ornamentali compresa una valutazione tecnicoagronimica

ed un’approfondita conoscenza delle

esigenze nutrizionali delle specie

49/98

4. sviluppo di prodotti e tecnologie a basso impatto

ambientale tra cui il recupero e riutilizzo dei reflui

agricoli o industriali e scarti aziendali, compost e

substrati soppressivi

3.4 studi su assorbimento inquinanti gassosi,

sull’emissione di CO2 e cattura particolato, effetti

sulle condizioni micrometeorologiche quali la

mitigazione della temperatura con effetti positivi

sul consumo energetico dovuti all’ombreggiatura

della vegetazione di alto fusto ed all’effetto

barriera

5. studio di forme di aggregazione e

standardizzazione dell’offerta.

3) PIANTE DA VASO

OBIETTIVI AZIONI

1. introduzione di novità, commerciali o con

potenzialità di sviluppo, adattabili alle esigenze

delle aree floricole nazionali al fine di:

a. introdurre specie a basse esigenze

termico- energetiche

introduzione di innovazioni di processo e

tecnologiche per il miglioramento delle produzioni

con particolare riguardo alla riduzione dei costi di

produzione ed energetici e dell'impatto ambientale

1.1 recupero, caratterizzazione, anche con

metodologie molecolari, e valutazione

agronomica, ornamentale e commerciale delle

varietà e/o specie, comprese quelle

mediterranee, autoctone e naturalizzate.

Costituzione di banche dati genomiche vegetali

50/98

2. razionalizzazione e innovazione degli aspetti

tecnico - commerciali delle varietà e specie

strategiche per le aree floricole nazionali,con

particolare riguardo alla qualità delle produzioni.

Risparmio energetico: tecnologie che utilizzano

cogeneratori, scambiatori di calore geotermici e

energie alternative per le serre

2.1 approfondimento degli aspetti tecnici -

commerciali (propagazione in vitro e in vivo,

nutrizione, fisiologia, coltivazione, difesa,

modalità di preparazione e di trasporto); studi e

strategie tecnico-gestionale rivolte alla riduzione

del consumo energetico nella coltivazione

2.2 protocolli di produzione e strategie tecnicogestionali

rivolte all’aumento qualitativo e/o

quantitativo della produzione, all'allungamento

del periodo produttivo e alle modifiche

dell'architettura e delle dimensioni delle piante;

approfondimento degli aspetti tecnici -

commerciali (propagazione in vitro e in vivo,

nutrizione, fisiologia, coltivazione, difesa,

modalità di preparazione e di trasporto)

2.3 Messa a punto di substrati alternativi anche

ad elevata capacità di ritenzione idrica.

3. studi sulla filiera produttiva e commerciale che

portino ad aggregazione e standardizzazione

dell’offerta

3.1 utilizzo di strategie, materiali, fonti

rinnovabili, impianti e strutture innovative nel

campo del risparmio energetico al fine della

riduzione dei costi di produzione; studio di

impiego dei sottoprodotti agricoli, agroalimentari

e zootecnici, nuovi prodotti e scarti di

macellazione per produzione energetica e il

recupero delle acque reflue per la riduzione

dell’impatto sull’ambiente

3.2 introduzione di prodotti e di sistemi innovativi

di prevenzione e difesa biologica e/o integrata,

anche in base alla razionale gestione dei

parametri climatici, messa a punto di kit per la

diagnosi precoce e di sistemi di monitoraggio

delle problematiche fitosanitarie; studio della

resistenza dei patogeni indotta dall'uso dei

fitofarmaci

3.3 studio dei fabbisogni idrici, nutrizionali ed

energetici e sviluppo di modelli e di sistemi

colturali alternativi

51/98

4. sviluppo di strutture di protezione a basso costo

e ridotti consumi energetici.

6. studio di forme di aggregazione e

standardizzazione dell’offerta.

4) comune ai tre settori

OBIETTIVI AZIONI

4.1 messa a punto di opportune strategie di

divulgazione e di trasferimento che permettano

alle innovazioni di arrivare a contatto con la

produzione e supporto all’assistenza tecnica.

4.2 attività di divulgazione e trasferimento delle

conoscenze.

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BIOTECNOLOGIE ANIMALI E VEGETALI

Le opportunità offerte dallo sviluppo del settore biotecnologico, in particolare riguardo alla capacità delle

strumentazioni, in continua e rapida evoluzione, nonché delle conoscenze prodotte, in realtà più all’estero

che nel nostro Paese, ma con elementi di novità negli ultimi cinque-dieci anni anche in progetti nazionali.

Data la sensibilità che accompagna gli aspetti applicativi delle biotecnologie in agricoltura, un occhio di

riguardo è doveroso nei confronti delle evoluzioni in questo campo negli altri Paesi, ed anche per le novità

tecnologiche recenti nonché le possibilità di controllo, tracciabilità e vantaggi per la nostra agricoltura di

qualità.

Un quadro strategico di sviluppo non può prescindere dalla acquisizione di una adeguata strutturazione delle

disponibilità tecnologiche presenti sul territorio, che può poi essere focalizzata su necessità di ordine

legislativo-organizzativo (coesistenza OGM con colture tradizionali) o progetti strategici nazionali

(sequenziamento di una coltura mediterranea come l’olivo, oppure applicazione delle più avanzate tecniche

genetico molecolari su larga scala sulle colture tipiche)

Sicurezza alimentare, coesistenza, tracciabilità, tipizzazione prodotti agroindustriali. Le indicazioni di

Bruxelles sulla coesistenza tra OGM e colture convenzionali e biologiche nonché l’introduzione nel nostro

Paese di colture e sementi che necessitano di essere tracciate e documentate richiedono la nostra

attenzione nello sviluppo di adeguati strumenti per la valutazione, la riduzione e la gestione dei rischi/regole

associati all’impiego degli OGM in agricoltura.

Sullo stesso piano si pongono le necessità di migliorare lo stato sanitario delle specie di interesse agrario, la

qualità e la sicurezza dei prodotti agroalimentari e la qualità dell’ambiente.

Sia il primo che il secondo punto necessitano dello sviluppo e l’applicazione di nuove tecniche di diagnostica

molecolare di facile applicazione, possibilmente economiche, di ampia diffusione.

Innanzi tutto la Rete necessita di individuare laboratori che si assumano il ruolo di Osservatori per il

monitoraggio di piante geneticamente modificati e loro prodotti. L’autorevolezza di questi laboratori superpartes,

ovvero non ideologicamente schierati, da individuare nelle Università o nei centri di ricerca più

avanzati nel nostro Paese, dovrebbero garantire quel necessario equilibrio nonché garanzia di assoluta

correttezza che un settore così delicato richiede. Non sono auspicabili infatti né allarmismi né eccessi di

superficialità ma assoluta credibilità e correttezza nelle analisi e nella diffusione dei risultati. Tali osservatori

dovrebbero dotarsi di analoghe e comparabili metodologie per il campionamento e l’individuazione di OGM

nelle sementi, nelle materie prime, negli ingredienti, negli alimenti e nei prodotti e per l’analisi di rilascio e

valutazione del rischio ambientale. Inoltre dovrebbero dotarsi di analoghe metodologie per valutare le

caratteristiche di sicurezza e nutrizionali di alimenti e mangimi geneticamente modificati. Periodicamente, e

su scala nazionale, tali monitoraggi dovrebbero essere sia di supporto al legislatore che di corretta diffusione

ai cittadini per una diffusa conoscenza dello stato dell’arte. Non ultimo si ritiene necessario a supporto della

normativa sulla etichettatura lo sviluppo di metodologie per la tracciabilità di OGM nella filiera agroalimentare

attraverso marcatori molecolari e biochimici.

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In parallelo alle necessità della sicurezza e della convivenza, si vede come indispensabile una

partecipazione allo sviluppo di nuovi metodi di trasformazione genetica “soft”, al fine di collaborare allo

sviluppo di tecnologie meno impattanti e contribuire alla crescita di biotecnologie ed ad una loro applicazione

controllata, si sottolinea, da istituzioni pubbliche, per una maggiore garanzia per la società.

Non ultimo, anche un maggior impegno delle istituzioni, dove maggiore è l’esperienza nel settore, nel flusso

della comunicazione all’utenza nei riguardi delle biotecnologie sarebbe fortemente auspicabile. Corsi di

scienza della comunicazione applicati al settore delle biotecnologie in particolare potrebbe garantire una

maggiore e migliore conoscenza nonché sensibilizzazione a queste tematiche anche nel nostro Paese,

visibilmente carente da questo punto di vista rispetto ai paesi nord europei.

Miglioramento genetico e applicazione tecnologie genomiche alla tipicità, al basso impatto ambientale, alla

qualità agro-alimentare. Piattaforme tecnologiche di elevato profilo si sono sviluppate anche nel nostro

Paese, pur con qualche ritardo rispetto agli altri paesi altamente industrializzati, ma in rapida ascesa. Queste

piattaforme, focalizzate sullo sviluppo delle “omiche” (metabolomica, genomica, trascrittomica, proteomica),

in gran parte nate in un contesto di ricerca di base, possono trovare ampia applicazione nelle attività di

miglioramento genetico, di tipizzazione dei prodotti nazionali, per un minor impatto antropico nell’ambiente

agrario, nonché per la caratterizzazione delle qualità nutrizionali dei prodotti agroalimentari nazionali.

Si auspicano fortemente, e si propone di stimolare, delle sinergie tra piattaforme tecnologiche sparse sul

territorio e si propongono progetti di ampia condivisione per coadiuvare tali sinergie. Un progetto di sicuro

interesse nazionale, e altamente caratterizzante la nostra agricoltura, è il sequenziamento del genoma

dell’olivo, ai fini delle sue applicazioni alla caratterizzazione del prodotto (sempre più malamente imitato), al

miglioramento genetico della pianta, alla conoscenza della pianta ai fini di un minore impatto antropico nelle

colture.

Altri progetti su colture orticole, di elevato valore aggiunto e altrettanto caratterizzanti una agricoltura di

qualità, focalizzati sulla analisi della biodiversità e salvaguardia del germoplasma, risanamento e

nicroporpagazione, nonché applicazione di tecnologie biotecnologiche avanzate, potrebbero trovare grande

supporto dalle piattaforme tecnologiche citate. Pertanto una rete di tali piattaforme sarebbe fortemente

auspicata con un forte supporto nazionale e regionale.

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SCHEDA N° 8 – BIOTECNOLOGIE ANIMALI E VEGETALI

OBIETTIVI AZIONI

1. Valutazione, riduzione e gestione dei rischi

associati all’impiego degli OGM in agricoltura e a

supporto delle strategie sulla coesistenza tra colture

transgeniche, convenzionali e biologiche.

1.1 Sviluppo e validazione di metodologie per

valutare le caratteristiche di sicurezza e nutrizionali di

alimenti e mangimi geneticamente modificati;

1.2 Istituzione di "Osservatori per il Monitoraggio di

piante geneticamente modificati e loro prodotti";

1.3 Sviluppo e validazione di nuove metodologie per

il campionamento e l’individuazione di OGM nelle

sementi, nelle materie prime, negli ingredienti, negli

alimenti e nei prodotti e per l’analisi di rilascio e

valutazione del rischio ambientale: sviluppo di corredi

commerciali e produzione seriale;

1.4 Sviluppo di metodologie per la tracciabilità di

OGM nella filiera agroalimentare attraverso marcatori

molecolari e biochimici a supporto della normativa

sulla etichettatura;

1.5 Sviluppo di nuovi metodi di trasformazione

genetica “soft” ;

1.6 Studi volti a definire sistemi di coltivazione e di

trasformazione di prodotti agroalimentari in filiere

“non OGM” e a supporto delle misure di gestione

relative alla coesistenza;

1.7 Valutazione del rischio biologico ed ambientale

della dispersione di OGM negli ecosistemi anche a

supporto alle misure di gestione relative alla

coesistenza;

1.8 Miglioramento del flusso della comunicazione

all’utenza nei riguardi delle biotecnologie.

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2. Sviluppo di nuove tecniche di diagnostica

molecolare al fine di migliorare lo stato sanitario delle

specie di interesse agrario, la qualità e la sicurezza

dei prodotti agroalimentari e la qualità dell’ambiente.

