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Regioni.it

n. 3896 - martedì 4 agosto 2020

Sommario
- Le Regioni al Quirinale per il 50° di quelle a Statuto ordinario
- 50° Regioni, incontro con il Capo dello Stato: l'intervento di Bonaccini
- Il Capo dello Stato incontra i Presidenti delle Regioni: il testo del discorso
- 50° istituzioni regionali: "Un patto rinnovato tra le Regioni. Le proposte per l’Italia"
- 50° Regioni; prime proposte delle Regioni per il rilancio del Paese: un’agenda 2020-2021
- Conferenza Unificata il 6 agosto

Documento della Conferenza delle Regioni del 4 agosto

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50° istituzioni regionali: "Un patto rinnovato tra le Regioni. Le proposte per l’Italia"

(Regioni.it 3896 - 04/08/2020) La Conferenza delle Regioni, riunita in seduta straordinaria il 4 agosto a "Palazzo "Naiadi", ha approvato il documento "LE REGIONI ITALIANE A 50 ANNI DALLE PRIME ELEZIONI NEL QUADRO DELL’ORGANIZZAZIONE PLURALISTICA DEL SISTEMA ISTITUZIONALE . Un patto rinnovato tra le Regioni. Le proposte per l’Italia
Si tratta di "Riflesssioni e proposte" elaborate in occasione dell'incontro fra il Presidente della Repubblica e i Presidente delle Regioni che si è tenuto lo stesso 4 agosto 2020 al Quirinale.
Si riporta di seguito il testo integrale.
Indice
1. Il valore dell’autonomia. Unità e differenziazione nel quadro dell’organizzazione pluralistica del sistema istituzionale
1.1. Libertà e responsabilità nell’esercizio delle prerogative di autonomia regionale nel quadro della revisione costituzionale del 2001
2. Il rafforzamento del principio di leale collaborazione come base per nuovi meccanismi di codecisione: dalla separazione delle competenze alla complementarità delle decisioni pubbliche
3. La centralità del sistema delle Conferenze nelle relazioni interistituzionali
3.1. Il riconoscimento della Conferenza delle Regioni nei processi di codecisione sul modello dei “Protocolli di sicurezza” e delle “Linee guida per la riapertura delle attività economiche”
4. La Regione al centro della comunità territoriale. Alla ricerca di una nuova alleanza con il sistema degli enti locali
5. L’Accordo in sede di Consiglio Europeo sul c.d. recovery fund. La necessità di strategie politiche comuni
6. Le proposte per l’Italia
Del tutto imprevedibilmente, il cinquantesimo anniversario dell’istituzione delle Regioni a statuto ordinario ricorre in una stagione che vede l’Italia impegnata a fronteggiare un’emergenza sanitaria, sociale ed economica della quale, per la sua eccezionale gravità, non si rinvengono antecedenti nella storia repubblicana.
Tale concomitanza, se rende inappropriata una caratterizzazione puramente celebrativa di questa storica ricorrenza, nondimeno suggerisce significative riflessioni sul contributo e l‘apporto qualificante che una rinnovata e consapevole cultura delle autonomie, in coerenza con il disegno solidaristico e unificante voluto dai Costituenti, potrà conferire al futuro sviluppo del Paese.
È proprio al futuro del Paese, nel solco del disegno costituzionale, che le Regioni guardano nel formulare le proposte racchiuse nel presente Documento.
1. Il valore dell’autonomia. Unità e differenziazione nel quadro dell’organizzazione pluralistica del sistema istituzionale
Già nel 1970, appena insediatisi i primi Consigli delle Regioni a statuto ordinario, guardando ai neonati enti regionali, poteva cogliersene, in adesione ad una precisa volontà dei costituenti, l’autentica natura di articolazioni della Repubblica, dotate di poteri legislativi e saldamente ancorate ai principi della Costituzione, più che di grandi enti di amministrazione. Uno Stato regionale, dunque, in cui non già un nuovo ente artificiale, bensì un ente finalmente destinato a farsi rappresentante delle proprie comunità territoriali, al quale la neonata Costituzione repubblicana accordava un’autonomia che – pur senza pervenire ad una natura compiutamente federale – eccedeva largamente quella meramente amministrativa.
