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Intervento del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella in occasione dell’incontro con i Presidenti di Regione, nel cinquantesimo anniversario di costituzione delle Regioni a statuto ordinario - 04.08.2020

martedì 4 agosto 2020

Intervento del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella in occasione dell’incontro con i Presidenti di Regione, nel cinquantesimo anniversario di costituzione delle Regioni a statuto ordinario

Palazzo del Quirinale, 04/08/2020

La ringrazio, caro Presidente, per queste considerazioni, e rivolgo a tutti un benvenuto di grande cordialità

Sono lieto che, anche se in maniera particolare, ridotta, per le condizioni che attraversiamo, possiamo sottolineare qui al Quirinale l’importanza di questa ricorrenza, non soltanto per le Regioni ordinarie, ma per tutta Italia, come dimostra la presenza dei Presidenti di Regione a Statuto speciale.

L’attuazione delle norme della Costituzione relative all’ordinamento regionale intervenne in una fase di grandi trasformazioni.

Un quinquennio che vide anche la approvazione, fra le altre, della legge attuativa dei referendum popolari, di quella relativa allo Statuto dei lavoratori, della legge sulle lavoratrici madri, dell’istituzione degli organismi partecipativi nella scuola, del nuovo diritto di famiglia, della maggiore età a diciotto anni, solo per citare alcuni dei provvedimenti di quel periodo.

Le basi della Repubblica si arricchivano sull’intero territorio nazionale – dopo le Regioni a statuto speciale – di un ente politico che completava la realizzazione del principio di autonomia definito dalla Costituzione.

Erano trascorsi venti anni dalla entrata in vigore della Carta costituzionale: si affacciava una soggettività politica dei territori in grado di ampliare e organizzare in maniera più compiuta la partecipazione dei cittadini alle scelte della convivenza democratica.

Oggi sembra singolare ma non fu un passaggio privo di interrogativi, con forze politiche fortemente ostili alla attuazione della norma costituzionale, con il manifestarsi di orientamenti non sempre corrispondenti alle posizioni espresse nel corso dei lavori dell’Assemblea Costituente.

Il ritardo ha certamente pesato nella delineazione di quello Stato delle autonomie previsto dai Costituenti: l’articolazione in Comuni, Provincie, Regioni è rimasta priva, per oltre due decenni, di un pilastro decisivo.

Il percorso che condusse alla approvazione, nel 1968, della legge 108, sulla elezione dei primi Consigli delle Regioni a statuto “normale” (come recitava il titolo e l’articolo I di quella legge), fu connotato da intensa preparazione e da ampio dibattito.

La questione non si poneva in termini soltanto istituzionali ma apparteneva, piuttosto, alla riflessione su come procedere sulla strada dell’ammodernamento e dello sviluppo del Paese.

Le Regioni venivano viste come importanti strumenti nell’ambizioso processo che si intendeva attuare con la programmazione economica: il Governo Moro, nel 1963, legava i due temi fra loro, anche nella prospettiva di concorrere al superamento del divario Nord-Sud.

Regioni, dunque, protagoniste attive, con lo Stato, per lo sviluppo delle condizioni di vita delle popolazioni dell’intera Italia.

L’esperienza preparatoria dei Comitati regionali per la programmazione economica mirava a questo, coinvolgendo le forze economiche e sociali dei territori in un grande esercizio di confronto, in attesa del nuovo pluralismo istituzionale delle Regioni. Proprio da quelle pratiche giunsero numerose idee e anche tanti amministratori di solida preparazione, eletti con il primo voto.

In questi cinquant’anni le Regioni si sono affermate come componente fondamentale dell’architettura istituzionale della Repubblica, con un indubbio e prezioso accrescimento della nostra vita democratica in ogni ambito.

La partecipazione dei delegati designati dai Consigli regionali alla elezione del Presidente della Repubblica ne rappresenta, anche simbolicamente, una manifestazione.

Le Regioni si sono rivelate un forte elemento di coesione del popolo italiano. Il senso di comune appartenenza alla Repubblica si ritrova al centro di ogni Regione, di ogni Provincia, di ogni Comune.

Credo che si possa dire che le esperienze realizzate hanno gradualmente indotto a perfezionare l’attuazione delle previsioni costituzionali, talvolta favorendone una positiva e coerente evoluzione.

Se l’art. 5 della Costituzione afferma che la Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali, sappiamo tutti come la novella dell’art. 114 oggi reciti che “la Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Provincie, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato”, superando la definizione degli enti territoriali come sue ripartizioni.

Un riconoscimento significativo della concorrenza paritaria alla costruzione delle politiche pubbliche, con un ruolo protagonista e, pertanto, naturalmente, altrettanto responsabile.