2.1 Sviluppo e validazione di supporti biotecnologici

per l’identificazione e la quantificazione dei principali

patogeni per le specie animali e vegetali di interesse

agrario;

2.2 Sviluppo e validazione di supporti biotecnologici

per l’identificazione e la quantificazione di agenti

contaminanti nelle filiere agroalimentari;

2.3. Analisi di composti biochimici e di marcatori

molecolari presenti nelle piante o nei prodotti

agroalimentari da consumo fresco o trasformati

utilizzabili per la tracciabilità del prodotto nella filiera

di trasformazione;

2.4. Analisi genica e miglioramento genetico di

microrganismi utili alla trasformazione agroindustriale

dei prodotti ortofrutticoli;

2.5 Miglioramento del monitoraggio ambientale con

tecniche di diagnostica molecolare;

2.6 Realizzazione di banche dati metabolomiche

delle specie vegetali più importanti per la regione

mediterranea, al fine di esaltare le qualità nutrizionali

delle specie caratterizzanti la dieta mediterranea

3. Miglioramento dell’efficienza della selezione

genetica nelle specie di interesse agrario e

caratterizzazione genetica degli ecotipi e delle razze

locali mediante marcatori molecolari.

3.1 Sviluppo, mantenimento e messa in rete delle

piattaforme tecnologiche a servizio del

miglioramento genetico assistito da marcatori

molecolari;

3.2 Tipizzazione genetica (fingerprinting) di razze,

ecotipi o individui di interesse.

3.3 Descrizione e caratterizzazione della biodiversità;

3.4 Sviluppo, ottimizzazione e trasferimento di

tecniche di colture cellulari o in vitro di specie

ortofrutticole per applicazioni di miglioramento

genetico tradizionale e biotecnologico, risanamento e

micropropagazione.

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4. Sviluppo di metodi di coltivazione e allevamento a

basso impatto ambientale basati sull’approccio

genomico

4.1 Sviluppo di piattaforme tecnologiche per il

sequenziamento di genomi e per la gestione

informatica dei risultati (bioinformatica) per un

ristretto gruppo di specie animali e vegetali rilevanti

per il territorio nazionale e non adeguatamente

esplorate.

4.2 Sequenziamento completo del genoma di una o

più specie di interesse agrario (specie vegetale

candidata: olivo)

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SELVICOLTURA – ARBORICOLTURA DA LEGNO – PRODOTTI FORESTALI NON LEGNOSI

Quadro generale del settore

Lo stato delle foreste e le prospettive del comparto forestale in Italia sono stati recentemente analizzati e

descritti in due documenti:

 il documento di sintesi del Gruppo di lavoro “Foreste e cambiamento climatico”, redatto nel 2005

nell’ambito del Piano Strategico Nazionale propedeutico alla stesura dei Programmi di sviluppo

rurale regionali (di seguito PSR) 2007-13;

 il successivo ed approfondito Piano Quadro per il settore Forestale (di seguito PQSF), redatto

da un gruppo di lavoro interistituzionale (MiPAAF, MATTM, INEA, Regioni) in attuazione della L.

296/2006 (Legge finanziaria 2007), approvato dalla Conferenza Stato Regioni in data

18.12.2008.

Facendo riferimento a tali documenti, in particolare all’ultimo, si traccia di seguito un quadro molto sintetico

del settore forestale italiano.

Le foreste e il comparto forestale in Italia

La superficie forestale in Italia, secondo l’Inventario Nazionale delle Foreste e del Carbonio 2005, è stimata

in 10,6 milioni di ettari, pari al 34,7% della superficie territoriale complessiva, con una chiara tendenza

all’aumento da alcuni decenni, a causa dell’abbandono delle colture agricole e dei pascoli nelle aree

marginali di montagna e collina.

All’interno della superficie forestale, l’arboricoltura da legno copre circa 120.000 ettari, dei quali 66.000 di

pioppeti, questi in netta diminuzione (superficie dimezzata dal 1982).

A fronte della notevole estensione delle foreste, va sottolineata la crescente consapevolezza della loro

importanza: accanto alle tradizionali funzioni di: (a) produzione (di legno - per l’industria o per energia - e di

prodotti non legnosi), e (b) protezione idrogeologica del territorio (tutela delle acque, dei suoli e dei versanti),

nell’ultimo quarto del secolo scorso si sono evidenziate altre importanti valenze sociali e ambientali:

 il miglioramento e il mantenimento del paesaggio;

 la fruizione, a scopo ricreativo o didattico;

 la depurazione dell’aria, l’assorbimento e la fissazione di anidride carbonica;

 la conservazione della biodiversità, vegetale e animale.

Peraltro tali servizi finora non sono stati concretamente riconosciuti e remunerati al proprietario o al gestore,

accentuando così l’abbandono di gran parte delle superfici forestali montane, spesso con scarsa attitudine

produttiva e a macchiatico negativo.

Considerando la sola funzione di produzione di materie prime legnose dalle foreste e dall’arboricoltura,

secondo i dati ISTAT il valore complessivo di tali prodotti, come media nell’ultimo ventennio, ammonta a

poco più dell’1% della produzione totale del settore primario.

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Sul totale delle utilizzazioni nazionali, in media 7-8 milioni di metri cubi all’anno secondo l’ISTAT, oltre il 60%

è costituito da legna da ardere (il prelievo di legna da ardere è in realtà ben superiore, sfuggendo alle

rilevazioni statistiche la gran parte dei tagli effettuati nei cedui). Per quel che riguarda il legname da lavoro,

circa il 40% proviene dalla pioppicoltura, che occupa poco più dell’1% della superficie forestale italiana.

Considerando che l’importazione annua (soprattutto di legno grezzo e semilavorato) è pari a circa 14 milioni

di metri cubi, l’Italia risulta il Paese dell’UE a 25 (esclusi Malta e Lussemburgo) con il più basso grado di

autosufficienza nell’approvvigionamento di materia prima legnosa per l’industria.

Il PQSF individua i seguenti punti di forza del settore forestale e dei boschi italiani:

 il costante aumento della superficie forestale italiana (circa un terzo del territorio nazionale);

 l’incremento annuale della provvigione superiore ai tassi di utilizzo;

 la crescente tendenza alla gestione forestale pianificata;

 l’elevata diversità paesaggistica e territoriale e diversificata presenza di habitat, fauna e flora;

 l’elevata presenza di aree forestali protette;

 la molteplicità di funzioni, servizi e beni che le foreste offrono alla collettività;

 l’azione positiva di prodotti forestali e attività connesse sullo sviluppo di importanti settori economici

(costruzioni, pannelli, industria cartaria, riciclo, energia, commercio).

Più numerosi i punti di debolezza evidenziati:

 scarsa gestione attiva del territorio e del patrimonio forestale;

 frammentazione e dispersione delle proprietà forestali e ridotta dimensione aziendale;

 scarsa propensione del settore forestale a un adeguamento gestionale, strutturale e produttivo;

 scarso ricambio generazionale e vulnerabilità delle culture tradizionali legate alle attività

forestali;

 insufficiente rete viaria e difficoltà di accesso alla proprietà;

 scarsa qualità merceologica del legname, produttività incostante e forte dipendenza dall’estero;

 mancanza di informazioni di settore armonizzate, sia cartografiche che statistiche;

 inadeguatezza del sistema di leggi, piani e modelli organizzativi nazionali, regionali e locali;

 mancanza di coordinamento tra i diversi strumenti di programmazione, di pianificazione

territoriale e tra i diversi soggetti che operano nel settore;

 scarsa integrazione verticale ed orizzontale tra le imprese che operano nelle filiere forestali

 carenze formative di tipo tecnico e gestionale per addetti, operatori e proprietari;

 difficoltà a remunerare i servizi non monetari offerti dalle risorse forestali.

Il PQSF individua quindi priorità d’intervento, raggruppate in 4 ambiti e di seguito riassunte:

1. Priorità strutturali

 incentivare la gestione attiva e un’adeguata pianificazione forestale mirate al mantenimento e al

miglioramento della sostenibilità e della multifunzionalità;

 prevedere nuovi strumenti di politica fiscale, che supportino lo sviluppo competitivo dell’economia

forestale;

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 promuovere nuovi modelli organizzativi idonei a garantire una gestione attiva e costante della

proprietà forestale pubblica e privata (modelli associati e partecipati);

 tutelare le imprese e gli operatori forestali riconoscendone il ruolo sociale, migliorare produttività e

sicurezza del lavoro in bosco;

 favorire e valorizzare lo sviluppo della filiera foresta-legno, tramite la realizzazione di filiere corte e

un approccio integrato che coinvolga tutti gli attori;

 promuovere la certificazione forestale e la rintracciabilità del legno;

 adeguare le infrastrutture alla multifunzionalità forestale, minimizzando gli impatti negativi

sull’ambiente;

 incentivare la formazione sia tecnico specialistica, gestionale e di sicurezza sul lavoro che

ambientale.

2. Priorità di tutela e conservazione:

 potenziare la tutela della biodiversità negli ecosistemi forestali;

 promuovere la gestione integrata bosco-fauna;

 incentivare la realizzazione di interventi di imboschimento, privilegiando specie autoctone e

materiale di provenienza certificata e locale, favorendo la ricostituzione di areali frammentati;

 promuovere le iniziative strategiche volte alla salvaguardia in situ ed ex situ del patrimonio

genetico forestale;

 incentivare il mercato dei prodotti e delle attività ad “emissione zero”, promuovendo la cultura

dell'uso del legno a partire dal Green Public Procurement;

 definire strategie di lungo termine per la tutela del patrimonio forestale dai rischi e fenomeni di

degrado (incendi, patogeni, fenomeni climatici estremi);

3. Priorità di presidio del territorio:

 favorire la permanenza delle comunità nei luoghi di montagna e di collina, attraverso la

creazione e/o valorizzazione di adeguati servizi;

riconoscere agli imprenditori e proprietari forestali i benefici diffusi e servizi di pubblico

interesse, che una corretta gestione del bosco produce a favore dell’intera collettività;

 promuovere, prioritariamente nei contesti rurali e nelle aree montane, lo sviluppo e la creazione di

filiere collegate all’utilizzo energetico delle biomasse forestali.

4. Priorità di coordinamento:

 promuovere l’armonizzazione e la semplificazione normativa in ambito forestale, favorendo la

condivisione di intenti e il coordinamento fra le istituzioni competenti, incentivando l’armonizzazione

dei sistemi di monitoraggio e pianificazione forestale;

 creare una struttura permanente di coordinamento che rappresenti il punto di riferimento

interistituzionale sia per l’attuazione delle politiche forestali sul territorio nazionale che per tutto il

settore;

 valorizzare gli strumenti, i metodi e i processi di programmazione e gestione lungimiranti, sostenibili,

condivisi e partecipati.

Infine il PQSF definisce 4 obiettivi prioritari nazionali:

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A. sviluppare un’economia forestale efficiente e innovativa, presupposto per l’uso sostenibile del

patrimonio forestale;

B. tutelare il territorio e l’ambiente;

C. garantire le prestazioni di interesse pubblico e sociale, trasformando i boschi in uno strumento di

sviluppo, coesione sociale e territoriale;

D. favorire il coordinamento e la comunicazione, al fine di coordinare e calibrare gli obiettivi

economici, ambientali e socioculturali ai diversi livelli organizzativi e istituzionali, informando anche il

pubblico e la società civile.

Tutti e 4 concorrono all’Obiettivo Generale:

incentivare la gestione forestale sostenibile al fine di tutelare il territorio, contenere il cambiamento

climatico, attivando e rafforzando la filiera forestale dalla sua base produttiva e garantendo, nel lungo

termine, la multifunzionalità e la diversità delle risorse forestali.

Le linee prioritarie per la ricerca forestale definite dalle Regioni

Di seguito vengono sinteticamente illustrati i contenuti della scheda delle priorità della ricerca individuate dal

Gruppo di Competenza Selvicoltura, Arboricoltura da legno, Prodotti forestali non legnosi.

Il GC si è attivato fin dall’inverno 2008-09 per una revisione approfondita delle Linee prioritarie per la ricerca

forestale, tenendo conto che:

- le priorità espresse nella consultazione 1998-99 tra le Regioni, preliminare al progetto Ri.Selv.Italia,

non avevano subito modifiche rilevanti nei successivi 10 anni;

- nuovi problemi e nuove esigenze di ricerca stavano emergendo dalla prima attuazione dei

Programmi di Sviluppo Rurale regionali PSR 2007-13.

Nell’impostare la revisione delle Linee prioritarie si è tenuto conto in particolare di due aspetti:

- i risultati e i suggerimenti emersi dal progetto di ricerca nazionale forestale Ri.Selv.Italia, oggetto di

approfondita valutazione da parte del GC durante il 2008;

- il fatto che l’obiettivo guida, definito dagli atti e accordi, stipulati a livello internazionale, comunitario e

nazionale, buon ultimo il PQSF, non potesse che essere la gestione forestale sostenibile.