Nel plasmare la forma del nuovo Stato repubblicano, fu tra le più innovative la scelta operata dall’Assemblea Costituente di articolarne l’architettura istituzionale su basi di autonomia, riservando a Regioni, Province e Comuni uno specifico Titolo nella Parte II della Costituzione. Ugualmente innovativa fu la scelta di portare l’autonomia anche sul piano della legislazione, completando l’esperimento già in atto nello Statuto siciliano ed estendendolo a tutto il territorio nazionale, sia pure con una differenziazione tra Regioni a statuto ordinario e Regioni a statuto speciale, queste ultime inserite nel contesto nazionale in ragione della loro particolare storia e dotate ciascuna di diversi gradi di autogoverno, regolati dai rispettivi statuti e, in alcuni casi, da accordi internazionali.
A confermare l’importanza e l’immutato valore di fondo di tale scelta nella configurazione complessiva del nostro ordinamento, basti evocare il dibattito che nella sede costituente accompagnò la formulazione dell’articolo 5 della Costituzione – espressione del principio autonomistico e di un’organizzazione pluralistica del sistema istituzionale – e la sua collocazione non già nella Parte II, ma immediatamente fra i “Principi fondamentali”, proprio in ragione della sua destinazione a “completare la caratterizzazione costituzionale della Repubblica”.
1.1. Libertà e responsabilità nell’esercizio delle prerogative di autonomia regionale nel quadro della revisione costituzionale del 2001
Il Costituente concepì dunque la differenziazione su base regionale e locale come un valore inscritto nel codice genetico del principio autonomistico e nel concetto di autonomia territoriale, da intendersi come uno spazio di autodeterminazione, al quale la chiara e contestuale affermazione dell’unità della Repubblica unisce indissolubilmente la responsabilità di condividere decisioni sovraordinate nell’interesse della Nazione, prendendovi parte nelle sedi e attraverso meccanismi di cooperazione e di concertazione interistituzionale di cui la Costituzione lasciava trasparire la necessità, pur non pervenendo ad istituirli direttamente.
Solo apparentemente, dunque, l’esercizio della differenziazione e la responsabilità della cooperazione si pongono in contraddizione, risultando, a ben vedere, due facce necessariamente speculari tanto della nozione di autonomia, quanto di quella di unità e indivisibilità della Repubblica. L’ampliamento degli spazi di autodeterminazione non può, perciò, prescindere dal parallelo potenziamento degli istituti di collaborazione e di autonomia partecipativa, affinché l’intera Nazione possa beneficiare pienamente di quella valenza integrativa del principio autonomistico che i Costituenti avevano saputo così lucidamente indicare.
Questa concezione cooperativa del regionalismo ha orientato, del resto, anche la migliore interpretazione della revisione costituzionale del 2001, la quale, da un lato si caratterizzava per una forte espansione delle potestà legislative e amministrative delle Regioni, prevedendo altresì la possibilità di conseguire, con i contenuti e secondo il percorso definito dall’articolo 116, comma III, “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia”, mentre dall’altro rimarcava espressamente l’esigenza di esercitarle secondo leale collaborazione in un quadro di coesione sostenuto da meccanismi di perequazione finanziaria.
Nella cornice della richiamata disposizione costituzionale, le Regioni possono richiedere più forti strumenti legislativi e amministrativi volti a definire il sistema della governance territoriale interno alle singole Regioni. I cambiamenti della società, infatti, richiedono una maggiore flessibilità dell’architettura istituzionale.
Il nuovo riparto delle competenze legislative e amministrative delineato dalla riforma si è rivelato, tuttavia, nelle sue formulazioni letterali, troppo rigido rispetto alla complessità dei fenomeni sociali di portata globale, determinando un intreccio di competenze difficilmente conciliabili. Questa circostanza ha generato, specie in alcune fasi istituzionali, un elevato conflitto che è stato possibile temperare soltanto grazie all’intervento sistematico della Corte costituzionale e al ricorso a sedi, meccanismi e strumenti ispirati al principio di leale collaborazione, fortemente sostenuti dallo stesso Giudice delle leggi.
La meritoria opera interpretativa svolta dalla Corte costituzionale si è resa indispensabile nel tracciare, con la necessaria certezza, i perimetri delle competenze statali e regionali, in parte per una sottovalutata complessità delle esigenze di unitarietà delle discipline – non raramente ad un livello anche più elevato di quello statale – in parte per scelte di indirizzo politico verso cui le stesse Regioni hanno mostrato talvolta acquiescenza, senza aderire mai del tutto convintamente alle indicazioni della riforma.