Appunto per questa protagonista corresponsabilità le Regioni partecipano al dovere di perseguire le finalità indicate agli art. 2 e 3 della Costituzione: l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale e la rimozione degli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano la libertà e l’eguaglianza di tutti i cittadini.

Un compito, appunto, collettivo, che coinvolge la Repubblica intera, come ci ripropone anche una lettura autentica dell’art. 118, a proposito della sussidiarietà, individuata non soltanto come metodo ma come valore capace di arricchire la consapevole partecipazione democratica.

Pluralismo sociale, politico, culturale e linguistico, territoriale, completano così la articolazione della Repubblica e ampliano la sfera di libertà dei cittadini.

In questi cinquanta anni, il ruolo delle Regioni ha influenzato fortemente l’organizzazione delle pubbliche amministrazioni, pur se non sempre il loro assetto si è ridisegnato in maniera del tutto lineare. Funzioni fondamentali sono state attribuite alle Regioni.

Lo Stato ha progressivamente ma concretamente adeguato all’ordinamento regionale le organizzazioni periferiche di molti suoi uffici e attribuito nuove funzioni di coordinamento a livello regionale. Le giurisdizioni più interpellate riguardo alla dimensione regionale – quella amministrativa e quella contabile – si sono date un’articolazione regionale, anche quando non previsto dalla Costituzione.

La riforma del Titolo V, intervenuta nel 2001, ha rappresentato un coerente sviluppo dei principi costituzionali.

Il legislatore costituzionale, nel rafforzare le competenze legislative e amministrative delle Regioni, ha previsto che l’esercizio dell’autonomia si conformi ad esigenze di solidarietà e di perequazione finanziaria tra i diversi territori, riconoscendo allo Stato il ruolo di garante dell’uniformità dei livelli essenziali delle prestazioni relative ai diritti civili e sociali sull’intero territorio nazionale.

Esigenze accresciute dalla consapevolezza dell’aumento, intervenuto nel tempo, del divario di sviluppo tra i territori e, segnatamente, tra il Nord e il Sud del Paese, con il conseguente incremento delle diseguaglianze tra cittadini.

La solidarietà, peraltro, rafforza il dovere di un utilizzo equo, efficace ed efficiente delle risorse da parte di tutte le Regioni.

La questione delle Regioni è stata centrale nel dibattito politico e istituzionale degli ultimi decenni, ed è passata anche attraverso il vaglio di consultazioni referendarie popolari.

Tra le riforme costituzionali avanzate anche quella relativa alla istituzione di una seconda Camera a vocazione territoriale.

Questa proposta, come è noto, non è stata ratificata dall’elettorato e rimangono in opera gli strumenti già previsti di raccordo tra i livelli di governo regionale e statale.

È il sistema delle conferenze – Stato-Regioni, Stato-Città, Unificata - che ha dimostrato di avere un ruolo di particolare importanza, anche in occasione dell’emergenza sanitaria per contrastare la pandemia che non ha risparmiato il nostro Paese.

Questo profilo trova posto, in tutto il suo valore, nel documento presentato, in occasione di questo nostro incontro, dalla Conferenza delle Regioni e delle Provincie autonome.

Vi si evoca il principio della leale collaborazione, esplicitamente richiamato all’art. 120 e più volte enunciato dalla Corte costituzionale.

Accanto al coordinamento tra Stato e Regioni, che le Conferenze intergovernative sono in grado di assicurare, un ulteriore importante contributo di coordinamento orizzontale è quello offerto dalla Conferenza delle Regioni.

Come, a più riprese, ha ricordato la Corte costituzionale, il sistema delle Conferenze costituisce – in atto - l’unica sede per realizzare il principio della leale collaborazione.

La condizione attuale ha visto più volte la Conferenza delle Regioni sollecitare un riordino delle forme di raccordo tra Stato e autonomie territoriali, con specifiche proposte che meriterebbero di essere riprese.

Si avverte la necessità di individuare, con maggiore precisione, sedi e procedure attraverso le quali il principio di leale collaborazione, caposaldo della giurisprudenza costituzionale, possa divenire sempre di più la cifra dei rapporti tra lo Stato, le Regioni e le autonomie locali.

È importante che la soggettività politica delle Regioni si sviluppi, non in contrapposizione con l’indirizzo politico statale, ma in chiave di confronto e di cooperazione.

In generale - come il documento suggerisce, invitando a “riflettere oggi sulla nozione stessa di regionalismo” – siamo in un momento che richiede un’opera di aggiornamento e di sua più adeguata sistemazione complessiva.

Il documento – come ho ricordato - auspica il superamento di criteri di riparto sulla base di contrapposizione e che si approdi a logiche di complementarietà. Si fa ricorso, in tal modo, a una positiva attitudine collaborativa.