Ciò premesso, operativamente, si è ritenuto opportuno distinguere la gestione sostenibile dei boschi dalla

gestione sostenibile delle piantagioni legnose fuori foresta.

Sono stati perciò definiti due ambiti principali: (1) pianificazione e gestione forestale sostenibile, (2)

piantagioni fuori foresta.

Per rendere più efficace l’individuazione delle azioni di ricerca, si è poi preferito esplicitare altri tre ambiti,

trasversali alla selvicoltura e all’arboricoltura da legno: (3) vivaistica forestale; (4) prodotti e servizi,

economia, mercato, societa'; (5) interazioni con le altre componenti dell’ ecosistema.

All’interno dei 5 ambiti sono stati poi individuati 19 temi, in alcuni casi ulteriormente dettagliati in sottotemi.

Al termine di un lavoro che ha coinvolto ben 18 Amministrazioni su 21, sono state esplicitate 62 azioni di

ricerca, raggruppate in corrispondenza a ciascun tema secondo le priorità espresse dalle Regioni.

Gli ambiti in cui le azioni di ricerca risultano più dettagliate e numerose sono: Piantagioni fuori foresta (in

particolare il nuovo tema Nuove foreste, fasce tampone boscate e sistemi verdi in pianura) e Pianificazione

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e gestione forestale sostenibile, staccato di poco l’ambito Prodotti e servizi, economia, mercato, societa',

nettamente più indietro Vivaistica forestale e Interazioni con le altre componenti dell’ ecosistema, ambiti che

comunque si è ritenuto opportuno mantenere distinti dai macroambiti dei boschi e dell’arboricoltura.

Scorrendo le 62 azioni di ricerca, si ritrova una stretta correlazione con le priorità (strutturali, di tutela e

conservazione, di presidio del territorio) individuate dal PQSF.

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SCHEDA N°9

SELVICOLTURA – ARBORICOLTURA DA LEGNO – PRODOTTI FORESTALI NON LEGNOSI

AMBITO AZIONI DI RICERCA

1) pianificazione e gestione forestale sostenibile

Pianificazione forestale e inventari

Monitoraggio delle risorse forestali: parametri e

metodologie comuni per gli inventari e per le indagini

sullo stoccaggio del Carbonio e su altri aspetti

ambientali

1. Ricerca sugli effetti della gestione forestale

sullo stoccaggio del Carbonio, confrontando

diverse modalità di gestione attiva e la libera

evoluzione.

2. Inventario nazionale di 3 ^ fase: metodi

applicativi comuni per utilizzo e integrazione a livello

regionale dei dati sugli stock di Carbonio.

3.Utilizzo di dati telerilevati (LIDAR, immagini

multispettrali da satellite, etc.) per la

caratterizzazione dei popolamenti forestali ai fini

gestionali, protocolli per inventari, pianificazione

forestale e mappaggio di danni.

4. Studio sulla realizzazione della carta dei disturbi

in foresta (incendi, danni abiotici, attacchi

parassitari) da integrare nei Piani di gestione

forestale, anche per monitorare gli impatti sul bilancio

del carbonio.

Linee guida di pianificazione forestale: sistemi e

metodi, anche per aree protette e siti Natura 2000

Individuazione di criteri e metodi comuni per la

pianificazione forestale territoriale o di area vasta,

come strumento interdisciplinare valido anche per le

proprietà private, collegato agli altri strumenti di

pianificazione territoriale.

Selvicoltura

Gestione di boschi in situazioni speciali 1. Deperimento dei querceti: studio delle dinamiche

e delle possibilità gestionali.

2.Gestione dei boschi di neo formazione su ex

coltivi in ambiente mediterraneo e su ex pascoli

in ambiente alpino.

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3.Metodi di gestione selvicolturale in aree

mediterranee vulnerabili.

4. Cedui invecchiati: studio delle dinamiche

evolutive e della gestione sostenibile al fine di

valorizzarne la multifunzionalità anche attraverso la

selvicoltura d'albero.

5. Gestione delle pinete di origine artificiale

orientata alla rinaturalizzazione.

Selvicoltura e manutenzione del territorio

(sistemazioni idraulico-forestali e ingegneria

naturalistica)

1. Valutazione della stabilità e della funzione di

protezione della copertura forestale, con particolare

riferimento ai cedui invecchiati di castagno.

2.Vegetazione riparia: valutazione della stabilità

meccanica e della funzione consolidante delle specie

riparie, con particolare riferimento alle Salicacee.

Selvicoltura per la prevenzione degli incendi boschivi

e ripristino delle superfici percorse da incendio

Metodologie e tecniche per la prevenzione incendi

e tecniche di ripristino post-incendio a minimo

costo.

Selvicoltura e paesaggio 1. Definizione di criteri comuni per l'individuazione e

gestione dei boschi e degli alberi di interesse

storico, culturale, spirituale e paesaggistico.

2.Istituzione di una rete nazionale di riserve

forestali.

Conservazione ed aumento della biodiversità Individuazione di parametri e indicatori per la

determinazione oggettiva del livello di

biodiversità specifica e strutturale dei popolamenti

forestali e per la valutazione quali-quantitativa

della necromassa.

Sistemi di lavoro in bosco

Sistemi di utilizzazione forestale e loro sostenibilità 1. Indicatori, metodi e sistemi di utilizzazione

sostenibile (con riferimento anche alla sicurezza

degli operatori e al mantenimento della funzionalità

ecosistemica) delle biomasse forestali a scopo

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energetico.

2. Definizione di standard ottimali di

meccanizzazione e della rete viaria per la

sostenibilità delle utilizzazioni.

2) piantagioni fuori foresta

Arboricoltura da legno e multifunzionale con

latifoglie di pregio

Nuove piantagioni: modelli colturali, ecologia, funzioni 1. Studio e sperimentazione di nuovi modelli

colturali finalizzati ai diversi ambienti (pianura,

collina, montagna) ed obiettivi (produzione legnosa,

ambiente, ecc.), e con specie con cicli di diversa

lunghezza.

2. Carte di vocazionalità/attitudine per tipologia di

impianto e specie.

Impianti esistenti: modelli per la gestione e il

recupero

Metodi e indicatori per il monitoraggio e la

valutazione, anche in riferimento agli assortimenti

legnosi ritraibili, e indicazioni per la gestione e il

recupero degli impianti.

Nuove foreste, fasce tampone boscate e sistemi

verdi in pianura

1. Studio di modelli selvicolturali multifunzionali,

con particolare riferimento alla funzione di tutela delle

acque

2. Individuazione di moduli colturali atti a diminuire il

livello di artificialità dei nuovi boschi e di metodi per

incrementare/valutare la biodiversità (floristica,

micologica, pedologica, faunistica) dei nuovi boschi di

pianura.

3. Ricerche sulla capacità fonoassorbente e di

captazione polveri delle bande boscate.

4. Criteri e linee guida per la creazione di corridoi

ecologici, mettendo in rete nuovi boschi e boschi

relitti preesistenti.

5. Creazione di modelli in cui si persegua anche la

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produzione legnosa di pregio assieme alle altre

funzioni richieste.

6.Realizzazione di modelli di impianto adatti per le

fasce fluviali.

Piantagioni legnose per biomasse a fine

energetico (SRF)

1. Indagine sulle vocazioni territoriali della coltura.

2.Individuazione di modelli logistico-organizzativi.

3. Sperimentazione di nuovi macchinari per la

raccolta della biomassa

Pioppicoltura Creazione di una rete di parcelle prova dei vari

cloni già registrati o in via di registrazione nei vari

ambiti regionali.

Piantagioni multifunzionali e cambiamenti

climatici

Realizzazione di impianti che garantiscano un miglior

adattamento al riscaldamento globale, impiegando

anche specie d'interesse economico (es. sughera,

cipresso).

Tema trasversale a tutte le tipologie di piantagioni:

Monitoraggio e inventari, compreso gli aspetti

ecologici, il bilancio energetico e del carbonio

nelle piante e nei suoli delle piantagioni

1. Creazione di una rete interregionale di impianti

sperimentali e dimostrativi, anche per la

valutazione dei prodotti e servizi ambientali,

economici e sociali, compreso lo stoccaggio del

carbonio.

2.Definizione di una metodologia inventariale

continua e comune a tutte le Regioni, in particolare

per il monitoraggio delle risorse pioppicole, al fine

di predisporre un Data base nazionale, svincolato dai

rilievi statistici periodici

3.Individuazione di criteri e metodi comuni per la

valutazione della qualità di piante in piedi e dei

potenziali assortimenti e per la valorizzazione dei

prodotti legnosi intermedi.

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4. Studio degli effetti sull'ambiente (acqua, suolo,

fauna, ecc.) delle diverse tipologie d’impianto a

confronto tra loro e con le colture agricole

tradizionali (es. mais).

5.Individuazione di pacciamature alternative al film

plastico tradizionale, sostenibili per costi e impatto

ambientale.

3) VIVAISTICA FORESTALE (ambito trasversale)

Conservazione della biodiversità in situ

(popolamenti da seme) e nelle successive fasi di

raccolta, trattamento del seme e produzione del

materiale di propagazione

1. Individuazione delle regioni di provenienza a

livello nazionale, anche tramite la caratterizzazione

genetica delle principali specie arboree e di alcune

arbustive di particolare interesse.

2. Realizzazione con criteri comuni di una rete

interregionale di arboreti da seme e di prove di

provenienza.

3. Linee guida comuni per la gestione dei boschi

da seme (disciplinari, piani di gestione forestale).

4. Metodologie di conservazione del seme e di

produzione vivaistica adeguate al mantenimento

della biodiversità intraspecifica.

Definizione di criteri e standard per la

qualificazione del materiale di moltiplicazione, in

relazione ai diversi tipi di impiego.

1. Messa a punto di linee guida per le principali

specie arboree finalizzate all'ottenimento di

materiale forestale di moltiplicazione con adeguati

requisiti morfologici, fisiologici e sanitari.

2. Selezione e valorizzazione di materiali forestali di

moltiplicazione per piantagioni a finalità

produttiva.

4) PRODOTTI E SERVIZI, ECONOMIA, MERCATO,

SOCIETA' (ambito trasversale)

Qualificazione e riconoscimento professionale

delle imprese forestali

1.Criteri e percorsi per omogeneizzare i diversi

sistemi di riconoscimento della professionalità

attivi a livello regionale (patentini e albi).

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2.Definizione giuridica e fiscale dell'impresa

forestale.

Metodi, parametri e indicatori per la valutazione

economica ed ambientale di interventi pubblici

(PSR in primis)

1. Definizione di linee guida condivise per la

realizzazione di prezzari.

2.Stima dei minori redditi e dei maggiori costi

della gestione sostenibile dei cedui rispetto alla

gestione tradizionale.

Qualificazione e quantificazione dei prodotti

legnosi dai boschi e dalle piantagioni,

miglioramento del mercato e monitoraggio delle

filiere

1. Studio di fattibilità territoriale per la creazione

di filiere corte di prodotti legnosi derivanti dalla

selvicoltura e dall'arboricoltura a ciclo medio-lungo,

per usi industriali e/o energetici.

2. Nuovi impieghi, prodotti e processi di

trasformazione del legno dalla selvicoltura e

dal'arboricoltura.

3. Realizzazione di osservatori del mercato del

legno (pioppo, legname da opera etc.) finalizzati ad

una maggiore trasparenza e migliore funzionamento

del mercato stesso.

4.Costituzione di banche dati regionali e

interregionali su ditte boschive e imprese di

trasformazione.

5. Classificazione, sistemi di marcatura,

tracciabilità geografica del legname con impiego di

metodologie analitiche.

6. Definizione dei profili prestazionali per il

legname di specie locali.

Funzioni non produttive degli ecosistemi

forestali

Ricerca applicata sulla valutazione economica dei

servizi ambientali e sociali forniti dal bosco alla

collettività con particolare riguardo a: protezione

acque e suoli, tutela della biodiversità, funzione

ricreativa. Definizione di un metodo di valutazione del

valore economico per alcuni gruppi di servizi.

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Prodotti forestali non legnosi (tartufi, funghi,

sughero, castagne, fauna selvatica, oli essenziali,

ecc.)

Valutazione economica e sostenibilità dell'utilizzo

dei boschi per produzioni non legnose

Utilizzo responsabile/sostenibile di prodotti

legnosi

1. Ricerca volta a individuare quali sono i punti di

forza e le debolezze del Green Public Procurement

e dei prodotti legnosi certificati in Italia.