Come testimoniato dai successivi tentativi di revisione del 2006 e del 2016, interessanti, fra l’altro, la relazione fra lo Stato e le Regioni, permane tuttora irrisolta, in definitiva, la complessità di un sistema ancora alla ricerca di un compiuto bilanciamento tra la forte espansione delle competenze legislative delle Regioni, pur nei limiti e alla luce delle dinamiche sopra ricordate, e la pervasività di una pratica centralista nell’esercizio delle competenze legislative statali, che ha a sua volta determinato un’interpretazione fortemente estensiva delle clausole di competenza statale c.d. trasversale.
Appare irrinunciabile oggi, di fronte alla complessità delle risposte cui è chiamato lo Stato pluralista, conseguire quindi un nuovo equilibrio fra le sfere decisionali, a cominciare da un nuovo bilanciamento fra i poteri legislativi, in particolare recuperando in termini di collaborazione e partecipazione quell’aspirazione ad una maggiore autonomia delle Regioni nella legislazione, laddove non ne sia possibile un esercizio diretto al livello locale.
Analogamente potrebbe essere ricercata una allocazione delle funzioni amministrative, secondo criteri di differenziazione ed adeguatezza, laddove si manifestano più nitidamente i bisogni dei territori.
La capacità di ascolto che, rispetto alle istanze delle comunità di riferimento, le Regioni hanno saputo dimostrare durante la fase più critica dell’emergenza sanitaria ha consentito al sistema istituzionale territoriale di fornire risposte tempestive e concrete ai propri cittadini.
Ed è esattamente in questa accezione che vanno lette le iniziative di “regionalismo differenziato” avviate da alcune Regioni in attuazione dell’articolo 116, comma III, della Costituzione. Si tratta di percorsi che, al di là di ogni ulteriore considerazione, hanno certamente offerto – e offrono tuttora – l’occasione per riflettere oggi sulla nozione stessa di regionalismo e rappresentano altresì l’occasione per imprimere una spinta innovatrice alle Istituzioni del nostro Paese.
2. Il rafforzamento del principio di leale collaborazione come base per nuovi meccanismi di codecisione: dalla separazione delle competenze alla complementarietà delle decisioni pubbliche
Il vero e proprio architrave all’interno del sistema delle autonomie è da rinvenirsi pertanto nel rispetto del principio collaborativo e delle sue varie declinazioni, secondo l’insegnamento della Corte costituzionale che lo elaborò ancor prima dell’istituzione effettiva delle Regioni a statuto ordinario, e prima che l’articolo 120 della Costituzione lo menzionasse espressamente.
Ora lo sforzo da compiere è di fare evolvere tale principio, elevandolo a metodo costante nelle relazioni interistituzionali ogni volta che le scelte da compiere eccedano, per dimensione o per carattere, l’ambito della singola Regione, sia che si guardi all’esercizio dei compiti amministrativi, sia che si guardi all’esercizio di potestà legislative.
Occorre, in altri termini, conferire carattere immanente alla leale collaborazione, così da farne criterio ordinatore nell’esercizio dei poteri legislativi, sia dello Stato sia delle Regioni, già nelle fasi di iniziativa e proposta, affinché si realizzi una virtuosa concorrenza di competenze e si sviluppi appieno la logica di complementarità tra Stato, Regioni e autonomie locali, quale declinazione ideale dei principi di unitarietà e differenziazione,
in un ordinamento che già conosce l’esperienza storica di istituzioni territoriali dotate di specialità.
L’attuale contesto istituzionale impone di coniugare sempre di più il principio di “differenziazione” con il principio di “leale collaborazione”.
Attraverso il principio di “differenziazione”, i soggetti istituzionali utilizzano diversamente l’autonomia di cui sono dotati per perseguire una migliore efficienza dell’amministrazione, non per fini propri, ma a favore di uno sviluppo democratico della comunità regionale, delle relazioni sociali in cui si esprime la personalità dei singoli individui, del sistema produttivo che favorisca la crescita economica delle imprese, delle famiglie e dei cittadini in generale.
In questo modo, e grazie al presidio che solo un uso sistematico della “leale collaborazione” garantisce, il principio di differenziazione viene ricondotto ad una visione coerente con quella di unità e indivisibilità della Repubblica a beneficio di tutti.