Non compete a me fornire risposte a questo riguardo ma è incontestabile che la presenza del livello regionale di legislazione, ancor più come ridefinito nel 2001, ha introdotto e pone a continua prova il tema del riparto della potestà legislativa e dell’esercizio delle competenze amministrative. La Corte Costituzionale, soprattutto dopo la riforma del 2001, ha svolto un’opera preziosa di regolazione, anche ponendo rimedio a qualche aspetto di insufficiente chiarezza delle norme costituzionali. Ma il problema presenta profili che richiedono una ulteriore, approfondita discussione e riflessione e una migliore definizione.

A tal fine una maggiore istituzionalizzazione e disciplina del “sistema delle Conferenze” potrebbe incrementare gli elementi di snodo e di raccordo tra il livello nazionale e quello regionale.

L’esperienza sin qui maturata dimostra, in particolare, come l’autonomia regionale risulti valorizzata dal venire esercitata nel quadro di accordi generali che tengano conto delle esigenze unitarie, di carattere giuridico, economico e sociale, rappresentate dallo Stato

Le Conferenze sono, quindi, il luogo della rappresentanza degli esecutivi statale, regionali e locali.

Allo sviluppo della collaborazione tra gli esecutivi potrebbe facilmente accompagnarsi, anche in funzione di bilanciamento, il riconoscimento di un ruolo alle assemblee legislative.

Al riguardo sarebbe sufficiente, per il momento, porre mano all’attuazione dell’art. 11 della riforma del titolo V del 2001, che prevede la integrazione della Commissione parlamentare per le questioni regionali con rappresentanti delle stesse autonomie territoriali.

Attraverso questa ridotta forma di adeguamento delle istituzioni parlamentari, potrebbe essere perseguita maggiormente la complementarietà nell’esercizio delle rispettive competenze legislative e favorita la condivisione ex ante di comuni obiettivi strategici, come auspicato nel documento di riflessioni e proposte presentato in questa sede.

Ci si muoverebbe nell’ambito dell’art. 5 della Costituzione che prevede che la Repubblica provvede ad adeguare “principi e metodi della legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento”.

In questa linea si inserisce il percorso in atto delle autonomie differenziate, previsto dall’art.116 della Costituzione. Sono ben consapevole che questo viene visto non al fine di competizione tra le Regioni – né, tantomeno, di emarginazione – ma come sollecitazione per attingere tutte più adeguati livelli di efficienza.

Il perseguimento di “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia”, nello spirito del dettato costituzionale, appare idoneo a valorizzare specificità e capacità delle singole regioni, sempre in chiave di collaborazione politica. Diverrebbe così possibile realizzare aperture e diversificazioni che, nel loro insieme, accrescano il dinamismo dei territori, rafforzando al contempo il tessuto della Repubblica e salvaguardando appieno le esigenze unitarie.

È trascorso mezzo secolo dall’avvio dell’esperienza delle Regioni a statuto ordinario e nessuno ovviamente mette più in dubbio la soggettività politica acquisita da enti dotati di potestà legislativa, strumento della stessa autonomia politica.

Uno sguardo retrospettivo mette in luce, naturalmente, anche alcuni aspetti da riconsiderare che le accompagnano.

Il rischio delle Regioni di essere “grandi enti di amministrazione”, paventato nei dibattiti che hanno accompagnato, nei Consigli regionali, la elaborazione dei primi Statuti nel 1970, viene richiamato dal documento presentato dalla Conferenza delle Regioni in questa occasione.

Si sono succedute analisi critiche, indirizzate talvolta ad alcune amministrazioni regionali, circa ricorrenti tentazioni neo-centralistiche, sull’esempio del modello a suo tempo fatto proprio dallo Stato centrale dopo l’unità. Un eccesso di burocratizzazione con trasferimento dalla capitale ai capoluoghi delle Regioni.

È una consapevolezza sottolineata nel documento presentato dalle Regioni, laddove si indica – e cito le parole del documento, che sottoscrivo - “la ridefinizione del rapporto tra Regione e le altre componenti essenziali delle rispettive comunità: Comuni, Unioni, Provincie, Città metropolitane in una moderna e unitaria concezione di sistema delle autonomie territoriali” che “rifugga da ogni centralismo, sia statale sia regionale”.

Il dossier della riforma del sistema delle autonomie territoriali è aperto ancor oggi.

Una indicazione concreta viene anche dalla emergenza epidemiologica di questi mesi che ha visto Stato, Regioni e Comuni nella stessa prima linea nel contrastare un fenomeno del tutto ignoto, che si è sviluppato con una velocità e una virulenza impensabili, ponendo questioni di gestione, di adeguatezza e, ora, di adeguamento, dei nostri servizi e sistemi sanitari.

