Conferenza Regioni
e Province Autonome
Doc. Approvato - Welfare: meidfiche disciplina adozione e affidamento internazionali

giovedì 15 dicembre 2005


OSSERVAZIONI IN MERITO AL DISEGNO DI LEGGE

 

“MODIFICHE ED INTEGRAZIONI ALLA DISCIPLINA IN MATERIA DI ADOZIONE E AFFIDAMENTO INTERNAZIONALI” (AS 3373)

 

 

Il Disegno di Legge mette in discussione alcune scelte di fondo operate con la legge 476/98, in modo particolare per quanto attiene il ruolo dei servizi territoriali nelle varie fasi dell’iter adottivo. Viene altresì alterato in modo significativo l’impianto generale della legge, che prevede la centralità dell’informazione, della formazione e accompagnamento della coppia alla scelta adottiva e il ruolo delle Regioni nell’attività di programmazione e monitoraggio dell’attività.

Lo sforzo comune in questi anni di implementazione della legge sull’adozione è stato quello di promuovere nel territorio la cultura dell’adozione, nel superiore interesse del minore, nei termini dell’accoglienza e di accompagnamento della coppia aspirante e del nucleo familiare in tutte le fasi dell’iter adottivo, in uno spirito di collaborazione fra i vari soggetti.

Una modifica di tale modello operativo che, al termine di un percorso di passaggio dalla vecchia alla nuova normativa, sta dispiegando solo ora tutti gli effetti desiderati, non solo renderebbe vano lo sforzo che ha portato ad un miglioramento di tutto il sistema di offerta nei confronti delle coppie adottive o aspiranti tali, ma esporrebbe i bambini ad un rischio maggiore, quello del fallimento adottivo, con tutte le ripercussioni derivanti sul piano sociale, psicologico, economico e dello stato di benessere dei minori e delle famiglie.

Nella proposta del DDL viene meno in maniera vistosa il ruolo dei servizi locali in tutte le fasi precedenti l’ingresso del minore in Italia. I servizi non intervengono più nella fase di informazione e sensibilizzazione (fase che in alcuni contesti regionali è diventata un momento prezioso per la maturazione da parte della coppia della decisione di adottare) e nella fase di valutazione dell’idoneità della coppia (che sempre di più si va modulando non come momento di mera valutazione subita dalla coppia ma come momento interattivo di conoscenza di sé e di auto-valutazione rispetto al compito adottivo).

L’attività di informazione e sensibilizzazione non è solo un’importante occasione di accompagnamento alla scelta della coppia adottiva, ma è anche una preziosa occasione di formazione ed auto orientamento rispetto al proprio intento adottivo, necessaria per riflettere con serenità e competenza sulle difficoltà portate da bambini, spesso non più piccolissimi, che hanno vissuto grosse deprivazioni materiali e relazionali, forti traumi psicologici, alle volte accompagnati da situazioni sanitarie particolari. Si crea inoltre, fin dai primi momenti in cui la coppia si avvicina all’adozione, l’opportunità di costruire con gli operatori impegnati una relazione di conoscenza e fiducia, relazione che risulterà molto importante nell’accompagnamento del minore e della famiglia adottiva successivamente al loro ingresso in Italia.

Con il DDL vengono introdotte palesi differenze fra l’adozione nazionale e l’adozione internazionale, in particolare per quanto riguarda la fase di valutazione dell’idoneità della coppia aspirante all’adozione, tracciando percorsi nettamente diversi, con garanzie diverse rispetto all’approfondimento degli aspetti psico-sociali e motivazionali della coppia. Di fatto il minore straniero non ha le stesse garanzie del minore italiano in situazione di abbandono, perché le famiglie adottive vengono valutate diversamente, con gradi di approfondimento diverso.

L’obiettivo dichiarato del DDL è quello di semplificare la procedura e di abbattere i tempi dei procedimenti adottivi. Va però sottolineato che il DDL si propone di ridurre i tempi che la L.476/98 dedicava alla informazione e preparazione della coppia, fase molto importante del percorso verso l’adozione, al fine di favorire il miglior incontro tra il minore e gli aspiranti l’adozione; si sottolinea come i tempi previsti dalla normativa attuale sono spesso tempi necessari per maturare una decisione importante per la vita della famiglia e dei minori coinvolti.

Il DDL non tiene conto che invece buona parte del tempo impiegato nell’adozione è legato alla successiva fase di abbinamento, definita dal momento in cui la coppia conferisce l’incarico all’Ente autorizzato e successivamente perfezionato con le autorità estere.

L’accertamento dell’idoneità viene lasciato completamente al Tribunale dei minori (TM), rinunciando a un aspetto di collaborazione tecnica e scientifica fra TM e servizi socio sanitari che aveva caratterizzato finora la procedura adottiva, dimostrando (al livello operativo) come solo il coinvolgimento di più professionalità in sinergia tra loro possa costituire il massimo della garanzia, nell’interesse del minore, in una materia così delicata quale è il giudizio di idoneità.

Con il DDL, l’accertamento di idoneità approfondirà molto meno gli aspetti di carattere personale, motivazionale e psicologico della coppia, fondamentali, in realtà, per il buon esito dell’adozione internazionale.

L’adozione internazionale è una forma di solidarietà che ha significato e importanza soprattutto per quei bambini che non trovano nel loro paese risposta alla loro situazione di abbandono. Sempre più gli stati esteri tendono giustamente a favorire forme di accoglienza all’interno dei loro confini. La disponibilità di bambini da adottare tende quindi ad essere di bambini non più in età prescolare o portatori di patologie altrimenti difficilmente curabili nello stato di provenienza. Sono situazioni che in relazione all’età dei bambini e alle loro difficoltà richiedono particolare preparazione e approfondimento e sottolineano la validità di una approfondita valutazione della coppia.