3. La centralità del sistema delle Conferenze nelle relazioni interistituzionali
È noto che nel nostro ordinamento costituzionale non è prevista una Camera delle Regioni e delle Autonomie, e neppure una compiuta disciplina delle relazioni interistituzionali, nonostante il vigente Titolo V, Parte II della Costituzione sia stato riformato successivamente all’istituzione per via di legislazione ordinaria della Conferenza Stato-Regioni e della Conferenza Unificata, e dunque successivamente alla stagione dell’ultimo imponente decentramento amministrativo operato a Costituzione invariata.
Nondimeno, con intensità proporzionale al progressivo accrescimento della complessità delle relazioni interistituzionali, quello che si è soliti identificare come Sistema delle Conferenze ha rappresentato, e costituisce tuttora, un ineludibile presidio della leale collaborazione nelle relazioni tra i diversi livelli, mostrandosi indispensabile ed efficace anche e in particolare in quei frangenti e contesti che, caratterizzandosi per eventi di particolare eccezionalità, certificano nei fatti l’importanza di tali sedi e dei meccanismi che le sorreggono.
L’esperienza che stiamo attraversando dimostra plasticamente, ogni giorno di più, come la collaborazione fra le Regioni tra di loro, fra le Regioni e lo Stato e fra questi e le autonomie locali, sia il perno che garantisce l’equilibrio e assicura coerenza fra le molteplici fonti del diritto che concorrono nell’azione di contrasto alla crisi in atto.
In questo contesto, e per le medesime ragioni, è da rimarcare il ruolo che progressivamente è venuta esercitando la Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome di Trento e Bolzano. Questo organismo, in origine frutto della libera volontà associativa dei Presidenti delle Regioni (formalizzata a Pomezia nel 1981), progressivamente, si è fatto carico della composizione delle diverse istanze regionali, al di là delle logiche di mera appartenenza politica o partitica, per consentire, di volta in volta, l’emersione di una posizione comune delle Regioni.
La pratica ormai pluridecennale e la cronaca anche recente testimoniano come il sistema delle Conferenze, indipendentemente dalla presenza di una rigida disciplina di organizzazione e funzionamento, sia in grado di assolvere al delicatissimo compito di composizione e mediazione politica fra interessi territoriali e nazionali, in una logica pragmatica di spontanea propensione alla leale collaborazione, più che in ossequio ad un disegno formale o meno ancora gerarchico. Ne discende la assoluta necessità, in chiave futura, di salvaguardare, conservare e valorizzare ulteriormente come preziosa questa consolidata ma anche rinnovata vitalità.
La crescente e inesorabile centralità dei meccanismi e degli strumenti della leale collaborazione, d’altra parte, trova conferma nel periodico riproporsi di tentativi di definire una più strutturata regolamentazione, anche per via costituzionale, del sistema delle Conferenze, come si evince, da ultimo, dal disegno di legge costituzionale A.S. 1825, che sotto questo aspetto può valutarsi come un segno significativo, pur in un quadro di complessiva problematicità.
3.1. Il riconoscimento della Conferenza delle Regioni nei processi di codecisione sul modello dei “Protocolli di sicurezza” e delle “Linee guida per la riapertura delle attività economiche”
A ben vedere, il diverso manifestarsi dell’emergenza sanitaria sui territori e la corrispondente esigenza di risposte differenziate, pur nel contesto di una strategia necessariamente nazionale, ha consentito a tutti gli attori istituzionali coinvolti di sviluppare tempestivamente una logica di reciproca complementarità all’atto di reagire alla crisi e di gestire lo stato di emergenza dichiarato lo scorso 31 gennaio.
Il rinnovato spirito collaborativo instauratosi fra tutte le componenti istituzionali e il ricorso sistematico a forti meccanismi cooperativi hanno permesso di offrire soluzioni salde ed efficaci pienamente riconducibili al vigente sistema delle fonti, quale risulta dalle norme costituzionali applicabili a situazioni di necessità ed urgenza per come, a loro volta, sviluppate dalla legislazione ordinaria.
Si pensi, in questo senso, al processo che ha portato all’adozione dei Protocolli di sicurezza e delle Linee guida per la riapertura delle attività economiche. Sulla base di quanto previsto dall’articolo 1, comma 14, del decreto-legge 4 maggio 2020, n. 33, nel pieno rispetto dei principi della legislazione nazionale e delle valutazioni tecniche espresse dagli organismi competenti in materia sanitaria, l’impegno comune dei Presidenti riuniti nella Conferenza delle Regioni e delle Province autonome ha permesso la celere adozione di provvedimenti che, pur rispondendo ad istanze specifiche e differenziate espresse dai singoli territori, hanno nondimeno assicurato un’omogenea applicazione sull’intero territorio nazionale.