Se la violenza dell’epidemia appare essersi attenuata, non sono venute meno le esigenze di promuovere politiche coerenti con la tutela della salute dei nostri concittadini e con le esigenze di rilancio dell’economia del Paese, così duramente colpita dalle conseguenze della crisi sanitaria.

È un’esigenza ancora più pressante per rispondere alla crisi che stiamo attraversando.

L’Unione Europea ha dato prova di lungimiranza e tempestività nel mettere a punto strumenti volti a favorire la ripresa e la crescita economica del Continente.

Il Piano per l’Italia, in cui è prezioso il contributo delle Regioni, rappresenta un impegno ineludibile. Impegno correttamente avvertito non come il passaggio di una diligenza cui attingere ma come un’occasione di storico rilancio del sistema Italia, con modalità di coinvolgimento e collaborazione compatibili con la pressante urgenza di definizione.

È un appuntamento da non perdere per incidere su nodi strutturali con riforme e investimenti commisurati: tutela dei bisogni, rilancio dell’economia, valorizzazione dei territori con il recupero di ritardi decennali, sono priorità nazionali da definire alle quali devono concorrere tutte le energie del Paese, istituzionali, di ogni livello di governo, e sociali.

La Repubblica, forte del suo assetto consolidato e delle sue capacità, saprà far fronte anche a questa sfida.



Approvazione documento: “1970-2020: le istituzioni regionali 50 anni dopo. Un Patto rinnovato tra le Regioni: le proposte per l’Italia”

 
Approvazione documento: “1970-2020: le istituzioni regionali 50 anni dopo. Un Patto rinnovato tra le Regioni: le proposte per l’Italia”
https://www.regioni.it/download/conferenze/617255/
https://www.regioni.it/download/conferenze/617256/

 
 
 
 
Punto 01 - Approvazione documento: “1970-2020: le istituzioni regionali 50 anni dopo. Un Patto rinnovato tra le Regioni: le proposte per l’Italia”
 
 
 

“Rappresentare le proprie comunità e condividere decisioni nell’interesse del Paese: le Regioni al Quirinale per il 50esimo di quelle a Statuto ordinario. Consegnate al presidente della Repubblica, Mattarella, le proposte per l’Italia e l’Agenda 2020-21 per il rilancio. Il presidente della Conferenza delle Regioni, Bonaccini: “Collaborazione con il Governo durante l’emergenza sanitaria, ora Regioni protagoniste anche nella ricostruzione”
martedì 4 agosto 2020
 

Roma, 4 agosto 2020 (nota per la stampa) Ripartire, insieme: Stato e Regioni. Una concertazione istituzionale e una coesione nazionale che hanno permesso al Paese di affrontare la fase più dura dell’emergenza sanitaria e che adesso devono essere alla base di un patto per la ricostruzione che definisca in primo luogo strategie e interventi per il rapido ed efficace utilizzo delle risorse europee. Da qui la richiesta al Governo che le Regioni abbiano un ruolo diretto nella redazione del piano per il Recovery fund: mai come adesso, infatti, i territori devono essere protagonisti.

Le Regioni italiane a Statuto ordinario compiono 50 anni (nel 1970 le prime elezioni regionali) e i loro presidenti sono stati ricevuti nel pomeriggio al Quirinale, dove hanno consegnato al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, due documenti: uno sulle proposte per l’Italia, basato su un patto rinnovato fra le Regioni stesse, e un’agenda 2020-2021 per il rilancio del Paese. Documenti approvati in una seduta straordinaria della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome dopo la mattinata di lavori dedicata alla loro redazione.

-Rappresentare le proprie comunità e condividere decisioni nell’interesse del Paese: si punti a un cambiamento culturale nel rapporto Stato-Regioni

L’incontro, come ha sottolineato nel suo intervento Stefano Bonaccini, presidente della Conferenza delle Regione e delle Province autonome, rappresenta “un’occasione davvero preziosa” per una riflessione propositiva sulla funzione “che le Regioni hanno svolto e possono svolgere per assicurare un più efficace governo del Paese”. I cambiamenti della società impongono loro “un modo diverso di interpretare il proprio compito: per ciascuna in sé, in rapporto al proprio territorio; e per tutte insieme, in rapporto al Paese. Una necessità e una opportunità, che deve essere colta positivamente anche da parte delle altre istituzioni”. Occorre coniugare pienamente potestà e responsabilità: “Se da un lato le Regioni sono chiamate a rappresentare in modo più incisivo le istanze delle proprie comunità, assicurando risposte tempestive ed efficaci a bisogni vecchi e nuovi che via via emergono, dall’altro- ha sottolineato Bonaccini- possono e debbono farlo sempre più insieme, condividendo decisioni nell’interesse della Nazione. Sono due obbiettivi distinti, talvolta confliggenti, talvolta complementari, in ogni caso imprescindibili. Compatibili nella misura in cui si punti davvero ad un cambiamento culturale delle relazioni Stato-Regioni, che faccia perno su un potenziamento degli istituti della collaborazione istituzionale”.