2.Valorizzazione di prodotti legnosi locali

(es.quercia, castagno, robinia, larice) in sostituzione

di legname tropicale (soprattutto se di dubbia

provenienza) e di materiali ad alta intensità

energetica.

5) INTERAZIONI CON LE ALTRE COMPONENTI

DELL’ ECOSISTEMA (ambito trasversale)

Difesa dalle avversità biotiche 1. Adozione di un protocollo fitosanitario per aree

geografiche omogenee (alpina, appenninica,

mediterranea) di controllo, lotta e monitoraggio dei

principali organismi biotici dannosi, già presenti o

di probabile introduzione (es. specie esotiche

invasive di Heterobasidion, Phytophtora ramorum).

2. Riscaldamento globale: individuazione di scenari

di incremento degli organismi biotici dannosi e

definizione di strategie di contenimento dei danni.

Gestione sostenibile della fauna in rapporto alla

selvicoltura e all' arboricoltura da legno

1. Valutazione dei danni ecologici ed economici

dagli ungulati selvatici in bosco.

2.Interventi selvicolturali mirati al miglioramento

dell'habitat dei galliformi alpini.

3. Valutazione della sostenibilità dell'allevamento di

animali domestici in bosco.

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FRUTTICOLTURA

compreso agrumicoltura, fragola, piccoli frutti, frutta secca, castagno e valorizzazione tecnologica della frutta

Il comparto frutticolo costituisce uno dei settori più importanti a livello di produzione agroalimentare

nazionale. Benché il settore sia stato interessato, specie negli ultimi anni, da alterne situazioni di

profonda crisi che hanno riguardato diversi livelli della filiera, la superficie frutticola totale ammonta a più di

439 mila ettari, con una produzione complessiva di circa 7,2 milioni di tonnellate di prodotto

commercializzato per un valore totale superiore ai 2,5 miliardi di euro. (dati riferiti all’anno 2008). Per l’uva da

tavola la produzione interessa circa 70 mila ettari per un totale di 1,3 milioni tonnellate.

Per quanto concerne gli agrumi la superficie totale supera i 170 mila ettari e la produzione supera i 3,5

milioni di tonnellate per un valore totale superiore ad 1,2 miliardi di euro.

Nel complesso, nel 2008 sono stati prodotti circa 25,4 milioni di tonnellate di frutta, agrumi e uva da

tavola interessando una superficie superiore a 680 mila ha. La PLV dei prodotti frutticoli raggiunge nel

2007 i 11,3 milioni di euro, che rappresenta il 28% dell’intera PLV agricola.

Per il castagno si rileva un notevole calo delle produzioni, tanto che dal 2003 ci si attesta su produzioni

intorno a 550.000 quintali, per una superficie coltivata di circa 76.000 ha.

La fragola ricopre una superficie di circa 3600 ha di cui quasi l’80% in coltura protetta, con una produzione di

656.672 quintali.

I piccoli frutti (lampone, ribes, mora e mirtillo) rappresentano all’interno del panorama frutticolo italiano una

piccola, ma importante componente, sia per la quota attualmente rappresentata (circa 500 ha di superficie,

per una produzione di più di 30.000 quintali), sia per le prospettive di sviluppo.

Nell’anno 2007 i prezzi medi al dettaglio dell’ortofrutta sono cresciuti del 4% rispetto all’anno

precedente; la frutta ha registrato un aumento addirittura del 9% mentre per gli ortaggi è scesa lievemente (-

0,9%). Il confronto rispetto al 2000 evidenzia un aumento rispettivamente del 35% per la frutta e del 40% per

gli ortaggi.

L’andamento negativo dei consumi e la sempre maggiore concorrenza estera richiedono interventi

innovativi volti al rilancio del comparto frutticolo dal lato sia dell’offerta che della domanda.

Dal lato dell’offerta, si deve innanzitutto agire sul fronte della riduzione dei costi di produzione

attraverso l’adozione di tecniche colturali a più bassa intensità di input produttivi. Il maggiore

orientamento della produzione al mercato può essere agevolato con lo sviluppo di adeguate tecniche

per l’organizzazione aziendale nonché di specifiche tecniche commerciali e di marketing.

E’, inoltre, importante sostenere la riconversione varietale per le produzioni non adeguate alle

esigenze di mercato e le misure di lotta alle fitopatologie. La riconversione varietale è riveste

particolare importanza nelle aree non caratterizzate dalla presenza di un patrimonio genetico locale

che deve essere salvaguardato e per il quale devono essere avviate adeguate campagne di

valorizzazione.

Sempre ai fini di agevolare l’integrazione di filiera, è opportuno provvedere alla promozione di livelli

di efficienza dei sistemi distributivi e di trasporto agendo sull’ottimizzazione dei sistemi logistici,

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estremamente importanti nel caso della frutta, che implica la gestione dei prodotti freschi e l’utilizzo

della catena del freddo

Sulla domanda è possibile intervenire sviluppando azioni di valorizzazione alimentare e di promozione al

consumo, che esaltino la stagionalità, la sicurezza e la convenienza della merce italiana e gli effetti

positivi per la salute del consumo della frutta.

In relazione a quanto sopra indicato si sono individuati come prioritari i seguenti obiettivi e le azioni relative:

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SCHEDA N° 10 – FRUTTICOLTURA

compreso agrumicoltura, fragola, piccoli frutti, frutta secca, castagno e valorizzazione tecnologica della frutta

OBIETTIVO AZIONI

1) Incremento della qualità dei frutti (compresa

agrumicoltura, fragola, piccoli frutti, frutta secca,

castagno)

1.1 Miglioramento genetico delle varietà e dei

portinnesti per l’incremento della qualità globale e la

resistenza ad organismi nocivi animali e vegetali,

anche con interventi di tipo biotecnologico. (p. e.

Selezione assistita con impiego genomica, nel

rispetto della normativa vigente sullo stato sanitario,

mediante accertamenti sanitari ed eventuale

risanamento)

1.2 Completamento dell’attività relativa alle liste di

orientamento varietale dei fruttiferi (anche specie

minori e frutta secca) e dei portinnesti, attraverso

una maggiore concertazione col mondo produttivo e

nel rispetto della normativa vigente sullo stato

sanitario del materiale.

1.3 Messa a punto di protocolli diagnostici in grado

di intercettare i patogeni in modo rapido, semplice e

affidabile

2) Razionalizzazione dei metodi di difesa nel frutteto

e del vivaismo.

2.1 Studio e indagine su malattie infettive emergenti

causate da fitoplasmi, virus e batteri e messa a

punto di idonei mezzi di prevenzione/lotta a livello

interregionale

2.2 Studi sull’ottimizzazione e sull’adeguamento delle

diverse linee tecniche e strategie di difesa, in sintonia

con l’evolversi degli scenari di coltivazione, dei

cambiamenti del clima e della disponibilità di agro

farmaci a seguito della revisione comuniaria.

2.3 Studio sul potenziamento degli aspetti preventivi

di carattere agronomico e colturale, per ridurre

l’incidenza delle problematiche fitosanitarie (aumento

della biodiversità, razionalizzazione della nutrizione,

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varietà resistenti e/o tolleranti alle principali avversità,

ecc..).

2.2 Studio sulla validazione delle metodiche per gli

accertamenti sanitari e di corrispondenza varietale

per la certificazione delle produzioni vivaistiche a

livello nazionale.

2.3 Messa a punto di disciplinari per produzioni

vivaistiche di qualità anche per agricoltura biologica

3) Analisi dei sistemi di organizzazione aziendale

finalizzate al contenimento dei costi di produzione.

3.1 Definizione ed analisi dei punti critici dei costi di

produzione di impianti frutticoli e di gestione delle fasi

di post raccolta e di condizionamento nelle diverse

aree produttive nazionali

3.2 Studi per mettere a punto sinergici sistemi

produttivi frutticoli volti a aumentare la

diversificazione dell’impresa frutticola anche

mediante la trasformazione e la vendita diretta e

analisi della redditività degli investimenti necessari.

4) Valorizzazione delle produzioni frutticole e delle

loro caratteristiche alimentari e nutrizionali.

4.1 Innovazioni di prodotto e di processo nel settore

del consumo fresco e della trasformazione

industriale, con particolare riferimento ai prodotti

minimamente processati (es. IV gamma)

4.2 Caratterizzazione dei prodotti, dei componenti di

interesse nutrizionale e degli allergeni nelle strutture

dei tessuti vegetali (genetica, qualitativa,

nutrizionale, sanitaria).

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AGROBIODIVERSITA’ ANIMALE E VEGETALE IN ITALIA

Premessa

La Conferenza-Stato Regioni, in data 14 febbraio 2008, ha approvato il Piano Nazionale sulla Biodiversità di

interesse Agricolo, pubblicato sul sito del MiPAAF e attualmente in fase di attuazione.

Tale Piano risulta essere il primo piano nazionale sulla biodiversità che sia mai stato approvato in Italia ed

ha visto il concorso di tutte le Regioni e Province Autonome attraverso la Rete Interregionale per la Ricerca

Agraria, Forestale, Acquacoltura e Pesca e il MiPAAF tramite il CRA.

L’attività del Piano si è avviata con la costituzione del Comitato permanente delle risorse genetiche

(nominato dal MiPAAF su designazione della Conferenza dei Presidenti delle Regioni e Province Autonome)

ed ha operato a partire dal 24 marzo 2009. Il Comitato ha il compito di raccogliere la domanda di ricerca

emergente dal territorio e di convogliarla alle istituzioni scientifiche competenti, di favorire lo scambio di

esperienze e di informazioni per l’applicazione della normativa vigente, di assicurare uno sviluppo delle

azioni nazionali e regionali in linea con gli obiettivi del Piano Nazionale sulla Biodiversità, di concentrare le

domande e le proposte progettuali di intervento a livello locale e nazionale in materia, allo scopo informativo,

propositivo e se possibile di coordinamento delle azioni da realizzare, favorendo il trasferimento delle

informazioni agli operatori locali. Ciò in quanto si rende sempre più necessario un coordinamento delle

iniziative messe in atto dai diversi soggetti scientifici al fine di evitare la duplicazione delle iniziative e il

disperdersi di risorse economiche e umane su iniziative locali.

Il suddetto Comitato è così costituito:

 Blasi Giuseppe (MIPAAF) con funzioni di coordinamento;

 Russo Vincenzo (MIUR)

 Gomes Stefano (Ministero Ambiente e Tutela del Territorio e del Mare)

 Bianchi Alessandra Regione Lazio

 Cilardi Anna Maria Regione Puglia

 Soster Moreno Regione Piemonte

 Spartà Giuseppe Regione Siciliana

 Turchi Rita Regione Toscana

I punti salienti del Piano Nazionale sono:

 il concetto di biodiversità agricola o agrobiodiversità;

 la definizione di razze e varietà locali;

 l’individuazione di uno strumento a livello nazionale come l’Anagrafe delle razze e varietà locali che,

similmente a quanto avviene per i repertori o registri regionali, deve riportare la caratterizzazione

morfologica e ove possibile anche quella genetica delle varietà vegetali locali e razze animali

autoctone presenti sul territorio italiano; deve riportare inoltre il rapporto di esse con il territorio

(ricerca storico-documentale, interviste agli attori locali) volta a dimostrare il reale legame con esso

delle varietà locali regionali; l’Anagrafe ha lo scopo di creare un quadro informativo corretto per

impostare un altrettanto corretta tutela delle varietà e razze locali e delle azioni da intraprendere ad

essa legate sia a livello nazionale che regionale;

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 le priorità per una corretta tutela dell’agrobiodiversità dalle quali discendono i relativi obiettivi da

raggiungere nel triennio di attuazione del Piano, di seguito riportate (obiettivi già approvati in sede di

Comitato permanente delle risorse genetiche):

o definizione a livello nazionale degli strumenti operativi minimi, comuni e condivisi per la

ricerca e l'individuazione di varietà e razze locali, la loro caratterizzazione, la definizione del

rischio di erosione/estinzione e infine per la loro corretta conservazione "in situ", "on farm"

ed "ex situ", attraverso i seguenti obiettivi:

 l’individuazione dei descrittori comuni per specie per la caratterizzazione delle

varietà vegetali e delle razze-popolazioni animali locali;

 la definizione di una metodologia comune e condivisa per la ricerca e la

caratterizzazione delle varietà e razze-popolazioni locali al fine di permettere il

confronto dei dati e dei risultati, l’uso comune dei termini e degli strumenti utilizzati a

livello locale;

 la definizione delle linee guida per la corretta conservazione “in situ”, "on farm" ed

“ex situ” delle varietà vegetali locali;

 la definizione delle linee guida per la corretta conservazione “in situ”, "on farm" ed

“ex situ” delle razze-popolazioni animali locali;

 la definizione di rischio di estinzione e di erosione genetica, attraverso soglie o

criteri, per le principali specie vegetali del settore agricolo;

o realizzare progetti interregionali, volti essenzialmente all'applicazione degli strumenti

operativi definiti, per l'individuazione, la caratterizzazione, la valutazione e la conservazione

delle varietà e razze locali;

o l’attivazione dell’Anagrafe nazionale delle varietà e razze-popolazioni locali e del sistema

nazionale di tutela e valorizzazione della biodiversità di interesse agrario anche con progetti

interregionali.