Con il DDL, per alcuni aspetti la valutazione di idoneità si ferma di fatto all’acquisizione della disponibilità. Si può dire che l’accento passa dall’interesse del minore al preteso diritto degli adulti ad avere comunque un figlio.

Se il DDL introduce (art. 3 e 4) alcuni aspetti di maggiore responsabilizzazione e controllo degli Enti Autorizzati, nel rapporto con la CAI e con le coppie (aspetti apprezzabili), altro aspetto che lo rende particolarmente debole è l’idea di attribuire alla CAI stessa la funzione di concordare, con l’autorità straniera, l’abbinamento e la successiva decisione di procedere all’adozione del minore, ruolo che nella normativa in vigore viene affidato all’ente autorizzato. Gli enti autorizzati hanno una presenza diffusa e capillare in molti Stati e questo facilita la riduzione dei tempi legati all’abbinamento, probabilmente l’idea di riversare sulla CAI tutte le pratiche di adozione internazionale andrebbe in senso opposto all’obiettivo dichiarato di ridurre i tempi.

Si evidenzia il possibile rischio che la Commissione si trovi ingolfata in funzioni ed attività che possono essere svolte adeguatamente da altri soggetti (come per altro avviene con la vigente normativa) distogliendo la propria attenzione e le proprie energie da aspetti fondanti per il miglioramento dell’adozione internazionale quali le relazioni con i paesi di provenienza. La determinazione di accordi specifici, la realizzazione di protocolli di intesa e quant’altro necessario al miglioramento delle vigenti procedure adottive, nell’interesse dei minori e degli aspiranti genitori adottivi sono fondamentali nella riduzione dei tempi di attesa e del corretto svolgimento delle pratiche di adozione, anche nell’ottica della semplificazione del procedimento.

Con riferimento ai compiti che il DDL affida alla CAI, all’estromissione dei servizi sociali e sanitari locali, si legge nel DDL una visione centralistica ed accentratrice, che ben poco riconosce l’importanza di un coinvolgimento della dimensione locale con la quale la famiglia e il minore si confrontano quotidianamente.

Il Disegno di Legge introduce, inoltre, un nuovo istituto: quello “dell’affidamento temporaneo internazionale”.

La preoccupazione è che tale forma di affido possa diventare nei fatti una forma di adozione mascherata, cui possono ricorrere single e coppie che non hanno ricevuto il decreto di idoneità all’adozione. Le perplessità si pongono su più piani: un piano è relativo alla difficoltà di reinserimento del minore nel paese di origine dopo aver vissuto per un consistente  periodo di tempo (due anni, rinnovabili) in Italia. Non viene data indicazione dell’età dei minori stranieri che si possono affidare, ne si specifica nel dettaglio quali possano essere i progetti che giustificano la loro presenza.

Fra le altre cose, anche in questo caso viene messo in forte discussione il ruolo del servizio socio sanitario, che nella normativa attualmente in vigore per l’affidamento familiare nazionale è “responsabile del programma di assistenza”, “vigila” durante l’affidamento, relaziona semestralmente “sull’andamento del programma di assistenza, sulla sua presumibile ulteriore durata e sull’evoluzione delle condizioni di difficoltà del nucleo familiare di provenienza”, assumendo un ruolo fondamentale di garanzia nei confronti del minore e delle possibilità di un effettivo rientro in famiglia.

Nel disegno di legge i servizi socio-assistenziali degli enti locali sono relegati a non meglio precisati aspetti di vigilanza senza nessuna forma di intervento nella valutazione della coppia (lasciata al Giudice Tutelare) e negli aspetti fondamentali di definizione del progetto (obiettivi, tempi di attuazione, rapporto con la famiglia di origine, realizzazione di un progetto educativo con la famiglia affidataria), anche in questo caso con una palese differenziazione rispetto all’affidamento nazionale.

Va comunque riconosciuto al DDL, come alle altre proposte di legge in attesa di esame, il fatto che venga posta in primo piano la tematica dell’adozione. La legge 476/98 dopo la prima fase di riorganizzazione dei servizi e di avvio richiede una attenta ed approfondita analisi per capire quali possono essere le modifiche da apportare nel rispetto delle convenzioni internazionali e nell’ottica del migliore interesse del bambino.

 

Rimangono aperti alcuni punti, quali per esempio la necessità di una maggiore partecipazione alle funzioni di controllo da parte delle Regioni o la definizione, all’interno della Conferenza Stato Regioni, di una disciplina dei servizi pubblici regionali che svolgono attività di enti autorizzati ai sensi dell’art.39 bis comma 2 della legge 184/83 come modificata dalla legge 476/98.

 

Si sottolinea, inoltre, quanto determinato nella Conferenza Unificata del 16 giugno scorso dove nell’ambito del parere espresso relativamente allo schema di DPR recante “ Regolamento recante modifiche ed integrazioni al DPR 1 dicembre 1999 n. 492 concernente la costituzione, l’organizzazione ed il funzionamento della CAI , a norma dell’art. 7 commi 1 e 2 della legge 476/98”, si raccomanda che i rapporti tra la CAI e le Amministrazioni regionali - ivi compresi i servizi di cui all’art. 29 bis e 39 bis della legge sulle adozioni - devono essere definite secondo modalità operative definite in sede di Conferenza Unificata.

 

Va comunque ribadita la titolarità in capo alle Regioni delle funzioni sociali, che va riconosciuta e valorizzata anche con riferimento al procedimento adottivo.

 

Roma, 15 dicembre 2005