Provvedimenti che, tutelando la sicurezza individuale e sociale, hanno assicurato la graduale ripresa delle attività economiche e la tenuta delle economie locali, avendo cura di non trascurare alcun settore del sistema sociale e produttivo e alcun operatore economico.
In contesti straordinari è, d’altra parte, innegabile che la tempestività e la capacità di impatto immediato delle decisioni si elevino a parametro essenziale della bontà dell’azione di governo.
Proprio questa consapevolezza ha favorito il realizzarsi di un nuovo equilibrio fra la necessaria ritualità delle decisioni e l’urgenza di provvedere alla loro adozione, marcando una forte e positiva discontinuità nell’agire istituzionale e tracciando, al contempo, la via per una rinnovata efficienza dello Stato a tutela e garanzia dei diritti costituzionali dei cittadini.
4. La Regione al centro della comunità territoriale. Alla ricerca di una nuova alleanza con il sistema degli enti locali
Alla luce delle considerazioni fin qui svolte, un tema che non può essere trascurato è quello della ridefinizione del rapporto che è opportuno possa svilupparsi tra la Regione e le altre componenti esponenziali delle rispettive comunità: Comuni, Unioni, Province, Città metropolitana in una moderna ed unitaria concezione di sistema delle autonomie territoriali, che valorizzi la rete delle relazioni tra Regione, città e territori che ne fanno parte e che rifugga da ogni centralismo, sia statale sia regionale.
Per questo indispensabile obiettivo va superata, per come si è determinata soprattutto ad opera di alcune scelte del legislatore statale, la difficoltà delle Regioni di svolgere appieno il proprio ruolo di indirizzo e raccordo del sistema delle autonomie.
Al contrario infatti, evidenze emergenti dal concreto atteggiarsi delle dinamiche sociali, economiche e culturali, oltre che più immediate ragioni di carattere macro-organizzativo, inducono piuttosto ad individuare nella regione il soggetto chiamato ad assolvere al ruolo di baricentro di un sistema che, pur equiordinato secondo quanto sancito dall’articolo 114 della Costituzione, deve riconoscere la specificità della Regione quale ente dotato di poteri legislativi e di indirizzo strategico.
Questi obiettivi esigono necessariamente, da parte delle stesse Regioni, un’applicazione molto rigorosa della leale collaborazione applicata alle relazioni con gli enti locali del proprio territorio, ma anche il superamento della tradizionale ritrosia dello Stato ad includere le Regioni nelle scelte legislative riguardanti le autonomie territoriali, pena il rischio di continuare ad alimentare una dicotomia antistorica.
5. L’Accordo in sede di Consiglio Europeo sul c.d. recovery fund. La necessità di strategie politiche comuni
Il nostro Paese, esprimendosi nel complesso delle istituzioni che lo rappresentano, è ora e in modo sempre più pressante chiamato ad operare secondo criteri di maggior responsabilità, con specifico riguardo sia alla gestione della spesa che alla definizione di politiche più che mai orientate a costruire quella “Next generation EU” tanto auspicata dalla Commissione europea.
Ora che i Ventisette Paesi membri, pervenendo a condividere l’esigenza e l’opportunità di istituire il cd. “recovery fund”, hanno finalmente siglato all’unanimità un Accordo per certi versi storico, l’Italia – alla quale spetta una quota molto rilevante di quanto complessivamente stanziato – ha davanti a sé una sfida senza precedenti.
Occorre pertanto che il Governo, e tutte le altre istituzioni repubblicane, affrontino la fase che si sta per aprire con adeguata consapevolezza rispetto a quelle che sono le potenzialità, e non solo i limiti, insite nel nostro sistema. Va considerata, questa, come un’opportunità da cogliere senza indugi al fine di avviare, ora e subito, un percorso volto a definire comuni strategie da promuovere per rilanciare il Paese non solo sotto il profilo economico, ma anche civile e sociale. Fulcro di questo percorso dovrà essere la piena attuazione dell’articolo 119 della Costituzione, che sancisce la necessità della piena corrispondenza fra funzioni esercitate e risorse a ciò necessarie.
Poiché condizione necessaria per la partecipazione al meccanismo elaborato in sede comunitaria è la redazione di piani nazionali coerenti con gli obiettivi del c.d. recovery fund, strutturati e articolati a loro volta in programmi e puntuali misure attuative, è fondamentale che le Regioni siano messe nella condizione di esercitare un ruolo diretto come stabili partecipanti alle sedi decisionali che verranno formalmente incaricate della loro definizione.