In merito alla ricerca e sperimentazione, il Piano Nazionale sulla Biodioversità di interesse Agricolo prevede

quanto segue:

Risorse genetiche vegetali

È necessario proseguire e implementare le azioni già in atto al fine di conseguire l’obiettivo di

conservazione, caratterizzazione, valorizzazione e documentazione della biodiversità delle risorse genetiche

vegetali presenti, ai diversi livelli (privato e pubblico) anche mediante una capillare indagine conoscitiva sul

territorio, finalizzata alla raccolta mirata del materiale vegetale esistente, attraverso il coinvolgimento attivo

degli agricoltori mettendo in atto le seguenti azioni:

 rinnovamento, dove necessario, delle attuali collezioni di germoplasma attraverso

moltiplicazione, ri-collezione o ri-acquisizione del materiale da altre fonti;

 mantenimento della biodiversità delle diverse specie presenti;

 raccolta di materiale genetico e costituzione di collezioni di germoplasma specifiche per

 alcune specie (quali ad esempio arancio amaro, arancio dolce, limone)

 rilievi fenologici, morfo-fisiologici, produttivi, sanitari etc., sulle collezioni e correlazioni fra i

caratteri morfologici e fisiologici.

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 L’attività di valorizzazione prevista si incentrerà sulle seguenti azioni:

 predisposizione di cataloghi agronomici di interesse applicativo;

 avvio di prove agronomiche ‘regionali’ per la valutazione delle vecchie cultivar più interessanti

per un recupero produttivo e amatoriale.

Per le risorse genetiche vegetali, si rende inoltre necessario rivedere il sistema di conservazione delle

varietà locali, attualmente svolta prevalentemente “ex situ”, essendoci

concretamente l’impossibilità di conservare una risorsa genetica vegetale solo attraverso le

banche del germoplasma (CDB e Trattato FAO 2001). È pertanto necessario individuare nelle reti di

agricoltori delle comunità locali, il principale punto di forza della conservazione delle risorse genetiche. Tutto

questo va supportato dalla sperimentazione e attuazione di metodi di monitoraggio e di osservazione

continua dell’attività all’interno delle varie reti di agricoltori, svolta da parte dei soggetti scientifici responsabili

delle banche del germoplasma.

Risulta, anche, di fondamentale importanza che i soggetti scientifici che operano nell’ambito delle risorse

genetiche, mettano a disposizione degli Enti locali la loro esperienza, i loro laboratori per la caratterizzazione

genetica o molecolare delle varietà locali, qualora ve ne fosse necessità. Questo risulta di particolare

importanza in considerazione della possibilità di avviare con la nuova programmazione, solo alcune tipologie

di interventi per i quali si rendono necessarie azioni complementari e integrative.

Risorse genetiche microbiche

Lo studio della diversità microbica a partire dagli acidi nucleici direttamente estratti da suolo viene realizzato

utilizzando oligonucleotidi specifici per l'RNA ribosomiale e/o per geni (segmenti di DNA codificanti

polipeptide/i) codificanti funzioni metaboliche specifiche, capaci di rivelare un determinato gruppo di

microrganismi come pure di descrivere i rapporti tra le varie popolazioni delle comunità microbiche.

Risorse genetiche animali

Presupposto fondamentale per la conservazione del patrimonio genetico autoctono esistente è il

coinvolgimento dei singoli allevatori nelle azioni di recupero, conservazione e difesa delle popolazioni o

razze a rischio di scomparsa. Come precedentemente indicato, solo il coordinamento tra azioni di

conservazione “in situ” ,ed “ex situ” (incluso le tecniche di crioconservazione) è in grado di assicurare gli

obiettivi di salvaguardia delle risorse genetiche. La conservazione della diversità genetica si potrà ottenere

attraverso l’attuazione delle seguenti linee di azione:

 identificazione, studio e recupero di tutte le razze e le popolazioni autoctone, a rischio di estinzione,

presenti nelle aree marginali;

 studi di modelli di valorizzazione naturale ed ecologica di aree di allevamento altrimenti destinate

all’abbandono (terreni marginali montani o sub montani);

 attività di conservazione, collezione, documentazione, caratterizzazione, valutazione e utilizzazione

delle risorse genetiche vegetali necessarie per la conservazione delle suddette risorse;

 studi di modelli di valorizzazione delle produzioni derivanti dalle suddette razze e popolazioni.

Stato di attuazione del Piano Nazionale sulla Biodiversità di interesse Agricolo (PNBA).

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Il Comitato permanente per le risorse genetiche ha approvato un progetto di attuazione del PNBA, messo a

punto dal GC Biodiversità animale e vegetale della Rete Interregionale per la Ricerca Agraria, Forestale,

Acquacoltura e Pesca; il progetto prevede l’attuazione del PNBA in 3 fasi:

o fase A) condotta a livello nazionale direttamente dal MiPAAF con soggetti scientifici

attraverso la procedura del bando;

o fase B) condotta a livello regionale da ogni singola Region e P.A. sul proprio territorio;

o fase C) attivazione dell’Anagrafe nazionale delle varietà e razze-popolazioni locali e del

sistema nazionale di tutela e valorizzazione della biodiversità di interesse agrario.

Obiettivi FASE A:

o l’individuazione dei descrittori comuni per la caratterizzazione delle varietà e delle

razzepopolazioni locali;

o la definizione di una metodologia comune e condivisa per la caratterizzazione delle varietà e

razze-popolazioni locali al fine di permettere il confronto dei dati e dei risultati, l’uso comune

dei termini e degli strumenti utilizzati a livello locale;

o la definizione delle linee guida per la corretta conservazione “in situ” ed “ex situ” delle varietà

vegetali locali;

o la definizione delle linee guida per la corretta conservazione “in situ” ed “ex situ” delle razzepopolazioni

animali locali;

o la definizione di rischio di estizione o di erosione genetica, attraverso soglie o criteri, per le

principali specie vegetali del settore agricolo.

Obiettivi FASE B:

VEGETALI:

o valutazione da parte delle Regioni e P.A., delle varietà locali ad oggi individuate, al fine della

loro comune caratterizzazione e descrizione;

o valutazione da parte delle Regioni e P.A. del sistema di conservazione “in situ” ed “ex situ”

esistente e individuazione degli eventuali correttivi da apportare o delle iniziative da attivare.

ANIMALI:

o descrizione delle razze-popolazioni animali regionali (solo per quelle per le quali non è stato

attivato un libro genealogico o un registro anagrafico);

o valutazione del sistema di conservazione “in situ” ed “ex situ” esistente e individuazione dei

correttivi da apportare o delle iniziative da attivare.

Obiettivi FASE C:

o realizzazione dell’Anagrafe nazionale delle varietà e razze-popolazioni locali;

o attivazione del sistema nazionale di tutela delle biodiversità di interesse agrario;

o azioni di valorizzazione delle varietà e razze-popolazioni locali di interesse agricolo;

o comunicazione.

L’attuazione della FASE A del progetto di attuazione del PNBA è già avviata attraverso la costituzione di un

Gruppo di lavoro (GlBA) il cui coordinamento è stato affidato alla FAO nella persona del Dott. Mario Marino.

Per il mese di aprile sono attesi i primi risultati che verranno valutati in sede di Comitato.

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In tale contesto si inseriscono gli obiettivi e le azioni individuate dalle Regioni per la ricerca nel campo della

tutela dell’agrobiodiversità.

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SCHEDA N°11 – AGROBIODIVERSITA’ ANIMALE E VEGETALE IN ITALIA

1) Biodiversità animale

OBIETTIVO AZIONI

1. Migliorare la conoscenza della biodiversità

animale di interesse zootecnico, nei diversi

territori regionali ed interregionali.

1.1 indagine e inventario delle risorse genetiche

animali di interesse zootecnico ancora presenti sul

territorio allevate in situ (allevamenti),

1.2 indagine e inventario delle risorse genetiche

animali di interesse zootecnico ancora presenti sul

territorio allevate presso specifici centri (ex situ) o

conservate nelle banche del germoplasma;

1.3 individuazione del legame fra risorse genetiche

di interesse zootecnico e relativo territorio di origine;

2. Caratterizzare le risorse genetiche di interesse

zootecnico.

2.1 individuazione di criteri condivisi di descrizione e

caratterizzazione per gli aspetti morfologicifenotipici;

2.2 definizione dei criteri di tipizzazione genetica

delle razze e popolazioni e sviluppo di nuove

tecniche efficaci ed economicamente sostenibili per

la tipizzazione genetica attraverso analisi molecolare

DNA

3. Individuare le necessarie strategie di

conservazione. 3.2 definizione e messa a punto di linee guida e

protocolli operativi per la conservazione in situ, ex

situ , idonei per le diverse razze o popolazioni

considerate (ovini, bovini, avicoli, ecc.);

3.3 conservazione in situ ed on farm: organizzazione

di reti di allevatori “custodi” e di filiere produttive

ambientalmente ed economicamente sostenibili;

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3.5 tecniche di conservazione del germoplasma

animale (criobanche) e collegamenti fra le diverse

istituzioni coinvolte sul territorio nazionale;

3.6 pianificazione congiunta dei due precedenti

sistemi di conservazione attraverso la creazione di

network nazionali di conservazione: coinvolgimento

degli agricoltori, delle istituzioni locali e delle diverse

istituzioni scientifiche;

4. Valorizzare il patrimonio zootecnico autoctono. 4.1 valutazione dell'impiego razionale delle razze

autoctone in funzione del programma di

conservazione;

4.2 individuazione di biomarcatori per la

caratterizzazione dei prodotti derivati da razze

autoctone (latte, lana, carne) ai fini della tracciabilità

dei prodotti.

4.3 caratterizzazione della qualità dei prodotti e

promozione degli stessi in sintonia con il territorio di

produzione;

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2) Biodiversità vegetale

OBIETTIVO AZIONI

1. Individuazione di una metodologia comune che

permetta il confronto dei dati e dei risultati di

caratterizzazione e conservazione delle varietà

locali, compreso l'uso dei termini (es. varietà

locale e varietà da conservazione, agricoltore

custode, ecc.) e degli strumenti utilizzati

(descrittori).

1.1 - Definizione di varietà locale: caratteristiche

distintive rispetto alle varietà standard.

1.2 - Definizione di "rischio di estinzione" per specie

e per le più diffuse piante coltivate delle principali

varietà agrarie: individuazione di parametri di

riferimento nazionali.

1.3 - Definizione di un metodo comune per

l'individuazione e caratterizzazione delle varietà

locali

1.4 - Definizioni di standard qualitativi di riferimento

per le varietà locali e per la loro

commercializzazione.

1.5 - Individuazione di descrittori comuni per le

varietà locali, sia per le erbacee o da

"conservazione" (Dir. 98/95/CE, Dir. 2002/53/CE e

Dir. 2002/57/CE), sia per le fruttifere che per le

principali ornamentali e da fiore.

1.6 - Varietà da conservazione: individuazione delle

“adeguate restrizioni quantitative” (Direttiva

2002/53/CE Art. n° 20 comma 2, lettera b) alla luce

anche delle nuove normative comunitarie.

Osservazioni: riterremmo utile unificare i punti 1.1,

1.2, 1.4, e il punto 1.3 con 1.5. Riteniamo sia utile

mantenere il punto 1.6, come attività di ricerca!!!!!!

2. Caratterizzazione e valutazione delle

germoplasma vegetale

2.2 - Definizione di linee guida per la

caratterizzazione delle principali varietà locali: a)

caratterizzazione morfologica (attraverso l'utilizzo

dei descrittori comuni individuati al precedente punto

1.4); b) caratterizzazione agronomica, culturale,

storica, ecc.; c) caratterizzazione organolettica

(panel test delle principali specie).

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2.1 - Studio sull'utilizzo e sulle ricadute della

caratterizzazione genetica o molecolare delle varietà

locali, ai fini della conservazione della biodiversità e

della loro valorizzazione ed eventuale individuazione

delle tecniche e metodi più opportuni.