-Costante collaborazione tra le Regioni e tra queste e il Governo, la lezione dell’emergenza

Proprio i mesi più terribili della pandemia, ricorda Bonaccini, hanno dimostrato “l’efficacia della collaborazione istituzionale fra il livello centrale e quello territoriale”, andata ben oltre la lettura data da troppe parti su presunte divisioni fra Governo e Regioni, con queste ultime in ordine sparso. E’ successo esattamente il contrario: “All’interno della Conferenza delle Regioni si è sempre registrata una linea unitaria che ci ha portato a condividere col Governo Decreti e misure per contrastare il contagio”. Ed “è stato così anche nella gestione della ripartenza dopo il lockdown, quando la Conferenza delle Regioni ha assicurato che le scelte territoriali fossero collocate sempre all’interno di una cornice nazionale, consentendo al Governo di assumere decisioni per la riapertura sicura di diverse attività nel modo il più possibile omogeneo sul territorio”. Collaborazione, non competizione. Unità, non divisioni. “L’emergenza sanitaria è stato il trauma che ha scatenato una reazione comunque positiva dell’organismo repubblicano, da cui dobbiamo saper apprendere qualcosa. La ‘comune’ determinazione ad affrontare una ‘comune’ avversità, per un ‘comune’ obiettivo: è stata questa- ha sottolineato il presidente della Conferenza delle Regioni- la grande lezione dell’emergenza”.

-Strategia nazionale condivisa per la ricostruzione: Governo, Regioni, Enti locali lavorino insieme

Un insegnamento “che ora non possiamo dimenticare. Soprattutto adesso che il Paese è impegnato nella sfida della ricostruzione”. Quello raggiunto in Europa sul Recovery fund “è un accordo storico- prosegue Bonaccini-, che mette nelle nostre mani una straordinaria opportunità e sulle nostre spalle una altrettanto grande responsabilità. Proprio per questo, come accaduto nell’emergenza e forse ancor più, occorrerà un’azione corale del sistema Paese. Una strategia nazionale condivisa, fondata su una più stringente ‘inclusione istituzionale’, dove ciascuno sia chiamato a svolgere compiutamente la propria parte. Per questo abbiamo chiesto al Governo che nella redazione del Piano nazionale per il Recovery fund le Regioni abbiano un ruolo diretto nel definire come utilizzare rapidamente ed efficacemente le risorse europee. Mai come in questa occasione dobbiamo lavorare insieme come Governo, Regioni ed Enti locali”. E l’auspicio, rimarca Bonaccini, “è davvero che non prevalga una logica burocratica di breve respiro, un concerto ministeriale che cali sui territori decisioni prese dall’alto”.

-Riconoscimento normativo della rappresentanza delle Conferenze

La Conferenza delle Regioni ha svolto un ruolo importante per consentire, di volta in volta, l’emersione di posizioni condivise, “pur non essendo essa codificata da alcuna norma primaria, se non dalla volontà emersa quarant’anni fa dagli stessi presidenti di Regione, che evidentemente avvertivano l’esigenza di proporsi ai propri interlocutori istituzionali centrali come espressione di un sistema di governo dei territori, non solo come singole entità regionali”, ha proseguito Bonaccini. Da qui “l’esigenza di arrivare anche ad un riconoscimento costituzionale della Conferenza Stato-Regioni e della Conferenza Unificata, proprio per rafforzare quelle sedi della condivisione istituzionale che nel tempo stanno dimostrando una crescente efficacia”.

(in allegato: scheda sulle proposte delle Regioni e l’Agenda 2020-21 per la ripresa del Paese)

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Le proposte delle Regioni

Il primo documento contiene riflessioni sui rapporti Stato-Regioni. In esso, le Regioni:

  • Riconoscono il valore fondativo dell’articolo 5 della Costituzione, ma sottolineano la necessità di declinazioni adeguate alle esigenze e alle urgenze del tempo per realizzare azioni coordinate che garantiscano i livelli essenziali delle prestazioni, in particolare per i servizi sociali e per quelli sanitari: una base comune su cui innervare scelte differenziate per rispondere alle specificità del territorio.
  • Sottolineano che è proprio il rafforzamento del sistema delle autonomie, nel quadro dell’unità nazionale, che può portare l’amministrazione pubblica ad essere più efficace che efficiente.
  • Ritengono che, come dimostra l’evoluzione socioeconomica, la complessità del mondo globale, e i nuovi diritti sociali e civili, sia giunto il momento di superare una ripartizione dei poteri legislativi tra Stato e Regioni basata sulla contrapposizione e reciproca esclusione.
  • Evidenziano l’esigenza di una stagione politica nuova fondata sulla complementarità fra centro e periferia, puntando sulla condivisione ex ante di obiettivi strategici comuni.
  • Indicano nella cooperazione interistituzionale e nella concertazione fra i livelli istituzionali – a partire dalla Conferenza delle Regioni - la via da seguire anche attraverso il riconoscimento costituzionale del “sistema delle Conferenze” (Conferenza Stato-Regioni, Conferenza Unificata).
  • Si impegnano a rafforzare la collaborazione nelle attività di comune interesse valorizzando il ruolo della Conferenza delle Regioni, necessario contrappeso non essendoci una camera delle Regioni e delle autonomie.
  • Rappresentano come obiettivo prioritario un nuovo patto politico - specie dopo il recovery Fund – per superare i divari territoriali, ed esprimono l’esigenza di essere coinvolte pienamente nelle sedi in cui saranno definite le Linee programmatiche per l’accesso al Recovery Fund.
  • Assumono infine l’impegno per proposte concrete che abbiano l’obbiettivo di migliorare i servizi pubblici essenziali (sanità, welfare, scuola), mettere in sicurezza il territorio e migliorare le infrastrutture e i trasporti, valorizzare e tutelare i beni ambientali, paesaggistici e culturali.

 

Agenda 2020-2021: le priorità

Il secondo documento definisce le priorità sulle quali lavorare per la piena ripresa del Paese. Eccone una sintesi.

Sanità. Abbiamo un servizio sanitario che, pur con tutti i limiti, è fra i più efficienti d’Europa. Ricordiamolo sempre, non solo quando assistiamo ad una capacità di flessibilità che non ha eguali, come è stata quella che ha caratterizzato l’attività di medici, infermieri e operatori sanitari durante le drammatiche ore delle prime settimane dell’emergenza. Ma possiamo fare di più, rafforzando la rete territoriale ed integrandola meglio con quella ospedaliera. E possiamo fare di più lavorando su un grande piano di investimenti per l’edilizia sanitaria e per una nuova stagione di assunzioni di personale.

Lavoro. E’ il fronte più delicato perché la crescita dei comparti del digitale e dell’automazione non compensa il decremento occupazionale dei settori industriali più tradizionali. Occorre riprogrammare il sistema delle politiche attive del lavoro. In questo contesto, può risultare utile un ruolo proattivo delle Regioni nella definizione ed attuazione di interventi per l’inserimento e il reinserimento lavorativo delle persone, ripensando anche l’attuale sistema di protezione del reddito.

Scuola. E’ il tema centrale: un Paese cresce davvero se sa investire nel sistema scolastico, universitario ed educativo. La peggiore miopia di cui potremmo soffrire in questo momento è quella che ci dovesse portare a non investire a sufficienza sull’istruzione. E’ dalla scuola che dobbiamo ripartire, per questo ci siamo impegnati affinché l’anno scolastico si avvii regolarmente il prossimo 14 settembre con gli alunni in presenza. Per questo stiamo lavorando con il Governo perché si aprano tutti i cantieri e si acquistino tutte gli apparati necessari per modernizzare l’edilizia scolastica.

Welfare. Definizione dei livelli essenziali delle prestazioni sociali, oltre a piani pluriennali su politiche sociali, contrasto alla povertà, non autosufficienza.

Ambiente. Mobilità sostenibile, politiche di prevenzione del dissesto idrogeologico, scelte di sostenibilità ambientale e sociale, agganciando gli obiettivi del Green Deal europeo e di Agenda 2030.

Infrastrutture. Riattivare subito i cantieri delle grandi opere, completare con celerità la ricostruzione dei territori colpiti dai terremoti, lavorare sulle grandi vie di collegamento. Ma va fatto con il concorso attivo delle Regioni. Inoltre, l’emergenza Covid-19 ci ha mostrato l’esistenza di un vero e proprio “diritto alla cittadinanza digitale” e fra le infrastrutture c’è l’urgenza di modernizzare e accelerare quelle digitali. Sotto questo profilo ci preoccupano, ad esempio, i ritardi nello sviluppo della banda ultralarga.

Ma i temi toccati nel documento sono molti altri: dal turismo allo sport, dall’agroalimentare alla biodiversità, dalla prevenzione alla difesa del Made in Italy, fino al recente “Patto per l’export”.

Il documento “Un patto rinnovato tra le Regioni. Le proposte per l’Italia” e il documento “Prime proposte delle Regioni per il rilancio del Paese: Agenda 2020-2021” saranno pubblicati sul sito www.regioni.it




 

50 anni dalle prime elezioni regionali: dichiarazione del Presidente Mattarella

Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha rilasciato la seguente dichiarazione:

«Cinquant’anni or sono i cittadini delle Regioni a statuto ordinario vennero chiamati per la prima volta alle urne per eleggere i loro rappresentanti nei Consigli regionali. Si completava così il disegno dei Costituenti e la democrazia nel nostro Paese compiva un ulteriore, significativo passo in avanti, ampliando le sue basi e rafforzando il carattere pluralista delle sue istituzioni.