Nel proiettarsi verso un obiettivo così ambizioso è indispensabile riscoprire uno spirito in qualche modo costituente, perseguendo una logica di integrazione delle politiche pubbliche che garantisca unitarietà all’azione di governo tanto nel risalire l’onda devastante della crisi in atto, quanto nel costruire insieme un modello fondato sulla sostenibilità e sull’inclusività, in grado di favorire lo sviluppo sociale ed economico delle future generazioni.
6. Le proposte per l’Italia
Anche grazie alla forte legittimazione derivante dall’elezione diretta dei Presidenti, le Regioni hanno assunto progressivamente forti responsabilità di governo in ordine alle politiche più rilevanti per la garanzia dei diritti fondamentali dei cittadini, il cui esercizio, a cominciare dalla tutela della salute e dall’organizzazione del servizio sanitario, si è rivelato cruciale anche alla prova di una crisi senza precedenti come quella derivante dalla pandemia.
Consapevoli di questo ruolo le Regioni:
a) riconoscono il valore fondativo dell’articolo 5 della Costituzione e l’esigenza di ricercarne declinazioni adeguate alle esigenze e alle urgenze del tempo così da realizzare sull’intero territorio nazionale, attraverso azioni coordinate, condizioni di effettiva uniformità nella garanzia dei livelli essenziali delle prestazioni e nel godimento dei diritti fondamentali da parte dei cittadini e di tutti i componenti della comunità, con particolare riguardo all’accesso ai servizi sociali e sanitari, quale base comune su cui innervare scelte differenziate in risposta alle specificità territoriali;
b) esprimono la convinzione che il rafforzamento del sistema delle autonomie, nel quadro dell’unità giuridica ed economica della Nazione, possa favorire la transizione dell’amministrazione pubblica nel suo complesso a un più elevato stadio di efficacia ed efficienza, quale condizione imprescindibile per la tenuta del sistema istituzionale;
c) ritengono che l’evoluzione storica, sociale ed economica, la complessità del mondo globale, l’affermarsi repentino di nuovi diritti sociali e civili abbiano reso del tutto superata una ripartizione dei poteri legislativi tra Stato e Regioni secondo criteri di contrapposizione e reciproca esclusione;
d) evidenziano, all’opposto, l’esigenza di una nuova stagione politica in cui l’esercizio dell’attività legislativa sia informato a logiche di intensa complementarità fra centro e periferia, riservando considerazione primaria alla qualità della regolazione, assicurata anche dalla condivisione ex ante di comuni obiettivi strategici;
e) evidenziano l’importanza di assicurare centralità alle sedi della cooperazione interistituzionale e della concertazione tra i diversi livelli istituzionali, a partire dalla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, anche attraverso il riconoscimento costituzionale del “sistema delle Conferenze”, al fine di incrementarne l’incidenza nei procedimenti legislativi e decisionali con riguardo alle più rilevanti politiche pubbliche nazionali;
f) si impegnano a rafforzare la collaborazione in tutte le attività di loro comune interesse, valorizzando ulteriormente il ruolo e l’organizzazione della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, anche quale necessario contrappeso all’assenza di una Camera delle Regioni e delle autonomie;
g) rappresentano, quale obiettivo prioritario di un nuovo Patto politico, l’esigenza di dare seguito, con l’urgenza imposta dall’attuale fase storica, alle finalità poste in luce nel presente Documento, specie dopo il significativo risultato raggiunto lo scorso 21 luglio in seno al Consiglio Europeo sul cd. “recovery fund”, quale oggettiva e concreta opportunità per superare i divari territoriali tuttora presenti;
h) esprimono l’esigenza di vedersi coinvolte formalmente e con pienezza di poteri nelle sedi in cui verranno definite le linee programmatiche per l’accesso al c.d. recovery fund.
i) assumono unitariamente proposte concrete per:
- migliorare l’organizzazione dei servizi pubblici essenziali quali, prioritariamente la sanità, il welfare, la scuola;
- una moderna organizzazione del mondo dell’impresa e del lavoro;
- la messa in sicurezza e un più efficiente governo del territorio, delle infrastrutture e dei trasporti;
- una rafforzata valorizzazione e una più intensa tutela dei beni ambientali, paesaggistici, culturali.


( red / 04.08.20 )
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