2.3 - Messa a punto di un metodo per il

monitoraggio delle varietà locali a rischio di

estinzione, ai fini della valutazione periodica del

rischio di estinzione.

3. Conservazione Conservazione "in situ":

3.1 - definizione di protocolli di gestione per la

conservazione "in situ" delle principali varietà locali.

Il punto 3.1 potrebbe già comprendere gli agricoltori

custodi, e comunque quello che comprendeva il

punto 3.2 non si può definire proprio attività di

ricerca.

Conservazione "ex situ":

3.3 - definizione di protocolli di gestione delle

banche del germoplasma e la definizione di una rete

di conservazione "ex situ" delle principali varietà

locali.

4. Valorizzazione Definizione dei parametri qualitativi (organolettici,

nutrizionali, ecc.) dei prodotti delle varietà locali

4.1 - Definizione di criteri per il mantenimento o

reintroduzione sul territorio delle varietà locali a

rischio di estinzione.

4.3 - Studio per la valorizzazione economica delle

varietà locali sia per i prodotti tal quali che

trasformati, sia per le sementi.

L’aspetto commerciale può essere già compreso nel

punto 4.3 (se si ritiene opportuno)

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AGRICOLTURA BIOLOGICA

Quadro generale del settore

L’agricoltura biologica con le sue pratiche colturali obbligatorie che vincolano l’attuazione di colture

cosiddette “sfruttatrici” ad altre che reintegrano la fertilità del terreno, è di fatto la prima attività agricola che

può fregiarsi dell’aggettivo “sostenibile”.

La superficie agricola biologica nazionale è destinata per oltre il 40% a coltivazioni foraggere, pascoli e prati

pascoli che alimentano un consistente numero di allevamenti zootecnici.

Gli impegni delle superfici agricole biologiche hanno raggiunto nel 2008 un milione di ettari pari all’8,9% della

SAU nazionale e la seconda estensione a livello europeo dopo la Spagna.

Il valore a livello italiano è dato dalla sommatoria delle situazioni regionali a sua volta da ascrivere

all’andamento dei contributi previsti dai differenti Piani di Sviluppo Regionale, non essendo in grado il

mercato di compensare i maggiori costi della tecnica agricola biologica.

La consistenza media delle aziende biologiche è nettamente superiore a quella convenzionale e la più bassa

età media dei titolari delle stesse mettono in risalto le potenzialità che il settore ha di resistere nel tempo

anche con ridotti contributi, producendo per un mercato che richiede sempre più tali produzioni.

Mercato

Il mercato dei prodotti biologici, da alcuni rilevato ancora come nicchia, è molto giovane, il Regolamento

CEE è del 1991, ed è stato caratterizzato da una offerta consistente del settore produttivo quasi

completamente rivolto all’esportazione che, solo negli ultimi anni, ha visto l’interesse del mercato nazionale e

più concretamente della G.D.O. e in parte del dettaglio specializzato.

La richiesta dei prodotti biologici, anche in questi ultimi anni di crisi, è in continua crescita sia nel mercato

nazionale che internazionale.

Un crescente interesse da parte del consumatore, che si esplicita in un suo coinvolgimento diretto nella

filiera corta, permette un futuro alle piccole aziende biologiche in prossimità dei centri urbani.

La quantità delle produzioni biologiche nazionali, certificate da una efficiente rete di Organismi di Controllo,

non è sufficiente a rifornire le richieste di prodotto biologico per le aziende di trasformazione, che arriva con

sempre maggior quantità ormai da tutto il mondo (Cina, Argentina, Nuova Zelanda, ecc.).

Questa tendenza ha portato all’abbassamento dei prezzi al consumo di alcuni prodotti biologici facilmente

conservabili, con maggiori difficoltà per le aziende italiane operanti nello stesso ambito produttivo (cereali e

trasformati) e con la necessità di differenziare le proprie produzioni attingendo al patrimonio culturale e

colturale locale.

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Dinamiche recenti e tendenze in atto

La recente normativa europea tendente a maggiori restrizioni nel settore fitosanitario e di impatto ambientale

pongono l’agricoltura biologica come battistrada e campo di prova per arrivare ad una maggiore sostenibilità

di tutta l’agricoltura nazionale.

In quest’ottica, considerando anche il nuovo quadro normativo europeo e nazionale, appare fondamentale

orientare la ricerca verso strategie di sviluppo che coinvolgono l’ambito tecnico, economico, territoriale e

sociale.

Si ritiene opportuno che l’orientamento della ricerca debba essere distinto fra produzioni zootecniche e

produzioni vegetali. Per le prime si prevede di approfondire gli aspetti legati alla salvaguardia della

Biodoversità, all’ottimizzazione della gestione agronomica delle superfici in funzione delle aziende

zootecniche, alle pratiche sanitarie terapeutiche e di profilassi. Per le seconde viene ritenuto indispensabile

indirizzarsi in maniera decisa verso forme di difesa fitosanitaria strategiche ed in sintonia con l’ambiente,

identificare varietà più specifiche che possano dare risultati soddisfacenti in agricoltura biologica, proseguire

ed approfondire studi per la valutazione di sistemi colturali in funzione della sostenibilità agronomica ed

economica.

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SCHEDA N° 12 – AGRICOLTURA BIOLOGICA

A) PRODUZIONI ZOOTECNICHE

OBIETTIVO AZIONI

1) Approfondimento degli aspetti genetici e

salvaguardia della biodiversità

1.1 Individuazione di nuovi criteri di selezione delle

razze.

1.2 Valutazione dell’impatto degli OGM e

coesistenza con l’agricoltura biologica.

2) Ottimizzazione della gestione agronomica

delle superfici in funzione dell’azienda

zootecnica

2.1 Approvvigionamento di alimenti energetici e

proteici (OGM free, rapporto concentrati e foraggi)

valutando anche gli aspetti economici

3) Orientamento alle pratiche sanitarie

(profilattiche e terapeutiche)

3.1 Preparazione di elenchi di principi attivi

utilizzabili.

3.2 Messa a punto di protocolli sanitari.

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B) PRODUZIONI VEGETALI

OBIETTIVO AZIONI

1) Ottimizzazione della difesa sanitaria 1.1 Riduzione dei dosaggi di rame e alternative ad

esso per il controllo delle diverse fitopatie e

fisiopatie;

1.2 Sperimentazione e ricerca per supportare lo

sviluppo e la registrazione di alcuni prodotti di

interesse strategico:

1.2.1 Per la frutticoltura le alternative al rame;

1.2.2 Per l’orticoltura utilizzo degli insetti predatori

e studio dell’equilibrio parassita predatore;

1.2.3 Per la viticoltura lotta contro la peronospora,

ed altre fitopatie;

1.2.4 Per la olivicoltura lotta alla mosca dell’olivo;

1.2.5 Per l’agrumicoltura lotta alle cocciniglie, agli

afidi e ai fillominatori

2) Identificazione delle varietà più idonee 2.1 Realizzazione di prove varietali per valutare

l’adattabilità delle varietà affermate e delle

nuove varietà idonee alla conduzione con

metodi biologici e per definire liste di

orientamento

3) Miglioramento della gestione del suolo 3.1 Approfondimento delle conoscenze sulla

fertilità del suolo (cicli di sostanza organica,

equilibri di microrganismi) in funzione delle diverse

pratiche di gestione del suolo (inerbimenti, sovesci,

controllo delle malerbe, dinamica dei nutrienti e

messa a punto di efficaci linee tecniche di

nutrizione) in zone con caratteristiche

pedoclimatiche diverse.

3.1 Valutazione di sistemi colturali in funzione

della sostenibilità agronomica ed economica.

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CEREALICOLTURA

I principali cereali coltivati in Italia sono mais, riso, frumento duro, frumento tenero ed orzo.

Complessivamente rappresentano una superficie di 3,9 milioni di ettari (ISTAT 2007), vale a dire oltre il 60%

del totale dei seminativi in Italia, con una distribuzione relativa equilibrata nelle tre grandi ripartizioni

territoriali (Nord, Centro e Sud), a conferma del ruolo fondamentale di presidio del territorio. Con una PLV

pari a 4.250 milioni di euro (fonte ISTAT 2007), i cereali sono alla base delle nostre filiere agroalimentari più

qualificate e consistenti dal punto di vista economico. I prodotti derivati dai cereali costituiscono la base della

cosiddetta “dieta mediterranea”, tanto apprezzata a livello internazionale, e contribuiscono in modo

determinante all’immagine del made in Italy in tutto il mondo.

Si tratta di un complesso sistema produttivo che risente, in genere, di una strutturazione piuttosto debole.

Questa condizione, in un mercato sempre più internazionale, le cui fluttuazioni sono sempre meno

controllabili con politiche di sostegno comunitarie e/o nazionali, sta causando una perdita di competitività

allarmante, dati i ridotti margini di redditività delle aziende cerealicole nel 2008 e, soprattutto, 2009.

Di seguito si fornisce una sintetica analisi per ciascuna specie:

MAIS: l’Italia è il primo utilizzatore e il secondo produttore di mais europeo, con oltre 1,260 milioni di

ettari (fonte INEA 2008) e 9,5 milioni di tonnellate di granella destinati per oltre il 90% alla

produzione zootecnica; nel corso del 2009 si è assistito ad una ulteriore contrazione delle superfici

di oltre il 20%. La coltivazione del mais si sviluppa in prevalenza nelle regioni del bacino padano

(circa l’89% delle superfici e il 91,2% della produzione), in cui raggiunge livelli di specializzazione

molto elevati: le rese unitarie negli ambienti più favorevoli sono tra le più alte e competitive a livello

internazionale. La produzione di mais ha supportato, in questo stesso bacino, lo sviluppo di una

zootecnia altamente produttiva. La redditività della coltura risente della crescente competizione a

livello internazionale rappresentata da Paesi quali l’Ungheria (31% nel 2007), la Romania e il

Brasile, i cui costi di produzione sono nettamente inferiori ai nostri e da una caduta dei prezzi a

livello internazionale per un aumento consistente dell’offerta.

La maidicoltura presenta un rilevante quadro di criticità, le più attuali delle quali sono da ricondurre

ad elementi agronomico-produttivo (stabilizzazione delle rese, ridefinizione delle tecniche irrigue,

costi di produzione elevati ecc.) e a crescenti vincoli di natura sanitaria e agro-ambientale

(applicazione della “Direttiva Nitrati”, lotta alla diabrotica, regolamentazione europea sulla

presenza di contaminanti quali ad es. le micotossine) .

FRUMENTO DURO: L’Italia è il primo produttore europeo di frumento duro e il secondo a livello

mondiale. Gli ettari investiti nel corso 2008 sono stati circa 1,58 milioni con circa 5,1 milioni di

tonnellate prodotte e un valore medio annuo della produzione ai prezzi correnti di quasi 1,5 milioni

di euro, pari al 25,5% del comparto cerealicolo. La produzione si concentra in prevalenza al Sud

Italia, in misura minore al Centro (oltre il 28% della produzione sul 22% delle superfici) e

comunque in distretti produttivi ad elevata vocazione. Negli ultimi anni si è assistito a una ripresa

della produzione anche nel Nord Italia. La produzione di frumento duro è destinata

all’alimentazione umana, in particolare alle paste alimentari. Anche per questo cereale si pone un

problema di approvvigionamento: oltre 2 milioni di tonnellate devono essere annualmente

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importate dall’estero per soddisfare il fabbisogno dei trasformatori. La filiera del frumento duro è

caratterizzata da alcune debolezze quali la polverizzazione produttiva, una diminuita attenzione

alla qualità nelle fasi di coltivazione a causa della contrazione della redditività, lo scarso livello

organizzativo nella concentrazione dell’offerta, la scarsa omogeneità del prodotto stoccato e una

scarsa differenziazione delle partite.

FRUMENTO TENERO: nel 2008 le superfici a grano tenero si attestano su poco meno di 700.000

ha con una produzione di circa 3,7 milioni di tonnellate. Questa coltura, come l’orzo, si è

avvantaggiata dell’applicazione del disaccoppiamento, che ha favorito una stabilizzazione o un

lieve aumento delle superfici investite. La coltivazione del frumento tenero è diffusa

essenzialmente al Nord (66% delle superfici e 73% del prodotto), in Emilia Romagna in particolare,

e in misura minore al Centro Italia (26% delle superfici e 22% del prodotto). L’approvvigionamento

nazionale è fortemente deficitario: importiamo il 60% del frumento tenero utilizzato dall’industria di

trasformazione. L’importazione è in buona parte di origine comunitaria, soprattutto per le qualità

più elevate. La destinazione prevalente di questo cereale è per l’alimentazione umana, in

particolare per la panificazione (66,8%) e per i prodotti dolciari (12,4%). Una parte (16,3%) ha

destinazione mangimistica. Per questa coltura alcuni nodi strutturali penalizzano fortemente la

produzione nazionale: offerta indifferenziata (per i diversi profili qualitativi), scarsa organizzazione

della filiera, buoni livelli di specializzazione produttiva solo in pochi areali, miglioramento genetico

da incrementare.