La Repubblica nasce nel rifiuto del carattere autoritario e centralista dello Stato, inasprito dal regime fascista, contro la tradizione dei liberi Comuni e delle identità dei territori, ricchezza della civiltà dell’Italia.

Il principio di autonomia, delle Regioni e degli enti locali, è alle fondamenta della costruzione democratica, perché appartiene al campo indivisibile delle libertà e costituisce un regolatore dell’equilibrio costituzionale.

L’esperienza delle Regioni ha attraversato diverse stagioni, è stata oggetto di confronti molto intensi, e di riforme che hanno modificato non solo il profilo legislativo e amministrativo degli enti, ma anche il funzionamento complessivo dei poteri democratici della Repubblica.

Dopo mezzo secolo di esperienza la riflessione è ancora aperta, e la stessa lotta alla pandemia ci ha posto di fronte a nuovi interrogativi su come rendere migliore il servizio ai cittadini ed evitare che conflitti e sovrapposizioni tra istituzioni possano creare inefficienze paralizzanti o aprire pericolose fratture nella società.

La libertà dei territori e l’autonomia delle comunità sono un contributo all’unità nazionale, nel quadro di una leale collaborazione tra i diversi livelli istituzionali.

Le intese tra Stato, Regioni, Comuni, Province sono parte qualificante dell’azione di governo.

Le diversità – se non utilizzate in modo improprio – sono un moltiplicatore di crescita civile, economica, culturale.

L’Europa stessa è chiamata a valorizzare la dimensione regionale, come vettore di integrazione.

Affinché il pluralismo e la sussidiarietà assumano il valore che è loro proprio, è necessario che questi concorrano alla realizzazione dei principi fondamentali di solidarietà e di uguaglianza sanciti dalla Costituzione.

Le Regioni e le autonomie degli enti locali accresceranno le opportunità del Paese, anche in questa stagione di ripartenza, se sapranno contribuire a garantire e rendere effettivo il carattere universale dei diritti sociali e di cittadinanza del popolo italiano, al cui servizio tutte le istituzioni democratiche sono poste.

Siamo chiamati a una prova impegnativa: l’Italia ha le carte in regola per superare la sfida. Non vincerà da solo un territorio contro un altro, non prevarrà una istituzione a scapito di un’altra, ma solo la Repubblica, nella sua unità.

Decisiva sarà la capacità di tenere insieme pluralità e vincolo unitari».

 

Roma, 07/06/2020

 


50 anni fa venivano istituite le Regioni a statuto ordinario: dichiarazione congiunta del Presidente della Conferenza delle Regioni Stefano Bonaccini (Presidente Regione Emilia-Romagna) e del Vice Presidente Giovanni Toti (Presidente Regione Liguria)

sabato 16 maggio 2020
Roma, 16 maggio 2020 (comunicato stampa) “50 anni fa una legge dello Stato istituiva le Regioni a Statuto ordinario. Il regionalismo, già definito nella Costituzione del 1948 e avviato parzialmente con le 5 Regioni a Statuto Speciale, diventava finalmente una realtà.
Se questo non è il momento per manifestazioni o eventi celebrativi, resta il fatto che questo importante anniversario è un'occasione per riflettere, come Paese, sul contributo che le istituzioni regionali hanno dato alla democrazia e all'assetto della nostra Repubblica.
L'emergenza Covid-19 ha mostrato un'Italia che, pur in una situazione drammatica, è in grado di reagire anche grazie alla funzione cruciale delle Regioni e delle autonomie locali, parte integrante della Repubblica. In questo difficile momento le Regioni, con le loro differenze (territoriali, economiche, sociali e politiche), hanno saputo mettere da parte ogni sterile contrapposizione per cercare, attraverso il confronto e il dialogo con le proprie comunità, un punto di equilibrio ed una soluzione condivisa nell'interesse di tutti i cittadini. Ora più che mai, da nord a sud e senza distinzione di colore politico, è indispensabile lavorare per rimettere in moto il Paese.
In questo tempo difficile è emerso uno spirito di solidarietà che ci ha guidato nella comune ricerca delle soluzioni praticabili.
Sappiamo che la collaborazione istituzionale è una strada difficile da percorrere, ma sappiamo anche che è un percorso obbligato nell’interesse dei cittadini e dei territori. Anche per questo nessuno – neanche autonomisti convinti come noi – può mettere in discussione l’unità della Repubblica come bene comune.
E certo è proprio questo il disegno che aveva in mente il Costituente quando, dopo un dibattito lungo e approfondito, delineò nella Carta in modo convinto il ruolo e le prerogative delle Regioni”.