ORZO: la superficie investita a questo cereale nel 2008 si attesta sui 325.000 ha e ha confermando

una certa stabilità a seguito dell’entrata in vigore del disaccoppiamento. In particolare, nelle regioni

meridionali, ha conquistato parte degli spazi liberati dal frumento duro grazie ai minori costi di

produzione e alle caratteristiche di rusticità e capacità di adattamento agli ambienti marginali

superiori a quelle di frumento tenero e mais. A differenza degli altri cereali, la coltura è distribuita in

tutta la penisola con una prevalenza delle superfici al Sud Italia. La produzione di orzo italiana è

pari a circa 1,2 milioni di tonnellate prodotte per il 45% al Nord (che vanta rese unitarie quasi

doppie rispetto al mezzogiorno); oltre il 50% dell’orzo utilizzato in Italia è di provenienza estera, in

prevalenza dall’est Europa. La principale destinazione (86%) è costituita dall’alimentazione

animale, seguita dagli usi industriali (produzione di malto).

RISO: L’Italia è il principale paese produttore di riso della Comunità Europea, con una superficie

coltivata di 224 mila ha nel 2008 (Fonte INEA) e una produzione di 1.460.000 tonnellate di risone,

pari ad oltre il 50% della produzione comunitaria. La produzione di risone si concentra in massima

parte in due regioni (Lombardia e Piemonte) e la produzione di riso da seme vede la Sardegna

come protagonista. Il valore della produzione che si aggira sui 450 milioni di euro: in termini

economici, il riso rappresenta il 9% del valore della produzione cerealicola italiana. L’allargamento

ai nuovi 10 paesi ha determinato un cambiamento nel rapporto tra domanda e offerta: anche nel

2008/2009 si è assistito ad un incremento delle vendite.

88/98

Pur con le diverse specificità, per tutti i cereali diventa fondamentale consolidare il livello di

approvvigionamento nazionale per non incidere ulteriormente sul già pesante deficit del settore

agroalimentare italiano, per favorire le importanti filiere agroalimentari di riferimento e per mantenere quel

presidio del territorio che da sempre la cerealicoltura ha garantito. L’obiettivo deve essere perseguito in uno

scenario economico non favorevole (caduta dei prezzi, aumento del costo di alcuni mezzi tecnici,

allargamento dell’Unione Europea a paesi produttori di cereali ecc.) e tenendo conto di una debolezza

strutturale del comparto cerealicolo (offerta disaggregata e poco organizzata a formare prodotti omogenei e

differenziati in funzione delle richieste della trasformazione, mancanza di contratti tipo di riferimento adeguati

alle nuove esigenze, mancanza di integrazione di filiera ecc.).

In questo contesto la ricerca e l’innovazione contribuire a:

 migliorare l’efficienza produttiva ed economica delle colture cerealicole nel rispetto delle

“condizionalità” imposte ai moderni sistemi agricoli (es. conservazione e protezione delle risorse non

rinnovabili, gestione dei patogeni con strategie rispettose dell’ambiente ecc.);

 favorire la differenziazione della tipologia di prodotto sulla base delle richieste della trasformazione in

termini di caratteristiche intrinseche e di “processo” (qualità d’uso, preferenze del consumatore) o di

rispondenza ad una sempre più stringente regolamentazione in materia di sicurezza alimentare (es.

limiti europei per le micotossine ed altri contaminanti);

 supportare, negli aspetti tecnologici, il processo di riorganizzazione e di integrazione delle diverse

filiere;

 migliorare la sostenibilità economica e ambientale dei sistemi colturali caratterizzati dalla presenza di

colture cerealicole.

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SCHEDA N° 13 – CEREALICOLTURA

OBBIETTIVI AZIONI

1. Individuazione e sviluppo di efficienti sistemi

colturali cerealicoli per migliorare la sostenibilità

economica, energetica e ambientale e la

rispondenza delle produzioni a requisiti di qualità e

salubrità

1.1 Miglioramento genetico “in loco” (con metodiche

tradizionali e derivate da applicazioni della

genomica) per la costituzione di varietà:

Adattabili a differenti sistemi colturali e ambienti di

coltivazione (agricoltura intensiva, agricolture low

input, biologica ecc.);

Con resistenze ad avversità e stress climatici

(patogeni, parassiti e ambienti estremi di coltura

estremi);

Con caratteristiche qualitative rispondenti alle

esigenze delle diverse filiere di trasformazione e

consumo ( contenuto proteico, produzioni tipiche,

speciali ecc.);

1.2 Messa a punto di idonei sistemi di valutazione

del comportamento differenziale delle varietà in

funzione dell'ambiente, del sistema colturale e

dell'utilizzo;

1.3 Individuazione di nuove tecnologie e nuovi

supporti decisionali per sistemi produttivi integrati

(aziendali e per bacini produttivi) che favoriscano:

Conservazione e protezione della risorsa suolo;

Conservazione e protezione delle risorse idriche;

Uso efficiente in termini ambientali ed economici dei

fattori di produzione (lavorazione terreno,

concimazioni, presidi fitosanitari ecc.) con

particolare riguardo a quelli provenienti da risorse

non rinnovabili;

Gestione delle popolazione patogene e parassite

attraverso strategie rispettose dell'ambiente anche

con l’utilizzo di modelli di previsione

1.4 Individuazione/confronto di percorsi colturali

caratterizzati da diversi livelli di intensificazione

colturale e/o dall’introduzione di colture alternative

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ai sistemi cerealicoli tradizionali

2. Miglioramento della qualità e della sicurezza

d’uso delle produzioni cerealicole per rispondere

alle esigenze dei consumatori, aumentare la

collocabilità delle partite e creare nuovi sbocchi di

mercato

2.1 Individuazione di nuovi parametri qualitativi e/o

precisazione di quelli già impiegati per la

classificazione delle partite di cereali (incluse le

produzioni speciali)

2.2 Messa a punto di metodiche di rapida

esecuzione per la caratterizzazione qualitativa dei

cereali

2.3 Sviluppo di procedure per la caratterizzazione,

la formazione ed il mantenimento di partite/lotti

omogenei e per la certificazione di processo e di

prodotto (tracciabilità, razionalizzazione dei sistemi

di stoccaggio)

2.4 Individuazione di nuovi prodotti, nuovi processi

produttivi e nuovi impieghi;

2.5 Individuazione e caratterizzazione delle

componenti funzionali dei cereali e loro contributo

alla salute umana.

2.6 Individuazione/precisazione di parametri relativi

alle caratteristiche igienico sanitarie delle partite;

2.7 Messa a punto e/o precisazione di modelli

previsionali e di monitoraggio delle rese e degli

aspetti qualitativi (inclusi i contaminanti).

2.8 Messa a punto di metodi di indagine e di criteri

standard di valutazione dell’efficienza dei centri di

stoccaggio

3. Razionalizzazione dell’uso dell’acqua irrigua Messa a punto di sistemi irrigui che consentano

l’ottimizzazione dell’efficienza e la riduzione dei

costi di irrigazione

3. Razionalizzazione dell’uso dell’acqua irrigua Messa a punto di sistemi irrigui che consentano

l’ottimizzazione dell’efficienza e la riduzione dei

costi di irrigazione

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AGRICOLTURA E AMBIENTE

In conseguenza delle evidenti alterazioni nello stato dell’ambiente i più recenti indirizzi di politica agricola

stanno attribuendo un crescente rilievo all'integrazione delle problematiche ambientali nella normativa che

disciplina la PAC e allo sviluppo di pratiche colturali che consentano di conservare l'ambiente e

salvaguardare il paesaggio.

Di fatto, numerose risultano le problematiche ambientali ritenute prioritarie a livello comunitario

(http://www.eea.europa.eu/it/themes), tra cui vanno indubbiamente annoverati il cambiamento climatico

globale, l’inquinamento delle acque e del suolo, gli effetti conseguenti alla perdita di biodiversità, la riduzione

di disponibilità idrica, la tutela della salute umana dipendente dalla qualità ambientale.

Allo stesso tempo nel corso degli ultimi anni il mondo agricolo nel suo complesso, nell’ambito della sfida

connessa alla globalizzazione del mercato mondiale, si trova a dover gestire una fase di adeguamento alle

politiche di sviluppo del settore e si trova nella necessità di disporre di strategie a supporto non soltanto degli

aspetti connessi ai diversi processi produttivi, ma anche di soluzioni innovative per diversificare il ventaglio di

attività da poter condurre sul territorio.

Si va sempre più affermando la convinzione che l’azienda agricola e agro-forestale infatti potrà uscire dalla

situazione di crisi economica che il comparto agricolo sta attraversando non soltanto puntando alla qualità

delle produzioni, ma interpretando un ruolo sempre più attivo nella salvaguardia del territorio, nel riequilibrio

ambientale nel ripristino e nella protezione della biodiversità, nella tutela del paesaggio, nella difesa

idrogeologica, nell’offerta ricreativa, nella produzione di materie prime utilizzabili anche per la produzione di

energia e la realizzazione di prodotti di tipo innovativo, quali biolubrificanti, fibre e coloranti naturali,

biopolimeri, ecc) e, non ultimo, nella valorizzazione delle nostre tradizioni culturali e dei saperi legati al

mondo rurale.

In tal senso sta assumendo un crescente rilievo il ruolo multifunzionale delle imprese agro-forestali, come

modello organizzativo per creare una proficua sinergia tra potenzialità produttive e quelle di gestione e

manutenzione del territorio, che potrebbe permettere una valorizzazione del contesto ambientale e culturale

e garantire all’impresa agricola una possibilità alternativa di permanenza nel contesto produttivo .

I Piani di Sviluppo Rurale 2007-2013 delle diverse regioni evidenziano a questo proposito, oltre che la

necessità per le aziende di un loro consolidamento nei confronti dei mercati agricoli, favorendo gli

investimenti tecnologici e fondiari, anche la necessità di un adeguamento finalizzato allo svolgimento di altre

importanti funzioni e attività, che possano consentire alle imprese di aumentare il reddito prodotto ed

incrementare il loro collegamento con il territorio. Parallelamente agli obiettivi specifici relativi al

miglioramento della competitività del settore agricolo e forestale, da realizzare attraverso l'ammodernamento

e l'innovazione delle imprese, i PSR prevedono una serie di misure finalizzate all’utilizzo sostenibile delle

aree rurali e forestali, in particolare per la conservazione della biodiversità e del suo ruolo funzionale, la

tutela qualitativa e quantitativa delle risorse idriche superficiali e profonde, la riduzione dei gas serra, la

conservazione e miglioramento del paesaggio, il contenimento dell’erosione ed il mantenimento della

sostanza organica dei suoli.

Diventa quindi fondamentale il ruolo della ricerca nel fornire strategie e risposte da proporre al settore

agricolo e agro-forestale, che si trova ad affrontare in questo momento una situazione piuttosto critica e

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complessa, che porterà indubbiamente ad un profondo cambiamento del ruolo dell’azienda agricola non

soltanto nel contesto rurale ed economico, ma nell’ambito dell’intero panorama socio-culturale.

In relazione a tali presupposti, nell’ambito del gruppo specifico ‘Agricoltura e Ambiente’, appare opportuno

orientare gli obiettivi della ricerca agraria per il triennio 2010-2012 alla gestione sostenibile delle risorse

naturali e alla definizione di modelli organizzativi mirati al consolidamento del ruolo multifunzionale

dell’azienda agraria, nel quadro di uno sviluppo integrato dell’economia delle aree rurali.

La salvaguardia delle risorse idriche, il mantenimento della fertilità dei suoli, la prevenzione del dissesto idrogeologico,

la tutela del paesaggio agrario e agro-silvo pastorale, la conservazione della biodiversità e del

suo ruolo funzionale, il mantenimento della funzionalità degli ecosistemi agrari e forestali, l'adozione di

pratiche agro-forestali che limitino gli impatti sui cicli biogeochimici del carbonio e dell'azoto, l’utilizzazione

agronomica di reflui agricoli rappresentano gli argomenti di maggiore interesse per le regioni italiane, al fine

di supportare il processo di adeguamento che il mondo agricolo è chiamato a compiere, per rendere

compatibile l’attività agricola con la tutela ambientale e la salute.