50° nascita Regioni a Statuto ordinario: Bonaccini, “lavoreremo per un ‘Manifesto’ del nuovo regionalismo”

giovedì 20 febbraio 2020

Roma, 20 febbraio 2020 (comunicato stampa) “La Regione come ‘comunità’”, sarà questo il tema conduttore di una serie di eventi che caratterizzeranno il 50° dell’istituzione delle Regioni a Statuto ordinario”, lo ha annunciato il Presidente, Stefano Bonaccini, al termine della odierna Conferenza delle Regioni.

“Nel corso degli anni le Regioni sono diventate veri e propri punti di riferimento del territorio. La loro azione – spiega Bonaccini - si è espansa, assumendo un profilo istituzionale che va ben la di là del mero catalogo delle competenze legislative. Oggi quando c’è da progettare opportunità di sviluppo, quando si vuole realizzare davvero una politica di rilancio degli investimenti pubblici, oppure quando c’è da gestire un’emergenza, si fa necessariamente riferimento alla dimensione regionale. C’è di più: la stessa concertazione istituzionale basata su accordi o patti Stato-Regioni è diventata per ogni Governo, a prescindere dal colore politico, un percorso di seria concretezza istituzionale, un modo per rispondere alle esigenze del Paese, spesso la chiave per risolvere problemi.

Il 50° della nascita delle Regioni a statuto ordinario – prosegue Bonaccini - non deve essere solo un evento celebrativo, ma deve diventare l’occasione per riflettere sulla storia, sulle buone pratiche e sulle prospettive future del ruolo delle istituzioni regionali.

Per questo abbiamo pensato ad una serie di seminari che si svolgeranno in alcune città e che serviranno ad approfondire per grandi macroaree la funzione, la storia e lo sviluppo della Regione, intesa appunto come comunità.

L’obiettivo è di ricavare lungo questo percorso alcune idee-guida, alcuni principi e proposte concrete da far confluire in un documento unitario.

Lavoreremo insieme - come “comunità delle Regioni”, tema che mi auguro nel 2021 possa essere al centro del 40° della nascita Conferenza delle Regioni – per arrivare ad un vero e proprio “manifesto per il nuovo regionalismo” che presenteremo all’opinione pubblica, al Paese e a quella società civile operosa che può aiutarci – conclude Bonaccini - a riscoprire le radici più profonde della nostra democrazia e alcune idee portanti, come lo stesso regionalismo, che il costituente ha voluto con convinzione fra i principi della Carta”.






50 anni delle Regioni: Toma, verso un programma condiviso di eventi per una riflessione ad ampio raggio sull’esperienza del regionalismo

mercoledì 15 gennaio 2020
Roma, 15 gennaio 2020 (comunicato stampa) “50 anni fa nascevano le Regioni a statuto ordinario. Oggi abbiamo l’occasione per una riflessione ad ampio raggio sull’esperienza del regionalismo nel nostro Paese”, lo ha dichiarato Donato Toma (Presidente della Regione Molise che oggi ha presieduto la Conferenza delle Regioni) al termine della Conferenza Stato-Regioni, convocata dal Ministro Francesco Boccia a Palazzo Chigi e che ha visto la partecipazione del Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, e di diversi Ministri.
“Abbiamo apprezzato le parole del Presidente del Consiglio che ha voluto ricordare le diverse tappe istituzionali che hanno portato ad un ruolo crescente delle Regioni nel contesto istituzionale della Repubblica. In particolare, il Presidente del Consiglio ha tenuto a sottolineare l’attuale equiordinazione che caratterizza oggi i rapporti fra il Governo e le Regioni, chiamati ad un impegno comune per l’affermazione del sistema Paese.
Nel confronto con il Ministro per gli Affari Regionali e le Autonomie, Francesco Boccia, abbiamo proposto alcuni punti cardinali di un programma di massima che consentirà nel corso dell’anno di approfondire temi centrali per le istituzioni come una maggiore integrazione tra Nord e Sud, la questione dell’autonomia e del regionalismo differenziato, la grande sfida per il rilancio degli investimenti, l’urgenza di un’accelerazione sul fronte delle infrastrutture. È poi centrale sviluppare ragionamenti su una migliore articolazione del rapporto tra Stato e Regioni e sul rafforzamento delle intese tra le Regioni.
Tutti temi – ha concluso Toma - che svilupperemo ulteriormente nella Conferenza delle Regioni con l’obiettivo di arrivare in tempi brevi ad una road map concordata con il Ministro per gli Affari Regionali e con il necessario coinvolgimento della Presidenza della Repubblica”.





50anniRegioni 
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