La ricognizione dei progetti e delle attività di studio condotte dal mondo scientifico evidenziano che la ricerca

agronomica ha spostato il centro di interesse dal risultato produttivo delle colture, che pure resta un

imprescindibile obiettivo economico, alla valutazione della sostenibilità dei sistemi colturali, sia in termini

ambientali che in termini di qualità globale delle produzioni e del territorio. La valutazione della sostenibilità

ambientale di sistemi aziendali in agricoltura biologica ed integrata, l’analisi paesaggistica dei modelli

produttivi, la caratterizzazione qualitativa delle produzioni, la garanzia della sicurezza alimentare, la tutela

delle acque dal rischio di inquinamento da nitrati di origine agricola, lo studio di tecniche colturali che

consentono di salvaguardare la fertilità del suolo agricolo e la protezione di quello forestale, la

sperimentazione di nuove filiere produttive, la simulazione degli effetti delle pratiche colturali e della possibile

evoluzione nel tempo del paesaggio agricolo e naturale in diversi scenari di cambiamento climatico, la

dinamica del carbonio e dell'azoto negli ecosistemi agro-forestali rappresentano indubbiamente temi di

evidente rilievo.

L’importanza di rendere disponibili le informazioni relative alla grandi macro aree della sostenibilità

ambientale, della salvaguardia delle risorse naturali, della multifunzionalità dell’azienda agraria, pone

l’esigenza di compiere un sforzo coordinato per realizzare un’ azione più incisiva di trasferimento al fine di

consentire al mondo tecnico e produttivo un migliore accesso ai risultati della ricerca.

La scheda elaborata dal gruppo di competenza “Agricoltura e Ambiente” ha individuato una serie di azioni e

di approfondimenti conoscitivi su aspetti relativi alle interazioni tra attività agricola e ambiente di

fondamentale importanza, da realizzare secondo diverse dimensioni di scala (azienda, territorio, regione,

sistema agricolo e forestale), che sono state primariamente aggregate in relazione a quattro macro-obiettivi:

 gestione sostenibile delle risorse e sistemi innovativi di valutazione della funzionalità

ecosistemica;

 gestione sostenibile delle aziende agricole e agro-forestali

 sostenibilità socio-economica dell’attività agricola e forestale

 sostenibilità sociale dell’attività agricola e agro-forestale

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Per quanto riguarda i contenuti specifici delle singole azioni, le attività di ricerca proposte focalizzano la

necessità e la priorità di un approfondimento di alcuni rilevanti temi, di seguito esplicitati, che trovano

rispondenza nella scheda attraverso una serie di parole chiave, evidenziate in corsivo :

Agricoltura e paesaggio: applicazione di tecniche agricole e forestali compatibili con la tutela del paesaggio

dei territori rurali e la prevenzione del dissesto-idrologeologico; utilizzo di sistemi innovativi di valutazione

integrata delle interazioni ecologiche tra ecosistemi agricoli ed ecosistemi naturali;

Mantenimento e ripristino della fertilità dei suoli: individuazione di strategie per la protezione del suolo

dall'erosione, il mantenimento della sostanza organica e della struttura nel suolo;

Cambiamenti climatici: diffusione di pratiche colturali idonee a limitare le emissioni di gas serra e

l’incremento dell’accumulo di carbonio nei terreni; valutazione degli effetti dei cambiamenti climatici sulla

qualità e quantità della produzione agricola; ; adozione di pratiche selvicolturali volte alla conservazione degli

"stocks" di carbonio immagazzinati nella biomassa e nel suolo forestale;

Tutela quantitativa delle risorse idriche: miglioramento dello stato delle infrastrutture di irrigazione e

promozione di tecniche di distribuzione e di gestione dell’irrigazione più efficienti, allo scopo di contenere i

volumi di acqua impiegati ad uso irriguo;

Tutela qualitativa delle risorse idriche: applicazione di strategie per la corretta applicazione della Direttiva

Nitrati e delle altre norme sulla eco-condizionalità;

Agricoltura e salubrità delle produzioni: diffusione di pratiche colturali che minimizzano l'impatto negativo

sull'ambiente e sulle produzioni dei fertilizzanti e dei fitofarmaci;

Agricoltura e biodiversità: interventi per la conservazione della diversità biologica negli ecosistemi agrari,

peri-agrari ed aree marginali, con valutazione degli effetti sulla funzionalità ecosistemica;

Produzione di energia: analisi delle potenzialità produttive di fonti energetiche ecocompatibili;

Fitodepurazione e riuso: sviluppo di metodologie per l’utilizzazione di reflui e di sottoprodotti agroindustriali;

Ruolo multifunzionale dell’azienda agricola dell'azienda agro-forestale e dei territori rurali: sviluppo di

una economia integrata basata su modelli sostenibili e polifunzionali;

Valutazione dei servizi eco-sistemici e dei benefici della biodiversità in termini socio-economici e

sanitari.

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SCHEDA N° 14 – AGRICOLTURA E AMBIENTE

OBIETTIVO AZIONI

1) Gestione sostenibile delle risorse: acqua, suolo,

biorisorse, territorio, energia.

1.1 Studi comparati su sistemi agricoli

convenzionali, integrati e biologici per individuare

modelli aggiornati di gestione degli ecosistemi.

1.2 Studi sulla vulnerabilità del territorio e

definizione di tecniche per la prevenzione del

dissesto idro-geologico mediante modelli d

sistemazioni idraulico-agrarie e forestali, di

ingegneria naturalistica e di gestione agricola e

forestale.

1.3 Studi sul rapporto tra agricoltura e tutela delle

acque al fine di individuare efficaci strategie, sistemi,

metodi per: a) migliorare l’efficienza d’uso dell’acqua

per scopi agricoli, prevedendo anche il riutilizzo di

reflui zootecnici e dell’industria agroalimentare, e di

acque non convenzionali (tutela quantitativa della

risorsa acqua); b) verificare le dinamiche di

inquinanti di origine agricola sulle acque superficiali

e profonde (tutela qualitativa.

1.4 Messa a punto di linee guida per la gestione

dell’attività agricola in aree vulnerabili, (applicazione

direttiva nitrati, ecocondizionalità, ecc ).

1.5 Definizione di linee guida per il mantenimento

e/o ripristino della fertilità dei suoli, in particolare

quelli più degradati o dismessi dall’attività agricola,

per la conservazione della diversità biologica e per

la corretta gestione di coperture vegetali a scopo

protettivo, ornamentale, ricreativo e sportivo

nell’ottica del ruolo multifunzionale del territorio

agro-forestale.

1.6 Definizione e applicazione di strumenti e modelli

basati su tecnologie innovative (Wireless sensor

95/98

network, Telerilevamento, Interpretazione foto

aeree, GIS, Cartografia tematica, agricoltura di

precisione) per la gestione dell’ecosistema agroforestale,

l’ individuazione e la zonizzazione di aree

con diverse caratteristiche pedo-climatiche, diversa

destinazione d’uso e grado di vulnerabilità

ambientale e lo sviluppo di cartografie tematiche e di

modelli interpretativi delle interazioni

agricoltura/ambiente.

1.7 Studio a livello regionale delle più gravi tipologie

di manomissione del paesaggio e definizione di

strumenti e modelli di ripristino del paesaggio rurale

e della vegetazione.

1.8 Valutazione delle interazioni ecologiche tra

ecosistemi agrari, peri-agrari e naturali mediante

studio di bioindicatori di salute ambientale

(interazione ospite-parassita) e dell’effetto nodo di

attrazione/elusione-barriera/corridoio rispetto alle

comunità animali (funzionalità delle interazioni

ecosistemiche).

1.9 Messa a punto di tecniche innovative per la

gestione di aree agricole e forestali degradate a

seguito di scelte tecniche inadeguate, forte carico di

bestiame, abbandono e danni da incendi.

1.10 Studi volti al ripristino e al mantenimento di

biotopi e di zone umide.

1.11 Sperimentazione di sistemi di fitodepurazione

in ambienti planiziali attraverso la realizzazione di

fasce e zone tampone forestali multifunzionali

(fitodepurazione diffusa) o di zone umide artificiali

(fitodepurazione localizzata), con duplice funzione

(depurazione acqua ed incremento della

biodiversità), e di sistemi che integrano i due

modelli di fitodepurazione.

1.12 Progettazione e valutazione tecnico96/

98

economica di iniziative volte a mantenere o

ripristinare un uso conservativo (sfalcio, pascolo,

ec.) di prati aridi seminaturali in ambienti

agroforestali collinari, allo scopo di tutelare la

biodiversità.

1.13 Analisi tecnico-economica ed ambientale

relativa a diversi tipi di impianti di arboricoltura

produttiva, finalizzati all’incremento della

sostenibilità dell’impresa agricola e alla tutela della

biodiversità.

1.14 Valutazione dell’influenza dell’introduzione di

sistemi forestali nell’ambito del sistema agricolo

(boschi e boschetti di nuovo impianto, arboreti da

legno, siepi a varia funzionalità) sull’incremento della

biodiversità e sull’economia aziendale.

1.15 Messa a punto di tecniche colturali e

selvicolturali per il contenimento delle emissioni di

gas serra e l’accumulo di carbonio nei suoli agrari e

forestali

1.16 Studio degli effetti dell’aumento della

temperatura sull’agricoltura ed in particolare sulla

quantità e qualità della produzione agricola, in

relazione a diversi scenari di emissione di CO2.

1.17 Biodiversità genetica e strumenti bio-molecolari

avanzati di valutazione della funzionalità e integrità

dei sistemi agrari.

2) Gestione sostenibile delle aziende agricole e agroforestali

2.1 Sviluppo di tecnologie innovative di produzione

basate sull’utilizzazione di reflui agricoli,

agroindustriali, industriali, urbani, per il

miglioramento della fertilità del suolo, l’oculata

gestione della risorsa idrica e permettano di ottenere

prodotti ad alto valore aggiunto, grazie ad una

efficace valorizzazione industriale

2.2 Studi per la caratterizzazione dei materiali di

uscita da biodigestori anaerobici.

97/98

2.3 Studi per la realizzazione di aziende pilota (

villaggio-oasi) basati su modelli produttivi sostenibili

e polifunzionali ( diversificazione dei prodotti e dei

servizi offerti ).

2.4 Messa a punto di tecniche per il riciclaggio di

materiali plastici impiegati nelle aree con

coltivazione di serra.

2.5 Analisi integrata dei sistemi energetici delle

aziende agricole e agro-forestali: consumi e

potenzialità produttive da fonti energetiche

ecocompatibili (biogas, biomasse, ecc.).

2.6 Analisi tecnico economica di nuovi modelli

agroforestali (Silvoarable) e loro messa a punto in

aree planiziali.

3) Sostenibilità socio-economica dell’attività agricola 3.1 Studio di aree sensibili ( individuate dalle

Regioni) per la definizione di parametri per la

programmazione degli interventi operativi in materia

agro-ambientale che consentano la certificazione di

sistema, processo, e prodotto e valorizzino la

valenza economica del settore produttivo agricolo e

agro-forestale.

3.2 Messa a punto di sistemi idonei di verifica

tecnico-economica dei “protocolli” produttivi adottati,

definiti in conformità alla legislazione europea e

nazionale in materia agro ambientale.

3.3 Definizione degli strumenti di analisi e di

previsione per la valutazione dei cambiamenti nel

sistema agricolo, agroindustriale e agroalimentare

dovuti all'applicazione delle normative di settore, agli

interventi di politica agroambientale, agli accordi

commerciali e alle convenzioni internazionali.

3.4 Definizione di modelli di gestione per il

mantenimento e lo sviluppo del ruolo

98/98

multifunzionale di un territorio, nel quadro dello

sviluppo integrato dell’economia delle aree rurali.

3.5 Valutazione dei servizi eco-sistemici e dei

benefici della biodiversità.

4) Sostenibilità sociale dell’attività agricola 4.1 Studio degli aspetti igienico-sanitari legati al

consumo di prodotti agricoli tal quali e/o dopo i

processi di trasformazione, conservazione e

commercializzazione in diversi modelli produttivi.

4.2 Studio dell’impatto sul sistema agricolo (anche

economico), sull’ambiente e sulla salute degli

operatori agricoli dei fitofarmaci, fertilizzanti, farmaci

veterinari.

4.3 Individuazione e verifica dei livelli di

compatibilità dell’ uso di reflui zootecnici e

sottoprodotti dell’industria agro-alimentare.

4.4 Uso di sistemi informatici per il monitoraggio

della salute degli operatori agricoli e

dell'agroindustria ("Carta della salute").

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